
Il volume, rivolto a coloro che desiderano approfondire la propria conoscenza dell'arte greca e, in particolare, agli studenti universitari, affronta il problema della cultura formale del mondo greco. Gli argomenti sono esposti con un linguaggio piano e accessibile, e in questo senso deve essere interpretata anche l'abbondanza del materiale illustrativo. Un punto di riferimento importante per gli approfondimenti del lettore è costituito dall'articolatissima bibliografia.
Leonardo Benevolo descrive unitariamente la nuova civiltà visiva inventata a Firenze nel Quattrocento e le sue conseguenze nel mondo europeizzato, fino alle soglie della rivoluzione industriale. L'architettura del Rinascimento nasce a Firenze nel primo '400, si diffonde in Europa nel '500 e poi in tutto il mondo dove arriva l'espansione dei popoli europei. Entra in crisi alla metà del '700, quando è criticata dalla nuova cultura razionale che prepara il ciclo dell'architettura moderna. Leonardo Benevolo ne dà un resoconto completo, illustrando anche il rapporto tra architettura e altre forme culturali del tempo, in particolare la grande avventura delle arti figurative da Mantegna a Michelangelo, a Rembrandt.
Nella teoria e nella filosofia dell'arte si tende a sottolineare la differenza fra l'arte e le altre pratiche umane. In questo modo, si può perdere il senso profondo della pluralità delle arti e sottovalutare la portata dell'arte nell'ambito della forma di vita umana. Nella prospettiva teorica elaborata da Bertram, al contrario, l'arte si colloca in continuità con le altre pratiche umane, perché solo in riferimento a esse può acquisire la propria specifica potenzialità. Seguendo Bertram, saremo in grado di riconoscere in queste pagine una nuova impostazione nella definizione dell'arte: si tratta di comprendere la particolarità dell'arte nel contesto della prassi umana, ovvero di cogliere la natura essenziale del contributo che essa reca a questa prassi. L'arte, argomenta Bertram, non è semplicemente una pratica specifica, ma una forma specifica di prassi riflessiva, in quanto tale assai produttiva nell'ambito del rapporto dell'essere umano con il mondo. In ultima analisi, l'arte è una prassi di libertà.
Attraverso le storie di tante persone, ma soprattutto attraverso se stessa, Annalisa racconta il dolore e gli errori, l'elaborazione del lutto e la forza. Un successo di tutti e per tutti. Annalisa è in macchina, di ritorno da Lione, dove ha vissuto il suo più grande successo sportivo dopo le olimpiadi. Sta affrontando una crisi, personale e di coppia. Un simbolico viaggio durante il quale comprende la fine del suo matrimonio, non solo nell'esaurirsi del legame emotivo, ma anche nella necessità di staccarsi completamente da quella vita per ricostruirsi e cercare la gioia che si è accorta mancarle totalmente. Da questa immagine, da questo forte dolore, inizia per Annalisa un viaggio, un errare tra le vicende delle persone che incontra lungo il suo cammino professionale e personale. Cinque storie che si intrecciano con la sua personale rinascita, passata necessariamente attraverso le fasi di elaborazione del lutto.
La bellezza non è soltanto un concetto astratto. Appartiene a ciascuno di noi e si esprime ogni giorno nel modo in cui adorniamo il nostro corpo ma anche nei comportamenti che mettiamo in atto nella vita di relazione, nei gesti, nelle parole. Vittorino Andreoli ci accompagna in un percorso di definizione della bellezza che va oltre i criteri dominanti, arrivando a comprendere persino il brutto. Una fantastica galleria di pensieri in dialogo con una selezione di opere, attraverso cui il grande psichiatra narra l'esperienza del bello in tutte le sue manifestazioni: il creato, la ragione, il sacro, i sentimenti, i pensieri e gli atteggiamenti come la discrezione, l'eleganza, il mistero. Dallo sguardo al sorriso, dalle mani al «territorio dell'eros», questo viaggio alla scoperta della bellezza che è in noi svela le mille sfumature di una realtà in continuo divenire, dai primi «moti creativi» delle pitture rupestri allo sguardo enigmatico della Gioconda, fino alla vibrante sensualità delle Madonne che allattano. Se oggi domina una bellezza «di superficie», effimera, incapace di appagare i bisogni profondi dell'uomo, la proposta per superare questa impasse è di legare il bello al bendessere, la nuova disciplina di cui Andreoli è ideatore e fautore, che si propone di migliorare l'esistenza dell'uomo, l'«essere-bene».
