
Un testo per conoscere Girolamo da un punto di vista pressoché inedito. I Tractatus in Psalmos furono scoperti e pubblicati da G. Morin tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento. Sulla base di vari riscontri l'editore attribuì i nuovi testi a Girolamo, di cui fino a quel momento era pressoché sconosciuta la produzione omiletica, datandoli al primo decennio del V secolo, quando lo Stridonense si trovava a Betlemme. L'attribuzione fu accettata unanimemente, fino a quando nel 1980 V. Peri non propose di intendere i Tractatus come la traduzione geronimiana delle omelie di Origene. Tale tesi ebbe largo successo in Italia, ma incontrò l'opposizione di alcuni studiosi della scuola francese, che continuarono a sostenere la paternità geronimiana. Qui si pubblicano il testo latino di Morin, rivisto dal curatore, e la traduzione italiana, corredata da un ampio commento che consente di inquadrare i Tractatus all'interno di una corretta prospettiva esegetica, ampia e articolata, che tenga conto della paternità geronimiana e dell'innegabile influenza origeniana.
Il commento ad Abdia fu ultimato verso la fine del 396. Girolamo in gioventù aveva dedicato ad Abdia un altro commento, in cui si privilegiava l'esegesi spirituale; adesso, invece, i suoi interessi per la Bibbia partono dal livello storico-letterale, come dimostra l'uso degli Hexapla. Inoltre, affiorano nel testo allusioni a Cicerone e Orazio e sono menzionati altri autori profani. Girolamo compose il commento a Zaccaria nel 406; anche in esso il ricorso agli Hexapla è considerevole; i suoi modelli sono un perduto commento di Origene e quello, che invece possediamo ancora, di Didimo il Cieco. Girolamo affronta l'esegesi del libro di Zaccaria con una certa soggezione per la sua oscurità; il suo intento principale è quello di risolvere le varie questioni legate a un testo così complesso. L'opera è impreziosita da diverse riprese virgiliane e citazioni di Cicerone e Orazio.
Il commento al libro del profeta Geremia costituisce l'ultima fatica esegetica di Girolamo. In questo scritto emerge l'interesse che lo Stridonense riserva al testo biblico: la traduzione dall'originale ebraico, ritenuto il testo da privilegiare, è continuamente confrontata con quella che prende le mosse dalla versione dei LXX alla quale viene riconosciuto comunque riconosciuto un certo valore. L'interpretazione si caratterizza per la spiccata tendenza a collocare la realizzazione delle profezie all'interno della storia: sia quella del popolo d'Israele che di Cristo o della Chiesa. La polemica contro i pelagiani emerge ogni volta che il testo profetico ne presenta l'occasione e si ritrova soprattutto nei prologhi ai singoli libri.
Nella grande fioritura di commenti e cicli di predicazione dedicati all'Apostolo composti tra IV e V secolo in Oriente (Eusebio di Emesa, Teodoro di Eraclea, Didimo, Diodoro, Apollinare, Teodoro di Mopsuestia, Crisostomo, Teodoreto) come in Occidente (Mario Vittorino, Ambrosiaster, Agostino, Anonimo di Budapest, Pelagio, Giuliano di Eclano), i quattro commentari paolini di Girolamo - di cui qui si pubblicano i primi due - rappresentano uno dei primi tentativi originali di trasmettere ai lettori latini le ricchezze dell'esegesi in lingua greca, inserendosi al contempo con una voce originale in tale corrente. Essi sono anche testimonianza dell'origenismo di Girolamo, il quale - non senza una sua personale impronta - si ispirò al lascito del grande Alessandrino per il proprio metodo di riscontro del testo biblico sull'originale ebraico, insieme ai procedimenti dell'esegesi letterale e spirituale. La presente rappresenta la prima traduzione integrale in italiano di tutti e quattro i Commenti ad opera di un unico curatore.
