
Tra un bagno di mare e una cena sotto la pergola della casa di Sperlonga, Vittorio Foa avvia intense conversazioni con gli amici che gli sono più vicini (siamo negli anni Ottanta, ai tempi dell'«edonismo reaganiano»). Al centro, le vicende forti della politica: anche di quella che è ormai storia. Vittorio Foa ha da poco finito di scrivere, con travaglio, la sua Gerusalemme rimandata. È assorto ma fuori campo. Da più di quattro anni ha scelto il ritiro dalla vita pubblica.
I temi s'intrecciano con la sua storia (la scelta antifascista e i suoi dilemmi, la crisi delle ideologie e insieme la speranza): discussioni appassionate sulla filosofia del mondo, guardando ai deboli, agli esclusi e al loro riscatto, proprio attraverso la politica, di cui il movimento operaio, i partiti della sinistra, il sindacato sono parti essenziali. Temi cruciali: quasi che Vittorio Foa e coloro che dialogano con lui percepissero profeticamente i segni di una svolta che segnerà in profondità l¿Italia del futuro. Senza conformismi né censure, si affrontano alla radice, rivisitandole, le parole chiave della sinistra: il progresso sociale, l¿esperienza del socialismo, la questione ambigua dei fini e dei mezzi. E poi, su tutte, il tema antiretorico, del rapporto tra biografia e politica: nello sguardo incrociato tra un protagonista che ha fatto la storia e chi la storia la studia (ai massimi livelli), la interpreta.
Arnoldo Foà appartiene alla stagione dei grandi protagonisti del teatro italiano: gli attori memorabili che con la loro personalità, acquistata a prezzo di sacrificio di sé ma portata con apparente facilità, occupavano l’intero ambito dello spettacolo nazionale, dal palcoscenico allo schermo alla camera di doppiaggio e, a partire dagli anni del miracolo economico, anche alla televisione. Una versatilità difficile da ritrovare oggi. Di quelle figure e di quelle professionalità, ne circolano non poche in questo libro, i tanti incontri che popolano la memoria di un grande attore. Ma in questa autobiografia – che meglio sarebbe definire, smorzando l’ironia, «ricordi»: eccentrici, lampi di vissuto, con un piacere particolare nel ricreare l’intensità di un rapporto umano, l’importanza di un incontro minore, il sarcasmo o la sgarbo inferto a qualcuno che lo meritava anche se pericolosamente potente –, in questo testo dal tono diretto di chi sa intrattenere si parla di più, in effetti, di quello che c’era dietro quelle grandezze, della materia dura che ha permesso di forgiare quella versatilità, cioè la vita. Molto avanti con gli anni, difatti, Foà ricorda se stesso molto più come un artista dell’esistenza che come un artista dello spettacolo. Molto più come un uomo burbero con se stesso e con gli altri, ma appassionato e vitalmente egoista come tutti gli artisti (lui dice), che ha dovuto molto lottare e molto sfidare, per non soccombere mai ai giorni mediocri. E certo le pagine più intense di questa autobiografia sono quelle dedicate ai tempi in cui da ebreo doveva nascondersi dietro agli pseudonimi e agli entusiasmi affamati del dopoguerra, e le pagine più piene di gratitudine quelle destinate ai tanti affetti, fedeli e infedeli, vero propellente di un burbero artista, che è stato attore scrittore scultore pittore e poeta e che può dichiarare infine: «ho fatto l’attore per vedere il mondo ». Una memoria di se stesso e per se stesso, che è un atto di vita, un’invettiva contro il tempo e una dichiarazione d’amore.
Arnoldo Foà (Ferrara, 1916), famoso attore teatrale, di cinema e televisione, è anche regista, pittore e scultore. Al lavoro di artista, ha sempre affiancato la scrittura: di commedie e drammi suoi («Signori buonasera», «La corda a tre capi», «Il testimone, «Amphitryon toujours», «Oggi»), di opere narrative e di poesia, tra cui La costituzione di Prinz, Le pompe di Satana, La formica, Joanna. Luzmarina.
I nove mesi di gestazione sono un tempo adeguato, perché inscritto dalla natura nel corpo e nella psiche umani, per preparare due genitori alla rivoluzione totale che un bambino in arrivo porterà. Quel tempo si fa terribilmente breve per molte donne e molti uomini incerti sul da farsi alla notizia della gravidanza, e ciò genera inevitabilmente fretta. Essa si combina con alcuni elementi socio-culturali di fondo: chiarirli è il primo merito di questo libro, frutto dell’esperienza dell’Autrice come psicologa clinica e di studi specifici sulla materia. Le tante storie raccontate descrivono il dramma di quel poco tempo destinato spesso, quando la decisione è di interrompere la gravidanza, a generare un lutto che permarrà non elaborato per molti anni o addirittura per sempre. Alcune parole chiave isolate al termine di ogni storia fissano ciò che le accomuna. Vengono inoltre presentati gli ultimi studi scientifici sul post-aborto e il metodo di cura “Centrato sul bambino”, per superare il senso di colpa, perdonare e perdonarsi, dare un nome e lasciare andare il figlio abbandonato.
