
"Utopia," dice Lewis Mumford nella prefazione del 1922 a questo libro, "può derivare dalla parola greca 'eutopia', che significa il buon posto, o dall'altra parola greca 'outopia', che significa nessun posto." Ed e lo stesso Mumford a chiarire il contesto intellettuale da cui questo suo lavoro ha tratto origine: "Poco dopo la Prima guerra mondiale, vivevo ancora nel clima di speranza della generazione passata; ma mi rendevo conto che l'entusiasmo del grande Diciannovesimo secolo era giunto alla fine. Quando ho iniziato a esaminare storicamente le utopie, intendevo chiarire che cosa in esse fosse andato perduto e definire che cosa fosse ancora valido. Fin dal principio ero conscio di una virtù che era stata inspiegabilmente trascurata: le opere classiche degli utopisti trattavano sempre la società come un tutto unico e tenevano conto dei rapporti esistenti tra funzioni, istituzioni e fini dell'uomo. La nostra civiltà ha poi diviso la vita in compartimenti. Sono giunto dunque a considerare il pensiero utopista come l'opposto dello spirito unilaterale, partigiano, specialistico". Di questo bisogno di scenari non angusti - che si ripropone oggi come un'esigenza forse troppo trascurata - discute l'introduzione di Franco Crespi, sull'inattuale attualità dell'utopia.
L'Italia di cui si parla in questo volume comincia il 25 aprile 1945, giorno della Liberazione dal nazifascismo, e finisce il 9 maggio 1978, con il ritrovamento a Roma, in via Caetani, del cadavere di Aldo Moro nel bagagliaio di una Renault 4. Nel periodo che intercorre tra queste due date, il nostro Paese cambia, radicalmente e tumultuosamente, nel senso di una modernizzazione articolata e complessa. Nell'arco di poco più di trent'anni si alternano la ricostruzione, il boom economico, la crisi, la contestazione, fino agli esiti tragici del terrorismo. I media accompagnano il cammino della nazione: il teatro, il giornalismo e l'editoria, la radio e la televisione scandiscono la vita collettiva, prima nello sforzo condiviso di 'fare gli italiani', poi raccontando, in modo critico o partecipe, le trasformazioni economiche e sociali del Paese. L'industria culturale intercetta l'aumento dei consumi e si struttura compiutamente articolando la trasmissione dei contenuti in un prodotto destinato a un pubblico, e a volte diventando essa stessa protagonista dei mutamenti. La narrazione dell'evoluzione storica dei media italiani nel dopoguerra, compiuta dagli studiosi che firmano i saggi del volume, ci restituisce i colori vividi di questo grande affresco comunicativo che ha educato, divertito, commosso e informato intere generazioni. Possiamo seguire l'evoluzione del teatro da Strehler a Ronconi; le sperimentazioni del giornalismo dal "Mondo" di Pannunzio al "Corriere" di Ottone...
Esiste una cultura di destra? Quali sono i suoi riferimenti? Ha ancora senso in un'epoca post ideologica come quella attuale parlare di una categoria come la destra seppur in ambito culturale? Sono alcune delle domande a cui Francesco Giubilei risponde in questo saggio che colma una lacuna editoriale: ad oggi non esiste uno studio divulgativo che organicizzi pensatori, scrittori, giornalisti, editori, intellettuali italiani dal dopoguerra ai nostri giorni ascrivibili a quest'area di pensiero pur con le rispettive di differenze. Una mancanza dovuta al tentativo di imporre un'egemonia culturale da parte del mondo progressista a discapito del pensiero conservatore, tradizionalista, cattolico, più in generale non conforme, poiché, data l'eterogeneità che caratterizza la destra italiana, sarebbe più corretto parlare di "cultura delle destre". Un'opera che si sofferma anche sulle critiche, i tentativi di boicottaggio e addirittura di negazione di un'area di pensiero che raccoglie alcune delle voci più autorevoli della cultura italiana: da Leo Longanesi a Giuseppe Prezzolini, da Indro Montanelli a Giovanni Volpe.
La storia degli ultimi cinquant'anni del ventesimo secolo è per molti aspetti, in Europa, storia di partiti di ispirazione cristiana: ne ha visto lo sviluppo poderoso nel secondo dopoguerra, dovuto a fattori anche molto diversi come la Resistenza, la cancellazione dei partiti moderati della destra tradizionale, la minaccia comunista, la guerra fredda, il voto alle donne, il sostegno della Chiesa cattolica, il relativo declino degli anni dello sviluppo economico e l'evoluzione della stessa Chiesa sotto l'effetto del Concilio Vaticano II. E la crisi, assai pià grave, sopravvenuta negli ultimi anni del secolo, a cui non è probabilmente estraneo il "crollo del muro" nel 1989.
