
Il piacere: un'emozione desiderabile ma che guarda alla profondità della vita.
Sulla fiaba si ormai scritto molto, e su piani e livelli molto diversi; nessun saggio però aveva finora messo a fuoco con sufficiente precisione e profondità il nesso che lega cinque sue fondamentali dimensioni: educativa, psicologica, antropologica, formale e narrativa e quella presente nel suo contenuto, il quale spesso è misteriosamente cannibalico-predatorio. In questo suo saggio Lusetti esplora il nesso fra questi cinque elementi: in particolare ci mostra come la fiaba, più che uno strumento genericamente "educativo", sia un mezzo specifico per tentare di padroneggiare quell'aggressività predatoria, e spesso cannibalica, che permea da sempre le relazioni umane, e nella fattispecie quelle genitori-figli.
Attraverso un’analisi esaustiva della struttura e del funzionamento dei cosiddetti gruppi carismatici e dei dati relativi all’attività di un centro di ascolto, il volume offre una riflessione psicologica sulle motivazioni individuali, i processi sociali e le dinamiche relazionali che sottendono il fenomeno del settarismo e dell’antisettarismo religioso moderno.
Il bisogno di credere, di evadere, di ricercare il senso e la speranza sono tutti bisogni costitutivi dell’esperienza umana. Ma cosa succede quando il credere scivola in credulità, il fideismo e l’appartenenza diventano gregarismo e dipendenza, la fiducia nel leader degenera in ipocritica, la fantasia e il gioco sono mortificate in stereotipia e ripetitività, il simbolismo decade in totemismo, il rito in rituale esoterico per iniziati e la solidarietà e coesione interna diventano chiusura e distacco dall’esterno…
L’autrice analizza i fenomeni religiosi per coglierne strutture e dinamismi psicologici, si interroga sulle caratteristiche di personalità e sulle motivazioni dei soggetti coinvolti, sottolineando il potenziale trasformativo che le esperienze del genere hanno sulla loro personalità.
Raffaella Di Marzio, laureata in Psicologia, Scienze dell’educazione e Scienze storico-religiose, è insegnante di religione cattolica. Membro del direttivo della SIPR (Società Italiana di Psicologia della Religione) e del comitato scientifico della rivista «Cultic Studies Review» pubblicata dall’ICSA (International Cultic Study Association), ha insegnato Psicologia della religione presso la Pontificia Facoltà «Auxilium» di Roma. Autrice di numerosi articoli in lingua italiana e inglese pubblicati su riviste specializzate nel settore, è tra i collaboratori del volume Le religioni in Italia (Elledici, 2006). Direttrice editoriale dei primi corsi online sul fenomeno religioso in Italia (www.corsiweb.org), ha fondato ed è responsabile del Centro di Informazione online SRS (Sette, Religioni e Spiritualità: www.dimarzio.it).
Se il suicidio è certamente il più violato fra i tabù – oggi più che mai, come testimoniano le cronache –, rimane nondimeno, nella percezione comune, lo scandalo supremo, il gesto inaccettabile. La giurisprudenza lo ha giudicato per molto tempo un reato; la religione lo considera peccato, aborrendolo più di ogni altra forma di uccisione e condannandolo come atto di ribellione e apostasia; la società lo rifiuta, tendendo a sottacerlo o a giustificarlo con la follia, quasi che il suicidio fosse l’aberrazione antisociale per eccellenza. E non si può dire che siano mancate riflessioni e analisi – da John Donne a Hume, da Voltaire a Schopenhauer, da Durkheim alla messe di studi psicologici e psichiatrici –, ma il problema, nella sua essenza, è rimasto intatto.
Nel 1964 James Hillman capovolge ogni prospettiva con questo libro. Un libro che, dichiara, «mette in discussione la prevenzione del suicidio; va a indagare l’esperienza della morte; accosta il problema del suicidio non dal punto di vista della vita, della società e della “salute mentale”, bensì in relazione alla morte e all’anima. Considera il suicidio non soltanto come una via di uscita dalla vita, ma anche come una via di ingresso nella morte … Questo punto di vista totalmente altro scaturisce dall’indagine del suicidio per come è esperito attraverso la visione che l’anima ha della morte». Perché nell’esperienza della morte, afferma Hillman, l’anima trova una rigenerazione, e dunque l’impulso suicida non va necessariamente concepito come una mossa contro la vita: potrebbe esprimere il bisogno imperioso di incontrare la realtà assoluta, la richiesta impellente di un’esistenza più piena.
Perché alcune organizzazioni, quando affrontano un cambiamento inaspettato, riescono meglio di altre a "governare l'inatteso"? Karl Weick e Kathleen Sutcliffe rispondono a questa domanda mostrando come le organizzazioni ad alta affidabilità, per esempio le squadre antincendio o gli staff che gestiscono le operazioni di volo sulle portaerei, rappresentino dei modelli da imitare. Si tratta di realtà organizzative che creano una condizione di mindfulness, ovvero di piena consapevolezza collettiva, che produce una particolare abilità nell'individuare e correggere gli errori prima che la situazione peggiori ed esploda sotto forma di crisi. Una struttura pienamente consapevole è costantemente in grado di opporsi alle semplificazioni eccessive, di anticipare i pericoli e di reagire in modo flessibile anziché rigido. In una prospettiva orientata alla ricerca di soluzioni, il volume presenta un'ampia serie di casi concreti, consentendo di sviluppare la valutazione e la realizzazione della mindfulness all'interno della propria organizzazione.
Forse non c’è nulla di più interessante e misterioso della coscienza, un concetto che ha avuto una strana storia. Per secoli si è creduto che tutto quello che succedeva nella nostra testa fosse, almeno potenzialmente, cosciente. La coscienza è stata così confusa con la mente, con la psiche, con lo spirito o con l’anima, e tutti questi termini sono stati usati come sinonimi. Poi improvvisamente qualcuno ha scoperto che non tutti i fenomeni psichici sono consci ed è cominciata l’era dell’inconscio, anche se dell’inconscio si sa ancora ben poco. Il vero compito della scienza e del pensiero filosofico è quello di capire che cos’è la coscienza, definendola con precisione e cercando di delinearne le caratteristiche salienti.
Questo saggio, in modo semplice e comprensibile, parla di mente, di emozioni e di coscienza e cerca di mettere a fuoco i rapporti fra queste tre entità e di rintracciarne i legami, senza trascurare l’altro nodo problematico rappresentato dalla razionalità e dal suo rapporto con la coscienza stessa. Dopo un capitolo introduttivo sul cervello e sulla mente in generale, si passa a trattare delle emozioni, e in particolare dell’amore, per poi affrontare il problema della coscienza. L’ultimo capitolo è dedicato a delineare una teoria dell’Io e del suo rapporto con il mondo e con il corpo. Per quanto diverse, tutte queste cose devono per forza passare dalla coscienza per essere dette e, a maggior ragione, scritte. Occorre quindi fare una ricognizione dei luoghi della coscienza per comprendere finalmente chi è che parla quando, usando la prima persona singolare, diciamo Io.