
I terroni 2.0 che lasciano il Mezzogiorno per studiare e lavorare altrove sono dei veri rivoluzionari, affermano una loro personalissima "dichiarazione d'indipendenza", rinunciando alla rete di protezione che li circonda, scegliendo di farsi artefici del proprio destino e non vivacchiare in perenne attesa del "posto", del "favore", del "permesso". Non torneranno a vivere "a casa", vi "scenderanno" per qualche giorno di vacanza e magari per una cerimonia particolare: dovunque andranno, qualsiasi traguardo professionale raggiungeranno, i terroni 2.0 continueranno a sentirsi figli del Sud, un'appartenenza che non è un marchio da cancellare, bensì un aspetto dell'identità quotidiana rielaborato in salsa globale. Gli appelli a non partire o a tornare sono inutili, se non dannosi. È più opportuno provare a stimolare una "coscienza di classe" nell'animo di questi nuovi emigrati contemporanei, invitandoli a partecipare alla vita pubblica del Mezzogiorno anche a distanza. In una fase drammatica per la storia e l'economia nazionale, la speranza dell'Italia e del Sud deriva anche e soprattutto da questo esercito di menti brillanti: come un libero governo in esilio, hanno il compito di organizzare la resistenza culturale, diffondendo l'eresia del merito e della legalità. Sono queste le "rimesse" che i terroni 2.0 possono spedire a casa: il know-how e una nuova forma mentis.
Hervé Falciani ha messo ko il segreto bancario svizzero. Non era mai successo che l'intero archivio di una banca fosse copiato e rivelato alla pubblica opinione. La famosa Lista Falciani ha fatto tremare i salotti buoni di tutta Europa e continua ad agitare il sonno di politici, banchieri, imprenditori, campioni sportivi e riciclatori di enormi somme di denaro (sarebbero più di diecimila i clienti italiani, per un totale di 8 miliardi di euro). Ecco la versione dell'uomo più temuto d'Europa, inseguito da servizi segreti, magistrati, poliziotti, una primula rossa versione 2.0, ex dipendente di una delle più grandi banche del mondo, la Hsbc... La sua storia non l'aveva ancora raccontata: dai primi passi al casinò di Montecarlo alla banca di Ginevra, la fuga dalla Svizzera, le minacce di morte, il finto rapimento, il viaggio in Libano, il carcere a Madrid, la collaborazione con i magistrati spagnoli, francesi e americani (mentre l'Italia sta alla finestra per timore che salti fuori qualche nome importante) che ha fruttato il recupero di centinaia di milioni di euro. Un'avventura dopo l'altra che culmina con il progetto di una rete internazionale per aiutare le gole profonde che denunciano casi di corruzione e di frode fiscale: lui le chiavi per far saltare il sistema le ha e lo dice, rischiando grosso. In gioco ci sono la sua reputazione, la sua famiglia e l'avvenire politico dell'Europa.
La nonviolenza continua nei decenni e nei secoli a scorrere come un pacato fiume sotterraneo che di tanto in tanto affiora in fresche sorgenti e che, anche nel contesto italiano, non cessa di fertilizzare senza clamori il terreno sociale. Lontana da pretese assolutizzanti, essa resta aperta, come voleva Aldo Capitini, il padre della tradizione nonviolenta italiana: aperta a coltivare e generare nuove pratiche di convivenza e condivisione tra gli esseri venuti alla vita.
Anche per continuare a coltivare, a fertilizzare, a generare, nasce questo libro, nella persuasione che la nonviolenza può portare alla luce un’umanità più in pace, che sceglie di essere, come voleva Alex Langer, più lenta, più profonda, più gentile.
L’educazione con e per la nonviolenza è drammaticamente cosciente dei limiti della realtà, ma non rinuncia a tendersi in avanti, a sporgersi su un futuro di liberazione che abbracci i Tutti e dischiuda per Tutti la dimensione della festa. Tutti è il plurale di Tu, diceva Aldo, parola sacra, categoria principe, parametro irrinunciabile di ogni discorso pedagogico, e quindi politico.
Al cuore di ogni riflessione in tal senso, resta la domanda capitiniana: Dobbiamo aiutarlo [il fanciullo] a svilupparsi per far parte di questa umanità-società-realtà, pur nella nostra convinzione che questa umanità-società-realtà non sia accettabile?. La risposta farà da discrimine tra un’educazione che accetterà il reale come naturalmente buono (o legittimamente cattivo) e chiederà ai nuovi nati di adeguarvisi per riprodurlo e un’educazione che sceglierà l’opzione radicale di aggiungere tramutando.
