
IL LIBRO
Nella Polonia di fine Settecento il «Veggente di Lublino» e il «santo Ebreo» di Pzysha sono i maestri spirituali di correnti chassidiche contrapposte cui fanno capo due importanti comunità. Il primo è persuaso che per vedere realizzati i propri desideri si possa influire sulle potenze superiori e non disdegna il ricorso a pratiche magiche; il secondo rifiuta magie e miracoli e sostiene la necessità di un profondo rinnovamento interiore. I due saggi si dividono anche di fronte alla storia: è il tempo delle guerre napoleoniche, e per il «Veggente» il condottiero francese non è altri che il Gog del paese di Magog della profezia di Ezechiele, che anticipa la venuta del Messia, un evento che per il «santo Ebreo» può essere preparato, invece, solo nell’intimo dell’uomo, con un rivolgimento spirituale.
In un racconto dal respiro epico, in cui gli aneddoti sui rabbini e i loro discepoli, attinti dal tesoro delle leggende chassidiche, si inanellano gli uni negli altri con un’accattivante fluidità, Martin Buber tratteggia la sfida appassionata tra i contendenti, facendo affiorare anche i profondi legami fra le due tradizioni. Frutto di una lunghissima gestazione, non sorprende che il libro abbia trovato la sua ultima maturazione all’inizio della Seconda guerra mondiale, in un’atmosfera di cui l’autore ha colto l’essenza «di crisi tellurica», di «tremendo ponderarsi delle forze» e «falso messianismo d’ambo le parti».
UN BRANO
"A questo punto l’«Ebreo» non poté più trattenersi. «Rabbi!» disse con voce che per l’emozione quasi gli mancò, «che cos’è dunque questo Gog? Là fuori egli può esistere solo perché si trova qui dentro». E con la mano indicava il suo stesso petto. «Le tenebre, dalle quali egli è creato, non ci sarebbe bisogno di cercarle in nessun luogo altro che nei nostri cuori indolenti o maligni. Il nostro tradimento verso Dio ha nutrito Gog rendendolo tanto grande. Né nell’anima né nel popolo regna la forza della luce».
«Che sfacciataggine!» esclamò Simon, che dopo la prima parola dell’«Ebreo» aveva cominciato a brontolare. «Sta offendendo il Rabbi!»
Con un gesto della mano il Rabbi ristabilì di nuovo la calma. «Tu soffri troppo, Jaqov Jizchaq», disse, «non ci si deve permettere di soffrire tanto»
«Che ci posso fare Rabbi?» balbettò l'«Ebreo».
Il Rabbi prese la sua mano destra, la strinse forte tra le sue e disse: «Ne parleremo insieme quando farà giorno»."
Martin Buber (Vienna, 1878 - Gerusalemme, 1965) dedicò buona parte della sua attività allo studio e alla divulgazione della cultura dei chassidim. Tra le sue opere: L’eclissi di Dio e Immagini del bene e del male, una pregevole traduzione tedesca della Bibbia.
Così Hermann Hesse scriveva a Martin Buber: “Tra i suoi scritti, Il cammino dell’uomo è indubbiamente quanto di più bello io abbia letto. La ringrazio di cuore per questo dono così prezioso e inesauribile. Lascerò che mi parli ancora molto spesso”. Un autentico capolavoro in miniatura, il cui messaggio si rivela inesauribile proprio perché parla al cuore di ogni uomo, in ogni tempo e in ogni situazione. Un libro che obbliga a pensare e invita a imboccare il cammino dell’autentica crescita umana in armonia con gli altri uomini e con il mondo intero.
Martin Buber mostra in queste pagine come la colpa non sia riducibile alla dimensione psicologica del senso di colpa, ma abbia altre implicazioni, ben più importanti. Per lo psicoterapeuta non si tratta allora di liberare il paziente dal senso di colpa, quanto piuttosto di aiutarlo a elaborare la propria colpa in vista di una riconciliazione con se stesso, con gli altri e con il mondo. "Colpa e sensi di colpa", introdotto da una nota della figlia di Buber, diventa così un punto di riferimento per un dialogo a più voci sul rapporto tra oggettività della colpa e soggettività del senso di colpa, tra consulenza filosofica e psicoterapia, attraverso i contributi di Gian Piero Quaglino (docente di Psicologia della formazione), Cianni Francesetti (psichiatra e psicoterapeuta della Cesto/O, Umberto Galimberti (filosofo e psicoanalista), Andrea Poma (docente di Filosofia morale), Luca Bertolino (docente di Etica applicata), Maria Bertone e Ran Lahav (consulenti filosofici).
