
«Dopo il volume inaugurale sui Vangeli dell'Infanzia, il secondo volume della collana L'arte racconta la Bibbia - come sottolinea p. Giulio Michelini nella Prefazione "non poteva che occuparsi della Passione: la vera origine dei Vangeli, infatti, è l'insieme degli eventi narrati alla fine dei quattro libri canonici, che vanno dall'ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme fino alla sua sepoltura. [...] Le rappresentazioni pittoriche della Passione, che questo volume, così prezioso, ci permette di comprendere e conoscere meglio, contengono non solo la storia delle sofferenze e della morte di Gesù, ma anche del modo in cui la teologia e la spiritualità si sono posti davanti a quello che è il cuore dell'iconografia cristiana". Articolato come un grande polittico di otto quadri che rispettano le scansioni evangeliche nella successione degli eventi, il testo delinea le varie tipologie iconografiche, analizza la raffigurazione dei personaggi in scena, spiega gli elementi simbolici che caratterizzano le opere, e lo fa - come è tipico di questa collana - grazie a «un'immensa convocazione di artisti che coprono l'intero arco della storia dell'arte cristiana» (card. Gianfranco Ravasi).»
Secondo una indovinata definizione di Renzo Arbore, Massimo Troisi era «un napoletano moderno». Moderno è anche il napoletano da lui portato in televisione e poi al cinema. In questo libro la lingua e lo stile di Troisi attore sono visti in correlazione con le modalità comunicative dei suoi anni, mentre si ridimensionano alcuni giudizi critici e stereotipi. "La Smorfia" di Troisi, Lello Arena ed Enzo Decaro irrompe in televisione negli anni Settanta del Novecento, con un uso consistente del dialetto, proprio quando si comincia frettolosamente a parlare di fine dei dialetti. Moderna è anche la soluzione adottata nel cinema, con un parlato recitato apparentemente incontrollato, ma in realtà minutamente dosato in un fluire dialogico che concede ampio spazio al dialetto. Oggi nella comunicazione spontanea i parlanti realizzano spesso frasi e discorsi in cui italiano, dialetto, italiano regionale si susseguono e si accavallano, proprio come accade nei film di Troisi, che sono documenti di modernità linguistica e di una rinnovata vitalità artistica dei dialetti.
Pubblicate grazie al lavoro di decine di artigiani tra il 1861 e il 1868, le incisioni di Gustave Doré per la "Divina Commedia" riscossero da subito un grande, meritato successo, tanto da imprimere i regni d'oltretomba nell'immaginario di più generazioni. Forse solo Michelangelo, nelle sue illustrazioni perdute per la "Commedia", aveva saputo rendere con energia paragonabile la plasticità tormentata dei corpi dei dannati, solo Botticelli la grazia e la leggerezza angelica dei beati. Impareggiabile resta la capacità di Doré di creare paesaggi inediti, dai mostruosi antri infernali mai toccati dal sole alla luminosità rarefatta dell'Empireo. Questo volume riproduce in forma integrale le centotrentacinque tavole, legandole con didascalie narrative che consentono di ripercorrere il viaggio dantesco "leggendo" le immagini: un omaggio al genio di Doré e insieme un invito a esplorare la "selva" dell'opera dantesca.