Forse il degrado della politica e delle sue parole sta proprio nell'agire pensando di essere soli e nel pensare solo a se stessi. "Nei primi anni del secolo con Federica Montevecchi abbiamo pensato di scrivere questo libro con un obiettivo che si presentava ambizioso. Eravamo profondamente colpiti dal degrado del linguaggio politico in quel periodo che per brevità, e con una certa facilità polemica, chiamavamo il tempo di Berlusconi e che era anche il tempo nostro. In politica si parlava a vanvera, le parole non avevano più peso, soprattutto quelle del governo: se si poteva dire solo quello che conveniva, quale significato poteva avere un impegno per O futuro? Ci proponevamo, con Federica, di analizzare i motivi di questo degrado e, se possibile, di indicare una via di uscita. Il nostro punto di partenza sembrava semplice: perché le parole della politica apparivano prive di senso?". Così scrive Vittorio Foa introducendo questo volume in cui, ciascuno dei due autori compone una riflessione sul senso delle parole della politica.
Descrizione dell'opera
Negli ultimi anni della seconda guerra mondiale, una rete clandestina di soccorso opera in provincia di Modena per aiutare gli ebrei perseguitati dal nazismo. Ne fanno parte uomini di diversa fede politica e religiosa, che non esitano a mettere a repentaglio la loro vita per salvare centinaia di persone altrimenti destinate alla morte nei campi di concentramento.
Odoardo Focherini (1909-1944) è uno di questi: giornalista cattolico, padre di sette figli, viene arrestato, deportato e troverà la morte nel campo di lavoro di Hersbruck. Insignito della medaglia di Giusto fra le nazioni dallo Stato d Israele e della medaglia d oro al merito civile dalla Repubblica italiana, beatificato dalla Chiesa cattolica nel 2013, Focherini viene raccontato in questo libro dalla figlia primogenita Olga, che per anni ha conservato e promosso la memoria paterna. Una testimonianza in presa diretta che intreccia storia e ricordi sullo sfondo di uno dei periodi più bui del ventesimo secolo.
Sommario
Introduzione. ; La mia famiglia. ; Parrocchie e giornali. ; «Questo ascensore è vietato agli ebrei». ; La prigionia e le lettere. ; «Signora, vedrà che torna». ; Cronologia di Olga Focherini. ; Fonti. ; Bibliografia. ; Videografia.
Note sul curatore
Odoardo Semellini, figlio di Olga Focherini, è operatore culturale al Comune di Carpi. Ha curato, in collaborazione con Ulderico Parente e Maria Peri, la riedizione delle Lettere dalla prigionia e dai campi di concentramento (EDB 2013) e si occupa dell'Archivio della Memoria di Odoardo Focherini.
"Non ci fu cosa o soggetto che non ebbe posto nell'immensità dell'arte di Hokusai, pari all'immensità dell'universo. Si può dire che l'artista fu inebriato dallo spettacolo della vita e dalla molteplicità delle forme e che, neppure nei periodi di intenso naturalismo, l'arte giapponese aveva conosciuto qualcosa di simile. [...] Gli uomini e gli animali, gli umili testimoni dell'esistenza quotidiana, la leggenda e la storia, le solennità mondane e i mestieri, tutti i paesaggi, il mare, la montagna, la foresta, il temporale, le tiepide piogge delle primavere solitarie, l'alacre vento agli angoli delle strade, la tramontana sull'aperta campagna, tutto questo più il mondo dei sogni e il mondo dei mostri costituisce il regno di Hokusai, se alla parola è dato di segnarne i limiti. [...] Vita e movimento, studiati nella fatica o nella gioia degli uomini, come nel brulichio del mondo animale, nel brusco scatto che fa saltare l'insetto, in un nervoso colpo di pinna, ecco il grande principio che governa la curiosità dell'artista e la tiene desta ovunque una forma organica si muove, si agita, si dimena e si contorce. La cultura di una sensibilità delicata, la meditazione dei grandi esempi ereditati dal passato, la ricerca di uno stile che risiede nella ponderazione o nell'immobilità non potevano soddisfare l'artista. Hokusai ha voluto che la sua arte fosse pari, non alla creazione di uno splendido sogno solitario, ma pari al fremito e all'energia delle forme viventi."