Adalberto Baldoni ricostruisce il percorso della destra in Italia dalla nascita del Msi fondato dai postfascisti Romualdi, Michelini e Almirante nel 1946 fino al congresso del Popolo della libertà, passando per la svolta di Fiuggi del 1995 voluta da Fini con la nascita di Alleanza nazionale. L'autore non trascura nessuna tappa fondamentale: la politica dell'inserimento che naufraga nel 1960 a Genova, il '68, l'inizio della strategia della tensione che costringe il Msi in trincea, la Costituente di Destra, la scissione di Democrazia nazionale, la Nuova destra, i campi hobbit e la musica alternativa, la destra come forza di governo, la fusione con Forza Italia. Vengono anche ricordati personaggi, giornali, gruppi, case editrici che hanno animato la politica e la cultura per oltre sessant'anni di storia italiana.
Gli esseri umani oggi ritengono che la felicità sia un diritto di natura. Il problema è che non è sempre stato così, e soprattutto l'idea di felicità non è sempre stata la stessa. Per gli antichi greci, la felicità coincideva con la virtù ed era un dono degli dei. Per i romani, implicava la ricchezza e il favore degli dei. Per i cristiani, era sinonimo di Dio e implicava la fine delle sofferenze terrene e la beatitudine eterna. Insomma, la felicità è sempre stata al vertice delle ambizioni umane: uno stato di perfezione a cui aspirare. Tuttavia è solo negli ultimi due secoli che gli uomini hanno iniziato a considerare la felicità un obbligo, un diritto, e non una delle tante possibilità dell'esistenza. Nel ricostruire la storia dell'idea di felicità, Darrin McMahon mette in luce la rivoluzione che si è prodotta nel Settecento, e che ha plasmato l'idea dell'uomo e delle sue aspettative terrene, ma ha avuto un forte impatto anche sulla politica. Utilizzando la genetica e la psicologia, passando dalla pubblicità e dal consumismo ai simboli sorridenti degli sms e allo "smiley", passando per il Prozac, il libro dimostra come questa forsennata ricerca della felicità possa anche provocare nuove infelicità.
L'importanza della storia della lingua ebraica va molto al di là dell'aspetto meramente linguistico. In quanto lingua della Bibbia, l'ebraico fu considerato per molto tempo dai teologi come «la madre di tutte le lingue». La sua storia è tutt'uno con quella del popolo ebraico nella sua terra prima e nella Diaspora poi. Dopo secoli di torpore, durante i quali l'ebraico era diventato solo una lingua liturgica e una lingua scritta, miracolosamente è tornato a rivivere nella terra che l'ha visto nascere.
Di mafie al mondo ce ne sono molte, ma è quella siciliana la mafia storica e la madre di tutte le altre. Per secoli ha alimentato la "Sicilia politica"; dopo l'unificazione nazionale è diventata parte integrante delle vicende del potere in Italia; dall'età dei padrini a quella dei boss, ha via via assunto rilievo internazionale intrecciandosi con le sorti del peggiore affarismo; infine si è addirittura innervata nelle più segrete e inquietanti operazioni "strategiche" dell'Occidente durante la guerra fredda. Il quadro degli eventi è tale da produrre un forte impatto sia sul lettore comune che sullo specialista: un grande affresco di potenti e poveracci, gattopardi e gabeliotti, briganti e politici, notabili e preti, affaristi e narcotrafficanti, tangentisti e massoni. Non si tratta, dunque, di un impasto di cronache di criminalità, bensì di una densa materia politica e sociale. Analizzarla significa indagare su processi di cui è protagonista l'Italia intera nel sistema mondiale delle sue relazioni e alleanze. Da questa prospettiva, e pensando anche al filo che lega la mafia ai misteri della prima repubblica, si coglie il dramma dell'antimafia e la reale portata etico-politica della "rivolta legalitaria" dopo il crollo del muro di Berlino. Scrivere tutto questo da italiani, e ancor più da siciliani, è perlomeno imbarazzante, perché costringe a "processare" mentalità radicate e tradizioni di lungo periodo. Nel farlo l'autore controlla la passione civile con l'equanimità di giudizio, in una ricostruzione affascinante, che utilizza criticamente anche la cronaca, realizzando un'opera tra le più insolite e ardite della storiografia italiana contemporanea.