
La canzone napoletana studiata e raccontata non nei suoi aspetti folcloristici più standardizzati, ma come mito che affonda negli archetipi musicali più antichi, come sonorità rimosse dalla memoria e affioranti dove meno te l'aspetti: in un mercatino domenicale dove si vendono dischi di prima della guerra o nel negozio di un barbiere cantante che conserva tradizioni perse nei secoli. Roberto De Simone ci conduce in una ricerca che diventa inventario di testi e musiche, ma anche racconto di personaggi, di luoghi, di rappresentazioni popolari devote e profane. Sempre nei libri di De Simone alto e basso, popolare e colto si intrecciano indissolubilmente; così avviene anche in questo libro, che insieme al saggio sul Presepe napoletano è forse il suo capolavoro, la summa delle sue ricerche e della sua antropologia culturale. Dunque nelle pagine della Canzone napolitana l'arte canterina di un anonimo venditore ambulante e la raffinata poesia di Salvatore Di Giacomo vanno a braccetto fra loro, come i melodrammi di Rossini e Donizetti e la performance di tre femminelli in processione a un santuario. L'alternanza fra capitoli di rigorosa musicologia e altri di spericolata narrazione è più apparente che reale, perché nei capitoli storico-musicali si insinua la fiction (come in un bellissimo colloquio immaginario fra Torquato Tasso e Monteverdi) e nelle narrazioni c'è molta filologia (peraltro le partiture delle canzoni sono raccolte in fondo al volume). Attraverso la trattazione storica e il racconto, De Simone delinea un genere musicale ma tratteggia anche il ritratto della sua città: una Napoli cangiante nei secoli eppure sempre se stessa. Un collage di sovrapposizioni (splendidamente rappresentate in un parallelo visivo dalle illustrazioni di Gennaro Vallifuoco, antico sodale di De Simone) legato da un filo rosso che arriva fino alla seconda guerra mondiale e, attraverso le testimonianze più resistenti ai cambiamenti della modernità, a saperle trovare e ascoltare, fino ai giorni nostri.
Il 16 aprile il Papa emerito Benedetto XVI compirà 90 anni. In occasione di questo importante appuntamento un libro che racconta e illustra la sua ricca e complessa vicenda personale, pastorale e teologica. In 9 capitoli e 90 foto, alcune delle quali inedite, il volume si prefigge di accendere una luce nuova sulla figura e la persona del Papa emerito, "filmando" e soffermandosi sui diversi momenti della vita di Benedetto XVI. Il racconto inizia con l'avvenimento che l'11 febbraio 2013 ha in un certo senso sconvolto la storia della Chiesa e del mondo intero, la rinuncia al pontificato di Benedetto XVI, per poi continuare, in un ideale flashback, con gli anni della formazione, della guerra e della prigionia; considera il suo percorso di pastore e di papa, dai primi anni fino alle tempeste e alle polemiche che hanno toccato una parte dei suoi otto anni di pontificato.
Da quando l'espressione' "limbus inferni", "l'orlo dell'inferno", cominciò a essere usata dai teologi occidentali nel tardo XII secolo fino al 19 gennaio 2007, quando papa Benedetto XVI invitò i fedeli a "lasciar cadere l'ipotesi limbo", sono trascorsi quasi mille anni. Oggi la vicenda del limbo sembra finita. Questo saggio com'è nata e come si è sviluppata. Se Jacques Le Goff, in un capolavoro della storiografia contemporanea, aveva ricostruito la nascita del purgatorio, sul limbo mancava una ricerca completa e autorevole. Chiara Franceschini ha condotto questa ricerca, gettando luce sulla parabola di un'ipotesi teologica che fu non solo una questione centrale del cristianesimo, ma anche un'idea diffusa, concepita per rispondere a problemi antropologici e sociali ben definiti, rappresentata nelle arti figurative e narrata nella letteratura. Da Agostino a Dante, da Mantegna a Michelangelo, da Lutero a Federico Borromeo, con grande attenzione alla teologia, alle immagini, alle idee e pratiche diffuse, Franceschini riconduce l'affascinante storia del limbo al problema di fondo che l'ha segnata fin dall'inizio: quello dell'umanità residuale, cioè della difficoltà secolare da parte della Chiesa occidentale di risolvere l'anomalia della morte senza battesimo. Un percorso attraverso le fonti di un'intera civiltà per raccontare la storia di un'immagine che ha sfidato dall'interno la costruzione dell'aldilà cristiano.