L'unico commentario evangelico integrale e sistematico redatto da Girolamo. Il Commento a Matteo è un testo unico, poiché costituisce, nella produzione di Girolamo, il solo commento integrale e sistematico di uno scritto evangelico. Prerogativa di quest'opera, dalla quale sempre traspare il tema della chiamata delle genti, è la scelta programmatica per un'esegesi letterale, che solo sporadicamente si apre alla riflessione allegorica. Il volume presenta il testo latino di D.Hurst e M.Adriaen rivisto dal curatore, la traduzione italiana e un commento, che illustra le allusioni al patrimonio esegetico precedente e rimarca i tratti di originalità delle interpretazioni geronimiane, mettendone in luce le connessioni con le polemiche contingenti.
Il Commento di Bonaventura al Vangelo di Luca risale agli anni 1254-1257, quando, maestro reggente, il francescano riprendeva le sue lezioni tenute da baccelliere biblico, ampliandole e trasformandole in "materia praedicabilis" ad uso dei predicatori. Questo intento emerge anche dalla forma letteraria: benché sia un prodotto universitario, non presenta questioni teologiche, ma è ricco di citazioni atte a fornire al predicatore ampia conferma di ciò che espone. L'opera è tradotta per la prima volta in una lingua moderna.
«Il titolo di questa sezione dell'Opera Omnia indica chiaramente l'oggetto delle opere presentate e subito si può intuire come siamo condotti al cuore dell'esistenza della Chiesa, che vive della Parola e del Pane, nutrendosi alla Tavola dei due alimenti necessari all'esistenza. I volumi di questa sezione hanno una data lontana nel tempo (1949, 1950, 1959-1993, date delle prime edizioni francesi), e tuttavia corrispondono a questioni che oggi sono più che mai importanti e difficili per la teologia e per l'esistenza cristiana; soprattutto, come si vedrà, la questione della lettura e interpretazione della Scrittura. [...] Le opere di de Lubac contenute in Scrittura ed Eucarestia trattano due grandi temi, che coincidono con i fondamenti della fede e della teologia cristiana. La Chiesa, infatti, vive della Parola testimoniata e portata dal Libro, e della Eucarestia, nella memoria di Gesù, celebrazione ma anche sintesi di tutta la storia e del mistero della salvezza. Sono opere che hanno fecondato la riflessione teologica del periodo immediatamente precedente il Vaticano il, e, anche se non citate, hanno nutrito alcuni documenti conciliari tra i più importanti (sulla rivelazione, sulla Chiesa, sulla liturgia). [....] È questo il significato delle opere di de Lubac, che rimangono dei classici della teologia del XX secolo, e proprio perché classici si presentano sempre attuali. Non si può capire la Chiesa senza pensare all'Eucarestia, e viceversa. L'esegesi, ricerca attenta, rigorosa, di tutta la dimensione storica e filologica della Scrittura, ha assoluto bisogno della lettura sempre attenta al "senso spirituale": solo così la Parola vivifica. Altrimenti rimane lettera morta, addirittura portatrice di morte.» (Dall'Introduzione di Azzolino Chiappini alla Sezione quinta dell'Opera Omnia)
Alla persona di Giovanni sono attribuiti un Vangelo, tre Lettere e il libro dell'Apocalisse: sono i testi che questo volume tratta, attraverso ampie introduzioni accompagnate da saggi di esegesi su passi di varia ampiezza e dallo sviluppo di alcune tematiche particolarmente indicative. I numerosi collaboratori hanno messo competenza ed esperienza a disposizione di un efficace dialogo di didattica della ricerca.
Settimo di 8 volumi con gli 8 capitoli del Cantico dei Cantici. Ogni volume è suddiviso in due sezioni: 1) introduzione; 2) catechesi, commenti e omelie dei Padri e dottori della Chiesa.
Questo studio innovativo esamina il vangelo di Matteo sotto il profilo dell’etica dell’onore e della vergogna, che per la morale popolare del tempo erano valori centrali e strutturanti della vita quotidiana. L’attenzione a questo aspetto nell’interpretazione di un testo come il vangelo matteano non è dunque qualcosa di facoltativo: è impossibile leggere Matteo adeguatamente senza avere un’idea di base della struttura culturale del mondo mediterraneo antico. L’analisi sistematica che Jerome Neyrey sviluppa dei presupposti del primo vangelo mette in luce come la predicazione di Gesù significasse il ribaltamento del modo di vivere comune e la negazione delle nozioni correnti di onore e vergogna.