Oggi in Italia tutti hanno una ricetta in tasca per avvicinare gli italiani all'arte. Si tratta spesso di ricette a base di usurate pratiche di marketing, che dovrebbero far digerire Botticelli, come uno zuccherino aiuta a buttar giù la medicina amara, a cittadini considerati soltanto orde di consumatori inconsapevoli e irredimibili. Il risultato è desolante: ammesso (e per nulla concesso) che questa spintissima mercificazione serva a vendere qualche biglietto in più, è certo che non alimenta in alcun modo il nostro dialogo con l'arte. E se invece la ricetta fosse molto più semplice e rispettosa dell'intelligenza di ognuno di noi? Montanari traccia in queste pagine agili e appassionanti una possibile via per un'educazione artistica che sia anche educazione sentimentale e civica. E ci accompagna tra le strade del bello, dove alto e basso si mescolano, dove contemporaneo e classico sono parte di un unico grande discorso, che parte dalle mani impresse sulla roccia in una caverna e arriva a Banksy, passando per Raffaello, Monet, Pellizza da Volpedo e Rothko. «I monumenti ci parlano. In ogni modo provano ad attirare la nostra attenzione, implorano uno sguardo, una nostra sosta. Lo fanno perché, pur eterni o quasi, non vivono se non attraverso la vita dei vivi. Se accettiamo di far loro un po' di spazio nella mente e nel cuore, in cambio essi rendono più intensa, più profumata, più profonda la nostra vita. Temo che nessun produttore o responsabile di rete lo accetterebbe, ma il programma televisivo che davvero vorrei realizzare consisterebbe in una lentissima camminata in una qualunque chiesa storica del nostro Paese: e invece di fermarmi a far due chiacchiere con i passanti e i conoscenti, mi fermerei a leggere ogni lapide. Ognuno di quei brevi testi ha il potere di convocare davanti ai nostri occhi uomini e donne, eventi e pensieri, storie e vite di dieci secoli, e oltre. Dalla più sperduta chiesa si stende una rete di storie che avvolge l'Europa o il mondo interi, capace di farci sprofondare nei recessi intimi della nostra comune umanità».
Nel quadro del progetto editoriale «Percorsi Mechrí», la collana «Mappe del pensiero» mette annualmente a disposizione dei lettori i risultati della ricerca condotta dall'Associazione milanese «Mechrí / Laboratorio di filosofia e cultura», con la direzione organizzativa di Florinda Cambria e la supervisione scientifica di Carlo Sini. Preceduto da "Vita, conoscenza" (2018) e "Dal ritmo alla legge" (2019), il nuovo volume collettaneo "Le parti, il tutto" propone una retrospettiva sui lavori svolti a Mechrí nel 2017-2018. Tali lavori sono riattraversati dalla curatrice mediante un montaggio di testi e materiali grafici che rammentano il senso delle ricerche svolte da ciascuno degli Autori nel Laboratorio di Mechrí. Oggetto d'indagine condiviso è la relazione fra il molteplice e l'intero, interrogata entro una costellazione di linguaggi diversi. Filosofia e matematica, cinematografia e scienze naturali tracciano così un orizzonte transdisciplinare, nel quale ogni prospettiva testimonia il proprio essere manifestazione di un «sapere comune». Il volume è arricchito da un'ampia riflessione sul tema della transdisciplinarità, come criterio compositivo di funzioni o forme del conoscere, e da un'ampia riflessione sulla nozione stessa di «forma». In Appendice una raccolta di scritti, nati durante i recenti mesi di confinamento per emergenza sanitaria, esaminano gli effetti di didattica e «formazione a distanza» sulle attuali dinamiche di trasmissione e costruzione di conoscenza e coscienza collettiva. Contributi di Mario Alfieri, Enrico Bassani, Eleonora Buono, Florinda Cambria, Andrea Cavaggioni, Riccardo Conte, Francesco Emmolo, Rossella Fabbrichesi, Giovanni Fanfoni, Gianfranco Gavianu, Lorenzo Karagiannakos, Egidio Meazza, Manuela Monti, Andrea Parravicini, Gabriele Pasqui, Enrico Redaelli, Carlo Alberto Redi, Carlo Sini, Michela Torri, Fernando Zalamea.
Il Sabato santo rischia di essere considerato un intervallo vuoto tra la morte di Gesù e la sua risurrezione. Si tratta in realtà di un passaggio fondamentale per il cuore della fede cristiana, perché si colloca nel punto in cui morte e vita rifluiscono l'una nell'altra. Per spiegarlo, l’autore fa ricorso a tre film di Sean Penn, Spike Lee, Anne Fontaine e a un video di Bill Viola come se si trattasse di parabole contemporanee. Lo spettatore, con i protagonisti, è costretto a precipitare nel fondo oscuro della morte. Lì, con una logica sorprendentemente ineccepibile, avviene il rovesciamento e la vita si impone in tutto il suo fulgore. Luce e tenebre sono più intimamente connesse e la vittoria finale è completa proprio perché porta inscritto il dolore patito, non come un affronto fortunatamente superato o come la testimonianza di uno scampato pericolo, ma attraverso il segno dei chiodi sulle mani del Signore risorto.