«Così, per i tuoi pochi anni, e per i miei che sono cento, cercherò di dirti la verità; non una verità tecnica, che annoierebbe te così come qualunque altro lettore, ma una verità un po' più ricca, la realtà dell'arte moderna nella vita del nostro tempo: la vita vera, intendo, bellezza e guano equamente miscelati come accade nella vita vera.» E con queste parole che Flavio Caroli apre "Storia di artisti e di bastardi", rivolgendosi alla sua giovane nipote, aspirante storica dell'arte: quasi un breve programma, una premessa che detta il tono, le intenzioni e il passo. Da qui il racconto si muoverà rapido, ripercorrendo gli anni sessanta, settanta e ottanta, in cui per un giovane e appassionato storico dell'arte non era sufficiente lo studio rigoroso e libero degli antichi maestri; bisognava partecipare, e attivamente, alla scena dell'arte contemporanea, quella brillante società mondana fatta di artisti e mecenati, geni e farabutti, attrici, stilisti, Biennali e viaggi. Di pagina in pagina, Caroli alterna ricordi personali e aneddoti, considerazioni sul nostro presente e piccole fulminanti lezioni di critica d'arte. Che ci parli del suo primo incontro con Michelangelo Antonioni, bello e lontano, sul set di Deserto rosso, o della sofferta, consapevole depressione di Van Gogh, che ci racconti i ritrovati e poi perduti dipinti del Guercino o i suoi incontri notturni con Lucio Dalla, che ci riveli le pulsioni di morte di un pasoliniano Andy Warhol o la furia di Marina Abramovic, la sua voce ci arriva sincera e palpitante, immersa nelle storie che narra con la naturalezza del grande storico e divulgatore. "Storia di artisti e di bastardi" si rivela così forse il suo libro più personale: una divertente controstoria dell'arte contemporanea, un album di ricordi e uno spregiudicato memoir epistolare, ma anche un testamento spirituale che contiene, condensata, l'eredità artistica di un'epoca intera, perché solo chi era presente e l'ha vissuta in prima persona può preservare il fuoco di quella esperienza e tramandarlo intatto e ardente alle nuove generazioni.
I capolavori di Hieronymus Bosch sono illustrati e commentati in ogni dettaglio, alla scoperta di una complessa simbologia, spesso enigmatica, che racconta per immagini la vita dell'uomo, le sue tragedie, le sue speranze, il suo destino ultimo. Scopriamo così come per la prima volta il fascino straordinario e modernissimo di dipinti in cui la Bibbia si incarna nel quotidiano, fra tradizioni popolari, mistica medievale, cultura umanistica, inquietudini di un mondo che cambia radicalmente. Perché Bosch è contemporaneo di Leonardo e Raffaello, di Michelangelo e Dürer, ma anche di Cristoforo Colombo e Machiavelli, di Copernico e Lutero, di Erasmo e Savonarola.
Il nostro pellegrinaggio nella fede attraverso l'arte, non termina qui: si prolunga nel pellegrinaggio della vita.
Non smarriremo il cammino verso il Regno dei Cieli, se seguiremo la Via della Bellezza.
L'intenzione che ha guidato la studiosa israeliana Nirit Ben-Aryeh Debby, docente presso l'Università Ben Gurion del Neghev, è stata quella di presentare la tradizione iconografica di santa Chiara, partendo dalle più famose immagini medievali per giungere sino alla prima età moderna.
Mentre a proposito di san Francesco e l'arte esiste una quantità abnorme di studi, gli storici dell'arte hanno invece prestato poca attenzione all'immagine di santa Chiara: le opere che la rappresentano sono state discusse in modo occasionale all'interno degli studi su san Francesco, soffermandosi soprattutto sulla tradizione antica testimoniata in Assisi fra Due e Trecento.
Il libro vuole mostrare come le rappresentazioni di santa Chiara nell'arte medievale siano lo sfondo essenziale a partire dal quale diviene possibile verificare gli elementi di novità o di continuità con la tradizione presenti nella prima età moderna.
