
Il Trattato dei miracoli colleziona un grande numero di episodi miracolosi relativi alla figura di Francesco d'Assisi, che l'autore raccoglie da testimoni o riporta di prima mano. Partendo dal grande miracolo avvenuto al culmine della vita - l'impressione delle stimmate - che illumina il percorso di santità lungo l'intera esistenza di Francesco, Tommaso da Celano narra poi una lunga serie di prodigi avvenuti post-mortem, apparentemente meno importanti (soprattutto guarigioni), che permettono, tuttavia, di mostrare il volto di un santo attento e prossimo ai bisogni della gente umile capace di affidarsi a lui. In uno schema classico dell'agiografia medievale, l'autore riesce così a inscrivere un ritratto vitale del santo di Assisi, rimarcandone l'eccezionalità della figura.
È una antologia di passi agostiniani intorno a Maria. La Vergine occupa una posizione di primo piano nella meditazione teologica e nella parenesi pastorale di Agostino, tanto che si può dire che la sostanza del culto cattolico trova nell'opera agostiniana una delle più convinte e calde affermazioni. Una densa introduzione di Pellegrino orienta il lettore sul pensiero di Agostino sulla Vergine, quale risulta dai testi, che seguono, tratti da varie opere e numerati con riferimento alle fonti. Arricchisce il testo l'indice analitico, l'indice delle fonti con riferimento alle edizioni critiche e una selezionata bibliografia, specifica del tema trattato. Il testo è preceduto da una presentazione di Eugenio Corsini, successore di Pellegrino alla cattedra di Torino: egli illustra l'opera di Pellegrino, specialmente come studioso di Agostino.
S. Alfonso M. de Liguori, il più santo dei napoletani e il più napoletano dei santi, è stato l’uomo dell’impegno fattivo e dell’allegria, della laboriosità, dell’azione pastorale e della contemplazione.
Mentre correva l’anno 1745 Alfonso, impegnato nelle missioni, portava alla luce le Riflessioni utili ai vescovi per ben governare le loro Chiese, una sorta di vademecum per aiutare i vescovi nel loro servizio pastorale.
Lo scritto è nato dalla passione per una Chiesa vera e credibile in cui i primi responsabili, i vescovi, sono chiamati a santificare e governare rettamente il popolo loro affidato.
Per Alfonso il ministero episcopale non è un privilegio, trampolino di lancio per una carriera, l’episcopato è una dura e seria responsabilità: “il vescovo in ricever la mitra si addossa gran pesi sulla coscienza; onde se vuol salvarsi è necessario che si risolva, in entrare al suo governo di abbracciare una vita non agiata, né di riposo, ma una vita di croci, di stenti e di fatiche...” (Riflessioni, 2,9).
Per S. Alfonso il vescovo deve essere attento a sei cure principali: il seminario, gli ordinandi, i sacerdoti, i parroci, il vicario e i ministri, e i monasteri di monache; inoltre il vescovo per giungere alla perfezione deve tener conto dei mezzi per giungere alla santità: orazione, buon esempio, residenza, visita, missioni, sinodo, consiglio, udienza, correzione.
S. Alfonso raccomanda caldamente ai vescovi di vigilare sul seminario perché: “se il seminario sarà ben regolato, sarà la santificazione della diocesi: altrimenti ne sarà la rovina” (Riflessioni, 1,1). “È cosa da piangere il vedere tanti poveri figlioli, prima innocenti e devoti, ma dopo essere stati in seminario divenuti una sentina di vizi”.
In queste pagine “si sente il calore di un pastore che ha veramente l’odore delle sue pecore, non per nulla don Mario fa precedere gli scritti con una raffinata introduzione storica, che ben ambienta il contesto in cui ha operato il nostro santo e le scelte da lui saggiamente compiute” (Mons. G. Bregantini)
Un rapporto di alta spiritualità fondato su una totale identità di vedute e sulla comunione ecclesiale, pur nella lontananza e nella persecuzione: questa fu la profonda amicizia tra San Giovanni Crisostomo e la diaconessa Olimpia nella Costantinopoli del IV secolo, caratterizzata da forti ferventi politici e da deleterie connivenze tra il potere imperiale e quello ecclesiastico. L'amore a Cristo e alla Chiesa li unì nel comune impegno e rese loro possibile combattere con coraggio la buona battaglia, accettandone le conseguenze con santa rassegnazione. Questo volume, dedicato alle Lettere a Olimpia, mette in luce le sfumature di una sincera e calda amicizia tra due personaggi della Chiesa delle origini, che la lontananza dell'esilio ha rafforzato e svelato nella sua salda base spirituale.