In questo libro Fodor esamina lo stato delle odierne scienze della mente. E le conclusioni cui perviene sono radicali: contro la retorica ottimistica di chi sostiene che la scienza cognitiva sarebbe ormai in grado di svelarci "come funziona la mente" (riferimento a un fortunato libro di Steven Pinker), Fodor argomenta che "la mente non funziona così". La realtà nuda e cruda, a suo giudizio, è che in relazione ad alcuni fenomeni mentali la scienza cognitiva ha cominciato solo ora a muovere i primi passi, mentre in relazione ad altri brancola nel buio più totale. Per dimostrare la sua tesi Fodor focalizza l'attenzione sul programma di ricerca noto come psicologia evoluzionista e offre un'istantanea dei più recenti sviluppi in scienza cognitiva.
Esther Safran Foer è cresciuta in una casa in cui il passato faceva troppa paura per poterne parlare. Figlia di genitori immigrati negli Stati Uniti dopo essere sopravvissuti allo sterminio delle rispettive famiglie, per Esther l'Olocausto è sempre stato un'ombra pronta a oscurare la vita di tutti i giorni, una presenza quasi concreta, ma a cui era vietato dare un nome. Anche da adulta, pur essendo riuscita a trovare soddisfazione nel lavoro, a sposarsi e a crescere tre figli, ha sempre sentito il bisogno di colmare il vuoto delle memorie famigliari. Fino al giorno in cui sua madre si è lasciata sfuggire una rivelazione sconvolgente. Esther ha deciso allora di partire alla ricerca dei luoghi in cui aveva vissuto e si era nascosto suo padre durante la guerra, e delle tracce di una sorella di cui aveva sempre ignorato l'esistenza. A guidarla, solo una vecchia foto in bianco e nero e una mappa disegnata a mano. Quello che scoprirà durante il suo viaggio in Ucraina - lo stesso percorso che Jonathan Safran Foer ha immaginato per il protagonista del suo romanzo, "Ogni cosa è illuminata" - non solo aprirà nuove porte sul passato, ma le concederà, finalmente, la possibilità di ritrovare se stessa e le sue radici.
Senza soffermarci troppo a riflettere sulle conseguenze, nell'ultimo decennio abbiamo accolto con entusiasmo i prodotti e i servizi di alcune grandi aziende: facciamo acquisti su Amazon, socializziamo su Facebook, ci affidiamo a Google per ogni tipo di informazione e Apple ci fornisce gli strumenti digitali. Queste aziende ci hanno venduto (spesso regalato) la loro efficienza e le loro idee asserendo di voler migliorare la nostra vita e la diffusione della conoscenza, ma in realtà puntavano a un unico obiettivo: ottenere il monopolio assoluto del loro mercato. Espandendosi, questi nuovi poteri forti si sono proposti come difensori delle individualità e del pluralismo, ma i loro algoritmi ci hanno schiacciato in una condizione di assoggettamento e ci hanno privato della nostra privacy. Senza che ce ne accorgessimo, hanno fatto incetta di una merce molto ambita: i nostri dati personali. Chi siamo, dove abitiamo, cosa ci piace leggere, quali sono i nostri gusti sessuali e il nostro orientamento politico. I big mondiali della tecnologia sanno tutto di noi. Di più: pensano, scelgono e decidono per noi. Hanno prodotto un nuovo tipo di ignoranza e ci stanno guidando verso un futuro privo di autonomia e di libero pensiero. Per riconquistare la nostra individualità, è essenziale quindi smettere di lasciarsi sedurre acriticamente dalle loro lusinghe e comprendere i segreti del loro successo.
Quaranta giorni. È il tempo che ciascuno di noi spreca in media ogni anno per rimediare a ciò che dimentica: per andare a recuperare il cellulare lasciato chissà dove, per cercare le chiavi di casa o per rintracciare informazioni importanti. Joshua Foer rientrava a pieno titolo in questa media, ma dopo un anno di allenamento si è ritrovato alla finale del Campionato statunitense della memoria. Dunque la memoria si può davvero migliorare, chiunque può riuscire a imparare 1528 numeri a caso in un'ora e ricordarseli tutti, come il pluricampione del mondo Ben Pridmore. Ripercorrendo la storia della mnemotecnica dall'antica Grecia ai giorni nostri e illustrando metodi concreti grazie ai quali possiamo tenere a mente le informazioni che ci interessano, Joshua Foer ci dimostra che "in ognuno di noi si nasconde un piccolo Rain Man". Che la memoria è un dono che tutti possediamo ma di cui spessissimo ignoriamo le potenzialità. "Che cosa ha significato per l'individuo e per la società" si chiede Foer "il passaggio da una cultura fondata sulla memoria interna a una cultura basata sulle memorie immagazzinate al di fuori del cervello? Tutto questo per noi è stato senz'altro un guadagno, ma con che cosa l'abbiamo barattato? Come affrontiamo il fatto di aver perso la memoria?" A queste e a molte altre domande cerca di rispondere il saggio di Joshua Foer, che ha suscitato un grande interesse nella stampa e nel pubblico degli Stati Uniti.