Le storie raccontate in queste pagine sono legate dall’esperienza della morte. Non intesa solo in senso letterale, ma nelle variegate sfumature dell’animo umano: la scomparsa di un figlio, il tradimento del coniuge, la diagnosi di una malattia degenerativa… situazioni difficili che talvolta fanno scivolare verso la chiusura in sé stessi, il rancore, la disperazione. Don Salvatore Bucolo e Adelaide Barbagallo, in un dialogo a due voci tra Sacra Scrittura e testimonianze di vita vissuta, ci presentano il racconto di chi, davanti a varie prove e sofferenze, non ha considerato gli eventi come una maledizione o una sfortuna, ma l’occasione per sperimentare la forza della risurrezione. Cristiani credibili che - sull’esempio delle grandi figure bibliche - sono diventati un segno di speranza per tutti. Ed è questo il messaggio che ci lasciano in eredità: solo i morti risorgono.
La generatività non è un metodo ma un modo di stare al mondo, un approccio responsabile e creativo alla realtà, alla luce del Vangelo. È l'arte di intuire nuove possibilità di vita e di relazione: in famiglia, nelle comunità, nel lavoro, nella scuola, nel sociale e in politica. Diventare artigiani di generatività significa concepire il tempo come possibilità di cambiamento, pregando e lavorando perché a ciascuno sia riconosciuto il diritto a vivere pienamente, nella fraternità. Non esistiamo semplicemente per adattarci al mondo ma anche per trasformarlo. Ecco il nostro debito, esistenziale ed educativo, verso le nuove generazioni. Ecco una delle sfide che siamo chiamati a raccogliere. Conclude il libro una lettera alle nuove generazioni.
Come è potuto accadere che alcuni passaggi dei Vangeli siano stati ritenuti follia, roba da spregiudicati buffoni di corte? Gli autori, dopo aver già affrontato alcune pagine scomode del Vangelo, e per questo decisamente disattese, tornano a proporne di nuove. Pagine purtroppo cadute quasi nel dimenticatoio o pesantemente annacquate. Con il loro stile diretto, audace, arricchito dalla loro lunga e profonda esperienza rivolgono al lettore una proposta chiara: o si ritorna a tutto il Vangelo, e a tutte le sue implicazioni di "salvezza", o la Chiesa non avrà rilevanza alcuna nell'annunciare la Buona Notizia. Sta a noi scegliere se vivere una religione senza fede o una fede che può ancora inverare la vita.
Un libro da leggere come si coltiva un giardino: ogni pagina è un seme, ogni parola una carezza, ogni silenzio una radice, per 365 giorni. Fiorisci in pieno inverno è un invito tenero e coraggioso a risorgere ogni notte, a credere che anche dal buio possano nascere fiori. Con voce profonda e luminosa, Francesco Fiorillo accompagna il lettore in un cammino interiore fatto di verità, delicatezza, libertà e speranza. Non è un manuale, è una compagnia. Un abbraccio per chi attraversa il gelo e sceglie di fiorire. Ancora. E sempre.
L’esperienza della preghiera è un elemento centrale della teoria e della prassi spirituale, non solo cristiana. D’altra parte, l’avanzata secolarizzazione delle società europee, l’erosione della metafisica classica e l’ambivalente "ritorno" e ri-politicizzazione della religione fanno sì che la preghiera diventi una questione aperta. In questo contesto Isabella Bruckner si propone di reinterpretare il tópos della preghiera sulla scia delle opere di Michel de Certeau (1925-1986) alla luce dell’elaborazione psicoanalitica di Jacques Lacan. Ne emerge così un’approfondita analisi degli studi interdisciplinari del teologo francese, storico e ricercatore sulla spiritualità e la mistica cristiana, identificando nel desiderio (désir) il punto di riferimento essenziale per riconoscere la preghiera come un luogo di confronto del soggetto con la sua mortalità e la sua vulnerabilità, uno strumento per realizzare il desiderio in modo simbolico. Un testo che sfida i paradigmi e genera dibattito, accolto con entusiasmo dal mondo accademico e vincitore del Karl-Rahner-Preis dell’Università di Innsbruck.
Il mondo attorno a noi è un grande cantiere: instabile, sorprendente, faticoso. Anche la nostra vita personale, familiare, comunitaria sembra un edificio continuamente in ristrutturazione. Spesso, sfiduciati, ci ritroviamo a lamentarci di fronte alle tante difficoltà. In questo libro - frutto di un’esperienza pastorale e spirituale concreta - l’abate Martin Werlen ci invita a gettare uno sguardo diverso, nuovo, sui "cantieri" della vita e a riconoscere l’incompiutezza come risorsa, come opportunità per riscoprire sentimenti di solidarietà e di fiducia nel futuro. Riflettendo sull’esperienza della ristrutturazione di un’antica canonica, ma anche sui passi biblici e provocazioni teologiche, impareremo a restare ancorati al terreno della realtà, a guardare le "impalcature" non come ostacoli ma come strumenti di crescita, a trasformare l’incertezza in slancio creativo, a costruire relazioni autentiche nell’epoca dell’individualismo valorizzando i contributi altrui, ad abitare la fragilità come spazio di grazia e di incontro. un invito rivolto a tutti - credenti e non - a smettere di lamentarsi (o di sognare mondi illusori) e a diventare operai di una speranza che abbraccia il mondo. Per cominciare ad agire con fiducia su solide fondamenta - e anche esercitando un pizzico di umorismo.