Sommario
Introduzione. I. 11’09’’01 (Sean Penn, 2002). II. The 25th Hour (Spike Lee, 2002). III. Les innocents (Anne Fontaine, 2016). IV. Earth Martyr (Bill Viola, 2014).
Note sull'autore
Fabio Landi, licenza in Teologia sistematica, è docente al Liceo classico Parini di Milano e responsabile dell’Ufficio di pastorale scolastica della diocesi ambrosiana.
«Civiltà» è da sempre un concetto delicato, da maneggiare con cura. Una categoria ambigua, controversa, spesso definita per contrapposizione: da una parte «noi», i civilizzati, dall'altra «loro», i «barbari», vale a dire tutti quelli che non condividono i nostri valori. Anch'essi, però, hanno una loro storia da raccontare e persino una loro idea di arte. In realtà, con il termine «civiltà» dovremmo intendere una pluralità di mondi che si confrontano e dialogano fra loro attraverso il linguaggio dell'arte. E che attraverso l'arte ci parlano. Ma di cosa parlano le opere d'arte? Secondo Mary Beard, classicista di Cambridge, al cuore della creazione artistica ci sono due questioni coinvolgenti e controverse: la rappresentazione del corpo umano e la raffigurazione della divinità. Dai colossali faraoni egizi di Luxor alle ceramiche degli antichi greci, dalla statua di Afrodite ai guerrieri di terracotta sepolti insieme al primo imperatore della Cina, la figura umana è la chiave per comprendere non solo la rappresentazione del potere e la definizione dei ruoli sociali, ma anche la sessualità, l'erotismo, la virtù morale e politica, i valori di una comunità. Al punto che una particolare rappresentazione del corpo, risalente alla Grecia classica, ha contribuito a fissare i canoni della bellezza e della perfezione formale con cui per secoli l'Occidente ha valutato le altre culture. La seconda questione riguarda invece la raffigurazione visiva del sacro, un dilemma che tutte le religioni - spesso in bilico tra vanità idolatra e furore iconoclasta - hanno dovuto affrontare, giungendo a soluzioni superbe e affascinanti, come testimoniano lo splendore delle immagini musive della basilica di San Vitale a Ravenna, la Moschea Blu di Istanbul o le pitture rupestri delle grotte di Ajanta, che ritraggono il Buddha in cerca dell'illuminazione. "Civiltà" è un viaggio attraverso alcune delle pagine più emozionanti e meno note della storia dell'arte. Portando alla luce i tesori nascosti delle civiltà antiche, Mary Beard guarda oltre il canone tradizionale dell'immaginario occidentale e si rivela una guida preziosa per educare lo sguardo.
Lucio, chi sei tu? Un clarinettista jazz, un beatnik, un solista ventenne a Sanremo, un cantautore, uno dei più rivoluzionari musicisti della canzone italiana, una popstar globale adorata da quattro generazioni diverse? Lucio, dove vai? Nella tua Bologna in cui non si perde neanche un bambino, a Roma dove la sera fa miracoli, tra il caos di Corso Buenos Aires, nella Napoli il cui mare luccica? Lucio, cosa salvi dei momenti colorati che tu chiami vita? I dischi con il poeta Roberto Roversi, i concerti con De Gregori e Ron, le automobili delle Mille Miglia, «Caruso» cantata assieme a Luciano Pavarotti davanti a milioni di telespettatori? Ti contraddici, Lucio? Certo che ti contraddici: contieni moltitudini. E per fortuna le hai condivise con il mondo.