Il Cenacolo di Leonardo da Vinci è uno dei vertici della pittura di tutti i tempi. Il maestro del Rinascimento italiano lo dipinse negli ultimi anni del Quattrocento, nel refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie a Milano. E fu una vera rivoluzione. Nonostante il rapido e irreversibile degrado, infatti, nulla è riuscito a distruggere il fascino di quest’opera unica e straordinaria: Rubens, quasi a nome di tutti gli artisti “moderni”, sentenziò che essa aveva raggiunto «un tale grado di perfezione» che gli sembrava impossibile parlarne in termini adeguati, «e tantomeno imitarla». Ma questa Ultima cena è innanzitutto una vibrante icona spirituale, scaturita dalla sensibilità di un talento profondamente religioso, che mettendo in scena il drammatico istante dell’annuncio del tradimento, porta lo spettatore al cuore del mistero eucaristico, e quindi della fede cristiana.
"In questo libro Giuseppe Pani approfondisce, dal punto di vista teologico- morale, alcuni temi dell'Esortazione apostolica di papa Francesco. Consapevole che non si comunica soltanto con le parole ma anche con le immagini, l'autore si serve di alcune suggestive opere d'arte antica e contemporanea per esprimere quanto pensa nella mente e sente nel cuore. I dipinti e gli affreschi che accompagnano la lettura del libro non sostituiscono la parola ma la approfondiscono, la amplificano, suscitando nuove emozioni, suggestioni e comprensioni. L'autore si serve di questa modalità espressiva per annunciare il Vangelo della famiglia, la buona e lieta novella della vita coniugale e familiare. Egli considera la famiglia un'opera d'arte capace di suscitare emozioni, sentimenti, di trasmettere valori umani e cristiani, di insegnare a vivere e ad amare, di aiutare a compiere scelte responsabili di vita, di rendere la vita delle persone bella e significativa; invita a percorrere la via della bellezza della vita coniugale e familiare." (Dalla Prefazione di Salvatore Cipressa)
Paese del neorealismo con i suoi attori «presi dalla strada» è anche un set favolistico per le produzioni hollywoodiane, da Guerra e Pace girato in Piemonte alla Passione di Cristo in Basilicata, all'Inferno nella Firenze dei nostri giorni. Trame, luoghi, volti e avventure produttive con cui il nostro cinema ha continuato a ispirare generazioni di cineasti. L'Italia oggi ha ripreso a vincere premi e a far parlare nel mondo della sua Grande Bellezza. Una bellezza sfaccettata e contraddittoria, mai convenzionale, che vibra nel racconto di dieci «città del cinema»: Torino col suo Museo, Milano borghesissima e proletaria sullo schermo, Venezia decadente e festivaliera, Bologna e la sua Cineteca, Firenze con vista sulla storia, Roma eterno caos calmo, Napoli da Totò a Gomorra, Palermo gattopardesca e «paradisiaca», Bari capitale di Lamerica e Matera della cultura europea nel 2019.
Di fronte ad un'arte che spesso non sa più parlare a Dio e di Dio, per la prima volta viene proposto un Simposio fra intellettuali ed artisti, capace di rispondere a queste sensibili domande: l'arte contemporanea è ancora in grado di dare Gloria a Dio? È capace di avvicinare i fedeli in maniera adeguata al Cristianesimo? Conta o non conta la bellezza nell'arte sacra e nei riti liturgici? Che cosa comunicano di sacro le chiese moderne? Esiste ancora una pedagogia catechetica nei nuovi edifici di culto? Bambini e adulti, entrando nelle chiese odierne, trovano ambienti adeguati per il raccoglimento, la preghiera, l'elevazione dell'anima? Com'è possibile che la committenza ecclesiastica chiami ad operare architetti o artisti distanti dai concetti di bellezza e sacralità?
