
Queste pagine si concentrano sulla questione del rapporto tra tempo ed eternità. La realtà della Chiesa è presentata nella sua funzione di mediazione a più livelli. Per sua natura è una mediazione, poiché deve il suo fondamento al mediatore per eccellenza, Gesù Cristo. Su questo sfondo si dispiegano le diverse implicazioni del già e del non ancora, che va visto come il nucleo di tutta l'attività ecclesiale. Per il singolo credente, ciò si traduce in atteggiamenti molto concreti per la sua esistenza, che hanno il carattere di virtù. Non è un caso che le riflessioni convergano così sulla speranza.
La storia sociale delle donne appartenenti alle comunità cristiane, ebraiche e islamiche del bacino euromediterraneo tra l'XI e il XVI secolo evidenzia la percezione del corpo femminile nelle tre culture e conduce al recupero della loro considerazione nelle società di appartenenza. In tutte, al netto delle differenze che pur vi furono, la sessualità e la sua gestione definirono i ruoli, l'identità e il profilo morale delle donne. E se la loro integrità costituì la condizione necessaria per il matrimonio, principale meta per ognuna, il suo speculare contrario fu il bordello. La casa familiare funzionò, tuttavia, anche come agenzia formativa: la specificità dell'acculturazione femminile consisteva infatti nella tendenza a ottenere l'istruzione necessaria attraverso percorsi privati e informali. Così incontriamo poetesse, maestre di scuola, copiste, miniatrici ed esperte di saperi curativi, ma anche donne religiose. Escluse dall’esercizio attivo della liturgia e del culto, esse trovarono comunque un loro ruolo sacrale, contrapposto a quello di streghe, fattucchiere e maghe. Tanto ricercate quanto, poi, perseguitate.
I cistercensi sono considerati il primo ordine religioso della storia. Sorto alla fine dell'XI secolo, ebbe un rapido successo grazie a una visione positiva del futuro e alle soluzioni innovative che introdusse a livello organizzativo ed economico, creando un’efficace rete orizzontale di abbazie. L'interpretazione tradizionale della storia cistercense, come progressivo allontanamento dall’ideale dei fondatori, è superata da una lettura che evidenzia la capacità di adattamento dei monaci alle sfide che di volta in volta dovettero affrontare su temi quali la concezione di progresso e libertà, i rapporti con le donne, la gestione patrimoniale, la complicata relazione con la gerarchia della Chiesa e con il papato. Le loro vicende sono ripercorse dalle origini sino alla metà del Duecento, un periodo caratterizzato da intense sperimentazioni istituzionali.
Più volte papa Francesco ha parlato della rinuncia al pontificato come di qualcosa che potrebbe verificarsi ancora in futuro (non necessariamente nel "suo" futuro), fino a divenire usuale. Ora, a quasi dieci anni dal gesto di Benedetto XVI, autorevoli storici, giuristi e osservatori si confrontano su un tema delicatissimo che continua ad attirare l'attenzione del mondo intero, soprattutto perché tuttora privo di qualunque regolamentazione giuridica. L'esame dei precedenti storici e dell'elaborazione canonistica sviluppatasi prima e dopo Celestino V, offre qui lo spunto per una riflessione che vale anche come proposta da consegnare a chi, nella Chiesa, dovrà decidere e legiferare.
«Nella ricorrenza del quarto centenario della sua morte, mi sono interrogato sull'eredità di san Francesco di Sales per la nostra epoca», scrive papa Francesco, «e ho trovato illuminanti la sua duttilità e la sua capacità di visione. Un po' per dono di Dio, un po' per indole personale, e anche per la sua tenace coltivazione del vissuto, egli aveva avuto la nitida percezione del cambiamento dei tempi. Lui stesso non avrebbe mai immaginato di riconoscervi una tale opportunità per l'annuncio del Vangelo. La Parola che aveva amato fin dalla sua giovinezza era capace di farsi largo, aprendo nuovi e imprevedibili orizzonti, in un mondo in rapida transizione». Così, con questa lettera apostolica, scritta in occasione del IV centenario della morte di san Francesco di Sales, papa Francesco ripropone al popolo di Dio un modello di santità, possibile, per quanto alto e radicale, per ridonare freschezza alla fede, per riscoprire nell'amore il fondamento di ogni relazione: con gli altri e con Dio.