E ricomincia il canto è un viaggio nell’irripetibile, proteiforme, spettacolare esistenza di Lucio Dalla, narrato dalle sue stesse parole. Il ritratto di un artista che non si è mai negato ai microfoni, concedendosi generosamente a intervistatori di tutti i tipi – da Giorgio Bocca a Gianni Morandi, da Monica Vitti a Vincenzo Mollica – ed esponendosi no a mettere a nudo la sua più profonda intimità: la morte del padre a sette anni, l’intenso rapporto con la madre, i palchi calcati da adolescente autodidatta al fianco di Charles Mingus, Bud Powell ed Eric Dolphy, i lm con i fratelli Taviani e Mimmo Paladino, la passione per il basket, la devozione per Padre Pio, l’amore e il sesso, la creatività, la censura, le opinioni su venerati maestri e giovani esordienti – da Chet Baker ad Alanis Morissette, da Prince ai Nirvana –, le malinconie e le paure.
Curata dal musicologo Jacopo Tomatis, questa raccolta di interviste rappresenta un documento unico che attraversa i quarantacinque anni di carriera di una delle più grandi icone pop del nostro paese. Un’opera che ci ricorda che una canzone può terminare in qualunque momento, ma la sua musica continuare a risuonare: «Ma sì, è la vita che finisce / ma lui non ci pensò poi tanto. / Anzi si sentiva già felice / e ricominciò il suo canto».
Per secoli l'identità dell'Italia è stata legata ai suoi paesaggi e alla rappresentazione idealizzata delle loro forme. Un'immagine codificata da viaggiatori e artisti stranieri, che avevano riconosciuto l'unicità del Bel Paese in quella felice integrazione fra uomo e ambiente, fra architettura e natura, avvenuta in Italia nel corso della sua lunga storia. Il volume narra la parabola di quest'immagine, tracciandone la costruzione e le dinamiche legate ad alcuni elementi naturali simbolici, ma anche l'inefficacia e, in epoca recente, l'ambiguità. Gli autori dei saggi pubblicati in questo volume si interrogano sulle forze che hanno determinato le trasformazioni del paesaggio italiano contemporaneo e indagano l'avvio di nuove metamorfosi, dettate da una rinnovata consapevolezza per l'ambiente e le sue fragilità. In questo processo, un ruolo chiave è giocato dai paesaggisti. Operando con sensibilità su assetti compromessi, saranno loro a contribuire in modo significativo a una nuova Italia del paesaggio.
La grandiosa ouverture scelta, il Salmo 150, si erge come orizzonte interpretativo di tutta la questione “strumenti musicali e liturgia”. Vera perla preziosa di grande valore è poi il capitolo secondo, dove lo psal­te­rium iu­cun­dum costituisce un distillato della migliore eredità patristica sul tema, della quale Duri­ghello è grande conoscitore e appassionato. Tutta la seconda parte, infine, è un condensato di sapienza frutto di un lungo apprendistato alla scuola di tanti anni di insegnamento di mu­sicologia litur­gi­ca, di composizione di musica sacra e di prassi celebrativa vissuta sulla propria pel­le, oltre che sulle corde e sui flauti. I due ca­­pitoletti introduttivi della seconda parte offrono ancora un orizzonte di grande respiro nel comporre armonicamente Musica e Paro­la, Suono e Silenzio. E come non gu­stare an­co­ra quella sapienza evocata nelle ultime pa­gi­ne, dove viene esplicitata l’unica vera chiave interpretativa di ogni dibattito liturgico, cioè il ritmo del servizio che dovrebbe sempre bat­te­re il tempo di ogni canto e musica dei cri­stia­ni? Come parlare di strumenti musicali senza essere strumenti di servizio, di lode, di comu­nione? (don Giulio Osto, Prefazione)
Gianmartino Durighello, musicista, com­positore e insegnante di Conservatorio, collabora con l’Ufficio Liturgico Nazionale come docente al Coperlim. Insegna nelle Scuole di Musica per la Liturgia delle dio­cesi di Padova, Oppido Mamertina-Palmi e Venezia. Dal 2004 collabora come relatore a Celebriamo cantando, giornate di approfondimento promosse dalle Figlie della Chiesa, Roma, e con altre comunità e congregazioni religiose. Ha pubblicato testi di spiritualità liturgica e Lectio divina.