Il volume presenta le vite degli eremiti Paolo, Malco e Ilarione che Girolamo ha scritto quasi ripercorrendo, in un progetto unitario, le tappe della diffusione del monachesimo: Egitto, Siria, Palestina.
Le Vite sono opera di ricerca, di formazione, di viaggio.
I protagonisti sono personaggi che,attraverso le asperità e le tortuosità del mondo fisico, compiono un cammino interiore.
I santi asceti descritti non dimostrano di essere irraggiungibili e lontani, ma vicini al pubblico ed alle sue debolezze.
Girolamo permette al lettore di conoscere esempi non impossibili da imitare e in cui riconoscersi, soprattutto per condurre un eguale viaggio spirituale.
Nell'infuocato clima provocato dalla eresia ariana nella metà del IV sec., Ilario di Poitiers è tra i più accaniti difensori dell'ortodossia. Nel 359 scrive il Liber II ad Constantium: una supplica all'imperatore, pregandolo di autorizzare un dibattito tra lui e Saturnino di Arles, che lo aveva ingiustamente accusato di tradimento della vera fede evangelica. Un documento importante per ricostruire la posizione dei vescovi della Gallia, e più particolarmente dell'Aquitania, di fronte alla professione di fede di Nicea. Ilario fu il primo autore nella cristianità latina a comporre inni come strumento di acculturazione dottrinale dei suoi fedeli. Di tali testi ne sono giunti a noi solo tre: Cristo Dio in cui Ilario esprime la sua fede nell'unico Dio; La resurrezione di Cristo, inno pasquale affidato a una voce femminile che incarna l'anima del neofita da poco rigenerata nella Veglia battesimale di Pasqua; Le tentazioni di Cristo che mette in contrapposizione il primo e il secondo Adamo, l'Adamo terrestre e caduco con l'Adamo celeste vittorioso sulla morte e su Satana.
Un'accurata ricognizione del patrimonio iconografico relativo al grande teologo di grande interesse storico, artistico, agiografico e pastorale. La serie di volumi dedicati all'iconografia agostiniana propone una raccolta delle testimonianze figurative sul Santo di Ippona dalle origini fino a XVIII secolo. Un patrimonio sterminato che per la prima volta viene presentato sistematicamente. Il presente volume dedicato al Quattrocento è il primo di due tomi. Nel volume una serie di saggi introduttivi analizzano i più importanti cambiamenti dell'immagine di Agostino durante il secolo. Ai saggi segue una selezione di 125 opere, divise tra immagini singole e cicli biografici.
A i suoi esordi, il XIX secolo appare dominato da un generale spirito di restaurazione. Si ritiene esigenza ecclesiale irrinunciabile il rifiuto dei princìpi della Rivoluzione francese, sovvertitori dell'ordine, si impone l'indiscussa fedeltà alle cose di sempre, si condanna ogni indicazione di novità nel pensiero e nel costume.
A partire da questo contesto iniziale, l'esperienza spirituale cristiana ottocentesca risulta caratterizzata da una lunga carrellata di volti e di personaggi - laici, religiosi e preti - che esprimono la loro forte tensione alla santità in modi diversi. Per alcuni la strada da percorrere consiste nel compimento esatto e costante del proprio dovere quotidiano; per altri, nello sforzo ascetico finalizzato ad acquisire e vivere le virtù; per altri ancora nell'obbedienza meticolosa alle norme canoniche vigenti, anche se immotivate e poco comprensibili, o nella scrupolosa fedeltà a particolari esercizi di pietà. Solo lentamente e con fatica riesce a farsi strada in questo contesto una spiritualità più chiaramente evangelica, che risospinge il vissuto caritativo quotidiano dall'ascesi metodica all'incontro con Cristo.