Protagonisti di questi racconti, come delle canzoni che li hanno ispirati, sono gli uomini con i loro destini, grandi e meschini insieme, provati dalla vita, ma non disperati, alla ricerca, come tutti, di un gesto di amore, del dono di un abbraccio. Enzo Jannacci ha dato voce e anima a questa gente apparentemente sconfitta, che non perde mai la propria dignità, che piange, che ride, che vive.
Le scarpe del tennis è un omaggio all’artista, al dottore “appassionato di altruismo” che vorremmo ritrovare nei luoghi che profumano della Milano di un tempo, e insieme la testimonianza dell’attualità di un certo sentire.
Ci sono canzoni e canzoni…
Ci sono canzoni che, improvvisamente, misteriosamente, senti che stanno parlando di te come nessun altro sa fare.
Giorgio Vittadini
A cinquecento anni dallo svelamento della volai Sistina gli affreschi più celebri di Michelangelo non cessano di stimolare nuove e inedite letture. Secondo un taglio iconografico e iconologico aggiornato all'indagine contestuale, questo volume raccoglie i contributi più significativi degli studiosi che hanno affrontato con tagli diversi e complementari l'interpretazione dei significati del ciclo della Genesi, rivelandone la complessità simbolica e dottrinale, funzionale all'immaginazione creativa di Michelangelo, e il forte impatto comunicativo. I saggi di Antonio Paolucci, Maurizio Calvesi, Silvia Danesi Squarzina, Heinrich Pfeiffer, Thimoty Verdon, Gianluigi Colalucci, Costanza Barbieri, Lucina Vattuone propongono letture fondate sulla cultura agostiniana, sul gioachimismo, sul francescanesimo, sul neoplatonismo e sulla storia delle immagini. Emergono così le profonde radici storico-religiose delle scelte figurative del Buonarroti e dei teologi che lo hanno affiancato. In questa prospettiva, i contenuti giustificano le forme e danno sostanza alle scelte compositive: l'accurata tecnica esecutiva del Giona sopra l'altare, ad esempio, che ha richiesto ben dodici giornate di lavoro, si spiega con la centralità teologica del profeta nell'economia dei significati della Sistina. (Completa il volume un'appendice con i risultati inediti delle indagini diagnostiche non invasive sul "Ritratto di Michelangelo che mostra i suoi disegni" (Amburgo, collezione privata), condotte dalle più importanti istituzioni italiane ed estere (Firenze, Opifìcio delle Pietre Dure e INOA; Università di Perugia, CNR-ISTM e centro SMAART; Università di Anversa, Dipartimento di Chimica). Ne emergono dati spettacolari che gettano luce non solo sul nodo del problema attributivo, ma rivelano, negli strati pittorici soggiacenti al ritratto, la presenza di un dipinto di Andrea del Sarto raffigurante una Madonna con Bambino e San Giovannino, che i documenti associano inequivocabilmente al committente Pierfrancesco Borgherini, ad Andrea del Sarto, a Michelangelo e a Sebastiano del Piombo.
"Tante saranno state le imagines del Colosseo in antico - basti pensare alle vedute a volo d'uccello di Roma che, in prospettive intuitive, avranno restituito volume alla topografia della città impressa nelle lastre di marmo della Forma Urbis severiana o a plastici sicuramente esistiti - sia in ambito pubblico che nella sfera privata. Un rilievo singolare proveniente dal Sepolcro degli Haterii, rinvenuto nel 1848 sull'antica via Labicana, ce ne restituisce, semplificate, le fattezze che comunque lo rendono riconoscibile fra gli altri edifici famosi il cui appalto un membro della famiglia s'era aggiudicato: davvero un fiore all'occhiello per quella premiata impresa di costruzioni. Ma il Colosseo i romani potevano tenerlo in mano, toccarlo e rimirarlo da vicino in ogni sua parte, da un punto di vista insolito che mostrava persino i combattimenti nell'arena in mezzo alla folla assiepata sulle gradinate, negli splendidi sesterzi in oro, denari in argento, assi in bronzo coniati dalle zecche senatorie e imperiali, a più riprese, in occasioni speciali."