Nella società delle immagini il colore informa, come nelle mappe. Seduce, come in pubblicità. Narra, come al cinema. Gerarchizza, come nelle previsioni del tempo. Organizza, come nell'infografica. Valorizza, come nei cosmetici. Distingue, come negli alimenti. Oppone, come nella segnaletica stradale. Si mostra, come nei campionari. Nasconde, come nelle tute mimetiche. Si ammira, come nelle opere d'arte. Infine, nell'esperienza di ciascuno, piace. Tutto questo accade grazie a qualche tecnologia. In primis quella dei mass media, che comunicano e amplificano le abitudini cromatiche. Il pubblico osserva, sceglie, impara; finché queste consuetudini non standardizzano la percezione e il colore comincia a parlare da solo, al punto da sembrare un fatto naturale. Perché le matite gialle vendono di più delle altre? Perché Flaubert veste di blu Emma Bovary? Perché nei dipinti di Mondrian il verde non c'è mai? E perché invece Hitchcock lo usa in abbondanza? Intrecciando storie su storie, e con l'aiuto di 400 illustrazioni, Falcinelli narra come si è formato lo sguardo moderno, attingendo all'intero universo delle immagini: non solo la pittura, ma anche la letteratura, il cinema, i fumetti e soprattutto gli oggetti quotidiani, che per la prima volta ci fa vedere in maniera nuova e inconsueta. Tutte le società hanno costruito sistemi simbolici in cui il colore aveva un ruolo centrale: pensiamo al nero del lutto, al rosso del comunismo o all'azzurro del manto della Madonna. Ciò che di straordinario è accaduto nel mondo moderno è che la tecnologia e il mercato hanno cambiato il modo in cui guardiamo le cose, abituandoci a nuove percezioni. Visto su uno smartphone, un affresco risulta luminoso come una foto digitale. Le tinte cariche e brillanti dello schermo sono ormai il parametro con cui valutiamo la purezza di ogni fenomeno cromatico. Chi ha conosciuto il colore della televisione, insomma, non può più vedere il mondo con gli occhi del passato. Magari non ne siamo consapevoli, ma abbiamo in mente il giallo dei Simpson anche di fronte a un quadro del Rinascimento. "Cromorama" ci racconta come oggi il colore sia diventato un filtro con cui pensiamo la realtà.
La sera del 29 gennaio 1996 un incendio illumina il cielo di Venezia: il teatro La Fenice brucia. L'incendio è stato appiccato dal titolare di una piccola ditta in ritardo sulla fine dei lavori per il restauro del teatro. Giorgio Falco ha scritto un libro che come un incendio illumina e divora il suo oggetto: ricostruzione di una storia vera e sua decostruzione; romanzo di un'ossessione; indagine sul desiderio e sul potere del denaro di trasformare le cose e i corpi; ritratto in maschera degli ultimi quarant'anni di storia italiana, autobiografia di tutti. Quando l'incendio si spegne, "Flashover" è il libro per capire il mondo che resta.
Mio padre tornava a casa dall'ufficio e ripeteva ossessivamente una frase: "Sta diventando una cosa impossibile". Ma che cosa o chi stava diventando una cosa impossibile? Qualcosa di più grande del lavoro e di più piccolo della vita? O era così debordante da essere più grande della vita? C'erano giorni in cui molte piccole cose che componevano la vita erano più potenti e importanti della vita stessa, che pareva un'entità misera, lontana. Allora fuori esisteva questa cosa che rendeva la vita impossibile a mio padre, a milioni di esseri umani e animali e vegetali, e la cosa diventava impossibile perfino per se stessa, si sarebbe suicidata senza rendersene conto, questa cosa che nemmeno si poteva definire continuava a lievitare, soffocava l'esistenza di tutto.