È destinato agli alunni (e docenti) del­­le Scuole e Istituti diocesani e par­roc­­chiali di mu­sica sacra. Utile anche ai di­rettori di cori e ai loro cantori più sen­­si­bili e preparati, com­presi gli alun­ni dei Con­servatori. È un’opera che non dovrebbe man­ca­­­re tra gli strumenti di con­sultazione e di ap­profondimento di tutti gli ani­ma­to­ri mu­­sicali della liturgia.
Queste pagine presentano sotto il profilo teologico quell'ambito esperienziale che è la musica. La musica è linguaggio singolare che, oltre ad essere altamente espressivo, si mostra "universale" perché capace di affratellarci; è linguaggio che come nessun altro sa far percepire il Mistero nella dimensione simbolico-estetica dell'arte. Non c'è espressione dei sentimenti umani più grande della musica. Sulla sua magia hanno riflettuto tanti uomini e donne di cultura lungo la storia (matematici e filosofi, musicisti e teologi...), aspirando a decifrare le orme della Bellezza che si rivela nella "teofania" dei suoni. Sulla loro scia, questo studio - nato dall'esperienza didattica - si pone a sua volta l'obiettivo di introdurre a un discorso teologico sull'intero fenomeno musicale, dalla sua genesi ispirativa fino alla sua realizzazione scritta, dalla sua esecuzione al relativo riscontro sull'uditorio, quale recezione contemplativa entro le categorie estetiche dell'arte. «La riflessione non si restringe all'ambito della musica sacra o della musica liturgica. Allarga, invece, l'orizzonte speculativo al "fenomeno musicale" in senso lato, là dove appaiono con evidenza possibili incidenze spirituali» (Sergio Militello).
All'inizio di marzo 2020 il mondo ha cominciato a riunirsi intorno a televisori, social network e social media, quasi contemporaneamente, per seguire le notizie sulla diffusione di un virus contagioso, il Covid-19. In pochi giorni si è passati da una situazione di normalità a una vita in maschera, tutti sollecitati a coprire naso, bocca e mani con protezioni sterili per sfuggire al contagio del coronavirus. In neanche una settimana gli scaffali di farmacie, supermercati, negozi di alimentari sono rimasti vuoti e le scorte di mascherine e guanti protettivi si sono esaurite persino su Amazon. La ricerca Mind the Queue! (MdQ) è nata dall'esigenza di comprendere se e che cosa abbiano avuto in comune, nel corso di quei primi due mesi di diffusione della pandemia, nazioni così distanti e diverse fra loro, in tutti i sensi: Costa d'Avorio, Cuba, Haiti, Iraq, Italia, Messico, Stati Uniti e Venezuela. È emerso che società lontane per cultura, economia, politica, hanno affrontato l'emergenza Covid-19 nello stesso modo, pur nelle loro differenze etniche, sociali e morfologiche. La ricerca MdQ, che si è sviluppata da marzo a maggio 2020, non ha avuto l'intento di fornire un contributo quantitativo alla migliore conoscenza della prima fase della pandemia in quei Paesi, quanto di aggiungere riflessioni e stimoli di tipo qualitativo al dibattito in corso, attraverso l'acquisizione sul campo di informazioni, dati, commenti raccolti direttamente da chi in quei due mesi stava vivendo un'esperienza unica. Senza avere alcuna pretesa di completezza, si ritiene che la conoscenza di quelle realtà sociali, acquisita attraverso questa ricerca, possa aver contribuito a migliorare la percezione delle dinamiche antropologiche e sociologiche sottese al sentimento della paura derivante da grandi emergenze, siano esse legate a fenomeni naturali o politici. Se mai ce ne fosse bisogno, come ha scritto uno degli intervistati, il virus ha confermato ancora una volta almeno una verità, cioè che siamo tutti uguali: Le Corona nous a montré que nous sommes tous pareils!