Il mondo ancora non lo sa, ma tutti sono invitati al banchetto di nozze dell’Agnello (Ap 19,9). Per accedervi occorre solo l'abito nuziale della fede che viene dall’ascolto della sua Parola (cfr. Rm 10,17): la Chiesa lo confeziona su misura con il candore di un tessuto lavato nel Sangue dell'Agnello (cfr. Ap 7,14). Non dovremmo avere nemmeno un attimo di riposo sapendo che ancora non tutti hanno ricevuto l'invito alla Cena o che altri lo hanno dimenticato o smarrito nei sentieri contorti della vita degli uomini.
Per questo ho detto che "sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per |’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l'autopreservazione" (Evangelii gaudium, n. 27): perché tutti possano sedersi alla Cena del sacrificio dell'Agnello e vivere di Lui (Papa Francesco, Desiderio desideravi 5).
Il lavoro si svolge in modo molto semplice: dalla presentazione della Lettera Apostolica, confrontarci con la Liturgia di Trento, perché possiamo comprendere e far brillare tutto il rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II, come risposta missionaria davanti alla crisi del mondo moderno (cf Giovanni XXIII, Costituzione Apostolica "Humanae Salutis", 25 aprile 1961, con cui indiceva il Concilio). La Costituzione Lumen Gentium ci ha fatto riscoprire la Chiesa come "popolo di Dio", come comunità cristiana: è questa comunità tutta intera, Capo e membra, che celebra il Mistero della Pasqua. A questa comunità cristiana il Concilio ha aperto le Scritture in maniera davvero grande con la Dei Verbum, perché la Parola di Dio torni ad essere la lampada ai nostri passi, la luce sul nostro cammino (cf Sal 119,105). La Sacrosanctum Concilium ha permesso alla Liturgia di tornare alle sue fonti ebraiche e patristiche, tradotte in un nuovo stile celebrativo che ha nel Messale Romano di Paolo VI il suo libro maestro. Di questo rinnovamento ci piace cogliere, poi, la dimensione escatologica propria della Liturgia e lo strumento, a nostro avviso, più adatto per mettere in atto questo rinnovamento è l'iniziazione cristiana, attraverso un'esperienza ecclesiale particolare.
Ezechiele PASOTTI è un presbitero della Diocesi di Roma, licenziato in Teologia Liturgica al Pontificio Istituto Liturgico S.Anselmo (Roma). Ha svolto il ministero di evangelizzazione in diversi Paesi d’Europa, America e Africa, e per quasi 20 anni è stato Prefetto agli studi nel Seminario Diocesano Missionario "Redemptoris Mater" di Roma.
Papa Francesco, in questa lettera apostolica, si sofferma sulla esemplare figura di Francesco di Sales e sui suoi insegnamenti, a quattrocento anni dalla morte del santo vescovo. Dalle sue riflessioni sull'amore di Dio, il Papa trae spunto per sollecitare atteggiamenti di rinnovamento nella Chiesa e porre nuovi interrogativi, che l'arcivescovo Mario Delpini raccoglie nella sua Prefazione.
Scrive papa Francesco: «È quanto ci attende come compito essenziale anche per questo nostro passaggio d'epoca: una Chiesa non autoreferenziale, libera da ogni mondanità ma capace di abitare il mondo, di condividere la vita della gente, di camminare insieme, di ascoltare e accogliere. È quello che Francesco di Sales ha compiuto, leggendo, con l'aiuto della grazia, la sua epoca. Perciò egli ci invita a uscire da una preoccupazione eccessiva per noi stessi, per le strutture, per l'immagine sociale e a chiederci piuttosto quali sono i bisogni concreti e le attese spirituali del nostro popolo. È importante, dunque, anche per l'oggi, rileggere alcune sue scelte cruciali, per abitare il cambiamento con saggezza evangelica».