Le nostre vite sono fatte di relazioni con gli altri: in famiglia, al lavoro, al bar, in palestra. È quindi essenziale comunicare bene con chi ci sta attorno per capire e farsi capire. Ma come migliorare la qualità dei nostri rapporti con gli altri? Quali sono le trappole e i segreti della comunicazione nella vita di ogni giorno? Esistono delle ricette per instaurare dei buoni rapporti umani? Giuseppe Falco risponde a questi interrogativi e fornisce degli strumenti semplici e immediatamente applicabili nella vita quotidiana per migliorare la qualità delle relazioni. Si tratta di abilità come: comunicare meglio con sé stessi, comprendere a fondo gli altri anche negli aspetti non verbali del comportamento, esprimere in modo chiaro e rispettoso il proprio punto di vista e saper risolvere o almeno gestire gli inevitabili conflitti interpersonali.
Le nostre vite sono fatte di relazioni con gli altri: in famiglia, al lavoro, al bar, in palestra. E quindi essenziale comunicare bene con chi ci sta attorno per capire e farsi capire. Ma come migliorare la qualità dei nostri rapporti con gli altri? Quali sono le trappole e i segreti della comunicazione nella vita di ogni giorno? Esistono delle ricette per instaurare dei buoni rapporti umani? Giuseppe Falco risponde a questi interrogativi e fornisce degli strumenti semplici e immediatamente applicabili nella vita quotidiana per migliorare la qualità delle relazioni.
"Se i commissari raccontassero le storie (che si possono raccontare...) vissute nelle loro esperienze... sono convinto che si raccoglierebbe del materiale di straordinario valore pedagogico istituzionale per i colleghi più giovani... perché la realtà supera spesso la fantasia e il nostro paese è unico nella sua ricchezza ed eterogeneità..." (L'autore)
il libro propone, forte di teoria e pratica ben consolidate, il recupero di aspetti, spesso sottavalutati dagli stessi psicologi, che contribuiscono attivamente alla conoscenza, basilare per la terapia. Del soggetto". " LA DIAGNOSI COMPLETA", SECONDO L'AUTRICE INDISPENSABILE E PRELIMINARE AD OGNI TRATTAMENTO TERAPEUTICO, TALVOLTA VIENE SOTTOVALUTATA DAGLI STESSI PSICOLOGI CLINICI CHE, PER NON SENTIRSI "DECLASSATI" AL RUOLO DI TECNICI, SPESSO EVITANO LA SOMMINISTRAZIONE DEI TEST, PERDENDO COSI`DEGLI ELEMENTI ESSENZIALI ALLA CONOSCENZA DELL'IN DIVIDUO. IL LAVORO SI A RTICOLA IN DUE PARTI: N ELLA PRIMA, PURAMENTE TEORICA, DOPO UN BREVE ACCENNO AI VARI TIPI DI DIAGNOSI, SI CERCA DI DARE UNA DEFINIZIONE DELLA DIAGNOSI CLINICA E SI PONE L'AC CENTO SULL'IMPORTANZA DELLA T EORIA DI RIFERIMENTO E SULLA PECULIARITA DEI SINGOLI STRUMENTI NELL'EVIDENZIARE I DIVERSI ASPETTI DELLA PERSONALITA. LA SECONDA SEGUE LE VARIE TAPPE - E LE DIFFICOLTA - DELL'ITER DIAGNOSTICO CHE IL CLI NICO E IL PAZIENTE PERCORRONO INSIEME PER RAGGIUNGERE IL LORO COMUNE OBIETTIVO: LA CONOSCENZA DEL SOGGETTO CHE HA CHIESTO "AIUTO". "
«Noi consideriamo la diagnosi sempre utile per la conoscenza della personalità globale del soggetto, indispensabile se lo scopo è la scelta di un trattamento: essa, utilizzando strumenti diversi, come osservazione, colloqui, test, facilita la comprensione e permette di fare previsioni individualizzate riguardo il comportamento di persone che sono organizzate in modo peculiare ed unico». (Holt, 1968).
I test integrano i dati ottenuti con i colloqui perché: 1) riguardano livelli diversi di comportamento, 2) fanno emergere contenuti più profondi dal momento che non si può prevedere il significato delle risposte, 3) mettono in risalto le parti sane su cui si poggerà la terapia, 4) danno indicazioni utili per l'indicazione o controindicazione al trattamento ed individuano quello più idoneo, 5) evitano il rischio di dover affrontare problemi più gravi di quelli previsti, magari, senza gli strumenti e le capacità adeguati, permettono una prognosi, sono - in sostanza - il «miglior modo» per conoscere l'individuo.