"Religione come presenza" è il testo delle lezioni di Martin Buber tenute nel 1922 a Francoforte e qui per la prima volta tradotte, ma anche la cellula originaria della sua filosofia della religione espressa in forma compiuta, pochi mesi dopo, in "Io e tu". Seguendo il movimento dialettico con cui Buber descrive religione e religiosità, si può scrutare qui una prima formulazione del concetto di "presenza" quale a priori della stessa "relazione": presenza di Dio nel mondo (Shekinah), presenza di Dio nell'uomo, presenza dell'uomo a se stesso. È la "fedeltà al presente", in questo triplice senso, a rendere possibile attraverso lo spirito una umanità invisibile unita nella comune religiosità. Una prospettiva che permette di riaffermare, al di là del contesto storico, l'universalità della religione, presente in ogni sua scintilla.
«All’interno di un genere umano ancora proteiforme e in divenire, sempre più persone percepiscono che cosa si stia preparando; la loro percezione cresce di giorno in giorno, e la conoscenza della crisi richiama in loro la sola controforza che può riuscire a elevare essi stessi a “signori” attraverso nuove mete, mete grandi e chiare, imponendosi su tali sediziosi mezzi. Questa controforza è quella che io chiamo il nuovo Umanesimo della fede ».
MARTIN BUBER (1878-1965), filosofo e teologo, è stato uno dei grandi pensatori del Novecento. Tra le sue opere tradotte in italiano ricordiamo: L’insegnamento del Tao, il melangolo, 2013; Niccolò Cusano e Jacob Böhme, il melangolo, 2013; Il chassidismo e l’uomo occidentale, il melangolo, 2012; Confessioni estatiche, Adelphi, 2010; Gog e Magog, Guanda, 2010; Storie e leggende chassidiche, Mondadori, 2008.
collana: opuscula
Pochi giorni prima che Hitler diventasse Cancelliere, Martin Buber, una delle figure più autorevoli dell'ebraismo tedesco, partecipò a un convegno insieme a relatori nazionalsocialisti, neo-nazionalisti e antisemiti, in cui discorso teologico e fede politica finirono fatalmente per sovrapporsi. L'incontro fu organizzato da Jakob Wilhelm Hauer, ordinario di Indologia all'Università di Tubingen, di lì a poche settimane non solo fervente sostenitore della dittatura, ma anche informatore dei servizi segreti di Himmler. La partecipazione di Buber al convegno e l'adesione di Hauer al nazismo diedero luogo a un significativo intreccio biografico. A distanza di ottant'anni riemergono dagli archivi documenti che permettono di ricostruire - anche grazie ad altri scritti coevi (come la disputa con il teologo cristiano Karl Ludwig Schmidt), carteggi inediti e fotografie d'epoca - un'intricata vicenda rimasta finora ignorata. Una vicenda, non priva di contraddizioni e ambiguità, che pone in una nuova luce lo stesso essere e pensarsi ebreo di Buber, sulla base di una riflessione teologico-politica che nasce calandosi all'interno di un clima culturale, nella Germania fra le due Guerre, ostile all'integrazione ebraica nella nazione tedesca.
Pubblicato a Tel Aviv nel 1943, questo libro propone il primo corso di “filosofia della società” tenuto da Buber nel 1938 all’Università ebraica di Gerusalemme. In quest’opera, e per la prima volta, Buber presenta in modo dettagliato, confrontandola con quella di altri pensatori, la sua idea della condizione umana e considera come differenza specifica dell’uomo rispetto a tutte le altre creature il suo configurarsi come essere sociale in forma peculiare. Secondo il filosofo, infatti, l’originaria socialità umana si mostra come un “a priori” universalmente valido che pone immediatamente in contatto l’“io” e l’“altro” in modo gratuito e nella reciproca disponibilità.