Papa Francesco dedica la sua nuova Lettera apostolica a San Francesco di Sales, una delle grandi figure della Riforma della Chiesa, dell'"umanismo devoto" e della mistica cattolica francese. Egli, nel susseguirsi dei tempi, non ha perso nulla della sua attualità. A distanza di quattrocento anni dalla sua morte, la sua proposta di vita cristiana, da interpretare nei solchi della storia feriale, resta tuttora affascinante. Edizione arricchita dall'Introduzione di Luigi Borriello e dall'Appendice di Giuliano Vigini. «San Francesco di Sales ci invita a uscire da una preoccupazione eccessiva per noi stessi, per le strutture, per l'immagine sociale e a chiederci piuttosto quali sono i bisogni concreti e spirituali del nostro popolo». (Papa Francesco)
«Mi ero imbattuto in don Milani per una bocciatura. Da figlio di mezzadri mi ero ritrovato a frequentare il liceo classico e l'impatto fu duro. Finché sei povero tra i poveri non provi infatti il senso odioso della discriminazione di classe, ma quando i tuoi compagni di banco sono figli di avvocati, notai, medici, allora provi sulla tua pelle il classismo, l'emarginazione. Fui così respinto. Qualcuno mi suggerì di leggere Lettera a una professoressa. Questa esprimeva tutto quello che io sentivo dentro ma non sapevo tirare fuori. La grande lezione di don Milani: se un povero possiede la parola è come se possedesse la fionda usata da Davide contro Golia. Da allora mi sono appassionato a don Milani. Ho scritto articoli e libri per un'esigenza interiore forte e ribelle di condividere con altri la mia scoperta. La mia passione. Come una buona notizia, vangelo, annuncio che un nuovo mondo è possibile». Da massimo esperto del priore di Barbiana, Mario Lancisi ce ne dà il ritratto definitivo a cent'anni dalla nascita (1923-2023), attingendo a nuove lettere, scritti e testimonianze, e soprattutto tenendo conto della piena "riabilitazione" di papa Francesco. Emerge così il ritratto di un prete e un maestro straordinari, forse di un grande santo. Sicuramente di un profeta religioso e civile. E disobbediente. Uno che per rovesciare il mondo antico, gli egoismi individuali e sociali, le logiche del potere disobbedì in forza di un'obbedienza salda al Vangelo.
Il volume presenta i risultati del convegno internazionale tenutosi alla Bergische Universität di Wuppertal nel settembre 2019. I contributi raccolti si confrontano con la seconda affermazione contenuta nel dictatus papae di Gregorio VII (Quod solus Romanus pontifex iure dicatur universalis). L'affermazione dell'universalità del papato, già a più riprese indagata dalla storiografia europea, è qui l'oggetto delle ricerche di giovani studiosi e studiose sia da un punto di vista normativo, come nei casi delle elezioni papali, sia nella riflessione teologica di età altomedievale. Questa pubblicazione si inserisce nella linea delle più recenti e affermate tendenze storiografiche della medievistica e dedica particolare attenzione non solo alle norme alla base dell'universalità del papato, ma anche all'applicazione di tali teorie attraverso l'analisi di alcuni vettori dell'interazione tra il papato e le realtà locali. Lo studio di questi attori dell'interazione costituisce la base imprescindibile per la comprensione del papato medievale nelle sue relazioni con le province ecclesiastiche, con l'intento di verificare e approfondire il rapporto esistente tra norma e prassi.
Nel 1111 uno strano corteo di circa trenta persone si dirige verso il monastero di Cîteaux.Tra di loro vi è Bernardo, il giovane entusiasta che ha convinto fratelli e amici a seguirlo in questa avventura. Li accoglie l'abate Stefano Harding, che non nasconde la sua preoccupazione: "Dove ospiterò così tanti aspiranti monaci?". In questo seguito ideale di "Tre frati ribelli", M. Raymond ricostruisce la vicenda umana e spirituale del santo e dei membri della sua famiglia che lo seguirono lungo il cammino della vita religiosa. Un libro scritto con passione che traccia la stupefacente storia di una famiglia innamorata di Dio.