Il ferrarese Giovanni Boldini giunge a Parigi nel 1871 in un clima di energia creativa e fiducia ottimistica che rivoluzionano la storia europea tra Ottocento e Novecento. Celebrato come una star grazie a una pennellata inconfondibile che esprime bellezza e gioia di vivere, Boldini inventa meravigliosi ritratti delle personalità più in voga dell'epoca e trasforma le donne in "Divine", creature sublimi ed eleganti, consapevoli del loro fascino, che alimentano a lungo l'immaginario artistico fino a incidere profondamente anche sulle avanguardie novecentesche. I suoi modi aristocratici, la vocazione per la mondanità, il numero altissimo di liaisons galanti e la frequentazione dei migliori ambienti borghesi ne fanno una personalità magnetica e attraente, di grande modernità e talento geniale. Pubblicata in occasione della mostra romana, la monografia raccoglie quasi 160 opere di Boldini provenienti da circa 30 musei di tutto il mondo e dalle più importanti collezioni private nazionali e internazionali e costituisce un ulteriore arricchimento per la conoscenza del corpus pittorico del maestro ferrarese. L'opera critica presentata in catalogo, frutto di articolate ricerche storiche e di archivio, e le oltre venti lettere inedite di Boldini rappresentano inoltre un contributo fondamentale alla ricostruzione della sua biografia. Accanto ai saggi dei curatori Tiziano Panconi ("Le divine": l'universo femminile nella Parigi di Boldini fra carteggi noti e il ritrovamento di documenti e lettere inediti) e Sergio Gaddi (Boldini e il rinnovamento dei primi anni francesi), il volume presenta i contributi di Loredana Angiolino (Giovanni Boldini e l'Esposizione Universale del 1889. Un inedito carteggio), Leo Lecci (Un consulente da Parigi per la prima Biennale. Giovanni Boldini e l'esposizione internazionale di Venezia del 1895), Marina Mattei (Boldini e Verdi due grandi italiani), oltre al catalogo delle opere suddiviso in quattro sezioni (La luce nuova della macchia 1864-1870; La Maison Goupil fra "chic" e "impressione" 1871-1878; La ricerca dell'attimo fuggente 1879-1891; Il ritratto Belle époque 1892-1924), le schede (a cura di Loredana Angiolino), l'epistolario inedito e la cronologia biografica di Giovanni Boldini (a cura di Tiziano Panconi e Loredana Angiolino).
Due filosofi e due storici delle religioni espongono le loro opinioni su un affascinante edificio 'misterioso', che la Sovrintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l'Area Archeologica di Roma ha negli ultimi anni restituito alla città e al mondo della cultura, salvandolo dal degrado e dall'infestazione micotica che ne disgregava i pregevoli stucchi. Si tratta della Basilica sotterranea di Porta Maggiore, a Roma, rinvenuta per caso durante i lavori della linea ferroviaria Roma - Napoli nel 1917. Da allora molti studiosi si sono cimentati per attribuirle un'appartenenza cultuale e religiosa, e per decifrarne il messaggio nei pregevoli stucchi che la adornano. In questo volumetto il mondo degli stucchi dell'ipogeo viene considerato da prospettive diverse, fornendo al lettore un prospetto 'a rilievo' di un monumento che elude conclusioni definitive.
Tra i tanti interessi di d'Annunzio dobbiamo annoverare anche quello di pittore; e, a dimostrare sino a che punto si dedicò a questa attività artistica, vi è questo libro, il quale ci mostra l'entità della sua inclinazione e le opere da lui realizzate. L'autore di questa ricerca è il biografo dannunziano Costanzo Gatta, figlio di Alfredo, che fu giornalista, critico musicale e teatrale del "Giornale di Brescia". Costanzo ha seguito le orme paterne e, ancora oggi, dedica in maniera assidua le sue energie al giornalismo. Nel 1972, inviato a Monaco dal quotidiano "La Notte" per seguire le Olimpiadi, fu uno dei due giornalisti italiani ad annunciare il blitz dei fedayn contro gli atleti israeliani. Per molti anni, infatti, Gatta è stato cronista del famoso quotidiano milanese "La Notte", diretto dal 1952 al 1979 da Nino Nutrizio.
La classica, originalissima opera in cui un grande artista italiano, noto in tutto il mondo per l'estrosità e la leggerezza delle sue creazioni, ha demolito una volta per sempre il mito dell'artista-divo per sostituirlo con la figura del 'designer'. Attraverso un'analisi di opere e di temi, condotta con disegni e immagini chiare e godibili, Munari fornisce una presentazione estremamente esauriente del design e delle sue diverse specializzazioni: visual design - industrial design -graphic design - design di ricerca.
Un tema di grande attualità, quello della separazione sempre maggiore tra l'arte pura e la produzione d'arte legata all'esigenza della grande industria e dei consumi di massa, affrontato con intelligenza e leggerezza nelle pagine vivacissime di Bruno Munari.