Di fronte alla sfida dell’incessante frenesia e crescente velocità della vita moderna, questo libro propone di ritrovare l’arte perduta di fermarsi, di rallentare il passo. Vivendo bene una giornata, cioè accogliendo la sua unicità, entrando nella sua lentezza, possiamo celebrare la sua santità. La necessità di riscattare il tempo e assaporare la vita, per il credente in Gesù Cristo, deve trovare espressione concreta in pratiche specifiche, di cui l’autore invita a riappropriarsi: l’osservanza del riposo sabbatico, il culto del giorno del Signore, la preghiera mattutina e serale, la preghiera dei Salmi, gli impegni presi "un giorno alla volta", la preghiera per il pane quotidiano, la compagnia a tavola, l’ospitalità, l’attenzione alla presenza di Dio. Per un cristiano, ogni nuovo giorno dovrebbe essere vissuto come un "sacramento" della grazia di Dio.
Cosa dire della vecchiaia in un tempo in cui assistiamo a un’esaltazione nevrotica della vita nella sua "eccellenza"? La vita deve essere bella, perfetta, intelligente, ricca di successo. La vita conta se appare, se maschera gli anni cancellando le rughe... La vecchiaia può trovare accoglienza, a patto che sia truccata. Contro l’immaginario comune che la considera niente più che una stagione di decadenza e di tristezza, l’autore cerca di risignificare questa età della vita mettendone in luce la bellezza e la ricchezza. Perché la presenza degli anziani può portare uno sguardo più sapiente sui tempi della vita e della grazia!
"Si può essere felici se si è grati. La gratitudine viene prima. La gratitudine è un modo di guardare, una possibile attitudine di vita che può dilatare spazi interiori di libertà. Di libertà e di gioia". Che cos’è la gratitudine? Da dove nasce? Perché parlarne? Per che cosa posso ringraziare? L’autrice, attraverso alcune suggestioni e spunti, tratti dalle pagine della Scrittura, che non hanno la pretesa di essere esaustivi, prova a rispondere a queste domande con la speranza che anche il lettore si lasci interrogare da questa disposizione interiore.
"La tolleranza autentica fiorisce non in spazi ermeticamente separati, ma in un intreccio rispettoso ove la verità dell’uno dialoga concretamente e attivamente con la verità dell’altro. Il principio di tolleranza, dunque, non vale a giustificare tutto. Non tutto è tollerabile!". In una società attraversata da una forte tendenza a chiudersi e a considerare la diversità una minaccia, occorre riscoprire il valore della tolleranza non come semplice sopportazione della differenza, ma come disposizione a entrare in dialogo con essa, per maturare nella libertà e nel rispetto reciproco. E andare oltre, in un cammino di avvicinamento e conoscenza dell’altro mai finito.
Che succede quando il tuo parroco diventa uno dei cardinali più influenti della Chiesa italiana? Quando quel prete di strada che conoscevi per nome diventa presidente della CEI e, per molti, anche un possibile futuro Papa? Massimo Orlandi ci accompagna in un viaggio dentro l’umanità e la spiritualità del cardinale Matteo Zuppi, per tutti ancora "don Matteo", attraverso conversazioni intime e domande che lo interpellano sui temi più caldi della vita cristiana e civile di oggi. In queste pagine emerge il ritratto autentico di un uomo che ha fatto della semplicità, del servizio e del dialogo la cifra della sua missione. Un pastore che parla con tutti, che ascolta davvero, che non perde occasione per tendere la mano ai più fragili. Prendendo spunto dalla vicenda personale di Zuppi, l’autore riflette sui temi scottanti della Chiesa, della società e della politica italiana e internazionale, di cui Zuppi, anche su incarico di papa Francesco, si è più volte occupato. Chiuso da una conversazione esclusiva con Francesco Guccini, questo libro è anche una riflessione a più voci su una Chiesa che deve tornare a sognare insieme. Perché, come ama ripetere don Matteo, "il sogno si fa in tanti, a occhi aperti-.
Nell’invito urgente a fare i conti con la realtà, senza più rifugiarsi negli ideali o in nostalgie di tempi passati, fratel MichaelDavide offre una riflessione ampia e coinvolgente su cosa significhi essere consacrati oggi, in un tempo di crisi vocazionale e trasformazioni ecclesiali. La vita consacrata non è ricerca di perfezione, ma di verità: queste pagine smascherano ogni tentazione di chiusura identitaria o di estetizzazione spirituale, affrontando questioni attualissime quali la solitudine affettiva, la sterilità vocazionale, l’invecchiamento degli istituti religiosi e la necessità di nuove forme di presenza nel mondo, che sfidano la vita consacrata a ripensarsi radicalmente come soglia aperta. Sulla base del "realismo pasquale-, postura spirituale che non nega la crisi, ma la attraversa alla luce della Pasqua di Cristo, il libro parla a tutti coloro che sono in ricerca e che, dentro o fuori la Chiesa, aspirano a una via per stare nel mondo con libertà, compassione e generatività.