Buber condivise l'esperienza di Landauer, esponente del socialismo libertario e pacifista, trucidato nel 1919 a Monaco dopo l'esito della Repubblica dei Consigli. Gli scritti raccolti in questo piccolo volume, alcuni inediti in italiano, toccano due temi principali, il socialismo e la comunità, che in epoca moderna si sono spesso intrecciati. Buber indaga il moto rivoluzionario alla sua genesi, nello spirito della comunità, ove la cognizione individuale della realtà si rappresenta nella necessità comune del suo superamento. Comunità di uomini e non collettività. Nelle comunità gli uomini cercano il principio di vita, relazione, verità cioè il sacro, e lo chiamano Dio. «Gli uomini desiderano possedere Dio, ma egli non si concede loro, poiché non vuole essere posseduto, ma realizzato. Solo quando gli uomini vorranno che Dio sia, essi creeranno la comunità».
Le settantadue ore di un viaggio a Roma in occasione del Giubileo dell’ammalato e delle persone disabili dello scorso giugno 2016.
Capita poche volte nella nostra vita che un viaggio ci rimanga talmente impresso nella mente e nel cuore da continuare a riviverlo dentro di noi per lungo tempo, di provare quella specie di “mal d’Africa” che non è solo nostalgia e ricordi ma è incapacità di staccarsi da quanto si è vissuto, di tornare ad essere quelli di prima.
Il contenuto di questo viaggio sono state le settantadue ore trascorse a Roma insieme a diecimila disabili ed ai loro accompagnatori con papa Francesco in occasione del Giubileo dell’ammalato e degli ammalati e delle persone disabili dello scorso giugno 2016.
Più che una cronaca è un percorso per episodi, immagini ed emozioni lungo quei tre giorni che hanno raccolto uomini e donne forse deboli ed imperfetti nel fisico o nella mente, ma carichi di gioia e di speranza.
In queste pagine c’è il racconto di un viaggio attraverso i loro occhi: non troverete dolore o rassegnazione ma vedrete invece rappresentate una forza ed una bellezza diverse.
La missione francescana in epoca moderna.
L'enciclica "Laudato si'", con la sua portata rivoluzionaria, ha conquistato il mondo diventando il più alto grido d'allarme mai lanciato sulle ferite del pianeta. Con la convocazione di un Sinodo speciale sull'Amazzonia, papa Francesco - ispirato dall'immenso orizzonte del santo di cui ha scelto il nome - riporta con vigore all'attenzione della comunità internazionale l'urgenza di una "conversione ecologica" globale. Perché l'Amazzonia ci salverà? Per il pontefice argentino i popoli indigeni di quella regione sono gli ultimi testimoni di un rapporto con la terra unico e primordiale, profondamente intessuto nella cultura, al punto da rappresentare un paradigma per il resto del mondo. La riserva amazzonica ci salverà con le sue foreste, la sua acqua, la sua biodiversità. Ci salverà con la fraternità e la spiritualità delle sue genti. Ci salverà con la deferenza dei suoi popoli verso la Madre Terra. Sui passi di Francesco d'Assisi - patrono dei cultori dell'ecologia, amato anche dai non credenti - si muove dunque la Chiesa del Terzo Millennio e Giuseppe Buffon - fine studioso del francescanesimo - guida il lettore a comprendere il valore universale dell'Amazzonia proprio attraverso la visione profetica e moderna del "cantore della Creazione", capace di tenere insieme il corpo, lo spirito, la natura, Dio e il coro di tutte le creature dell'universo.
Il 16 aprile il Papa emerito Benedetto XVI compirà 90 anni. In occasione di questo importante appuntamento un libro che racconta e illustra la sua ricca e complessa vicenda personale, pastorale e teologica. In 9 capitoli e 90 foto, alcune delle quali inedite, il volume si prefigge di accendere una luce nuova sulla figura e la persona del Papa emerito, "filmando" e soffermandosi sui diversi momenti della vita di Benedetto XVI. Il racconto inizia con l'avvenimento che l'11 febbraio 2013 ha in un certo senso sconvolto la storia della Chiesa e del mondo intero, la rinuncia al pontificato di Benedetto XVI, per poi continuare, in un ideale flashback, con gli anni della formazione, della guerra e della prigionia; considera il suo percorso di pastore e di papa, dai primi anni fino alle tempeste e alle polemiche che hanno toccato una parte dei suoi otto anni di pontificato.