"Lettera di Policarpo ai Filippesi", "Lettera di Barnaba", "Pastore di Erma": ci si accosta con emozione, in questo secondo volume dedicato dalla Fondazione Valla alla letteratura cristiana più antica, a testi che avrebbero forse potuto entrare a far parte del Nuovo Testamento canonico. E in effetti la "Lettera di Barnaba" vi rimase sino al IV secolo e il "Pastore di Erma" fu sul punto di accedervi. Prima che tutto fosse fissato irrevocabilmente, si ascoltano in questi documenti voci antiche, autorevoli e diverse: testimoni del periodo nel quale la tradizione cristiana andava formandosi tra contrapposizioni, conflitti e ricomposizioni, eppure in costante dialogo con i Vangeli e l'opera di Paolo. Così Policarpo, tutto dedito al problema della giustizia, rievoca le Beatitudini e la missione dell'Apostolo: "né io né un altro mio simile" scrive "è in grado di emulare la sapienza del beato e glorioso Paolo, il quale, venuto in mezzo a voi, faccia a faccia con gli uomini di allora, insegnò con precisione e fermezza la parola di verità". "Barnaba", per molto tempo considerato proprio il collaboratore di Paolo che porta quel nome negli Atti degli Apostoli, vuole insegnare la "conoscenza perfetta" e distingue "due vie di insegnamento e potere, l'una della luce e l'altra delle tenebre", alle quali sono preposti rispettivamente gli angeli del Signore e quelli di Satana.
Il culto del Sacro Cuore, la spiritualità e la devozione ad esso collegate hanno radici molto profonde e basi molto solide nella Sacra Scrittura e nella tradizione della Chiesa. Tuttavia l'esperienza spirituale di S. Margherita Maria e la missione, che ricevette dal Signore, hanno svolto un ruolo fondamentale per far conoscere il Cuore di Gesù alla grande massa dei fedeli e per configurarne la devozione nel modo in cui oggi la conosciamo.
Il volume va alla ricerca dell'origine della spiritualità chiaravallense, che ha lasciato un'impronta profonda e incancellabile nella vita della Chiesa, nella sua sensibilità e nei suoi gusti, nelle sue lettere e nella sua arte. Al principio troviamo la Sacra Scrittura, che offre a Bernardo di Clairvaux i principi e le risorse del suo pensiero, della sua predicazione e, prim'ancora, della sua esperienza. E, infatti, la dottrina dell'"ultimo dei Padri", proviene dall'intimo e inesausto contatto personale con la Parola di Dio, ritrovata nel corso e ricorso della Liturgia. Egli è "Dottore mellifluo", poiché dalla "spremitura" di tale Parola si distilla e fluisce il sapere del quale viene alimentata senza sosta la Chiesa. Non mancano certo in lui la considerazione e la stima dell'aspetto intellettivo del mistero di Cristo, a cui è ininterrottamente volto il suo sguardo appassionato; ma egli mira a comprendere per amare, a illuminare per ardere, preoccupato a che la "filosofia" e la dialettica incontinente non stemperino il mistero e quindi disciolgano la cristologia. Ed esattamente nei confini della cristologia egli trova l'antropologia, in intima connessione e implicazione. La sua teologia la sua immagine di Dio - sale e si dispiega nella realtà della vita, della morte e della risurrezione di Cristo, il quale può essere definito l'epifania di Dio e la parabola dell'uomo.
La riflessione di san Tommaso si è più volte e a lungo soffermata sui misteri di Gesù. Non solo egli ha messo in luce rigorosamente le componenti "astratte" o "strutturali" della persona di Cristo, ma ha volto la sua attenzione analitica e appassionata - ciò che avverrà sempre meno in seguito - alle sue azioni, alla sua "storia", dalla concezione alla esaltazione, elaborandone una ricca e avvincente teologia. Ogni gesto del Signore è ricercato e accostato con l'esegesi letterale e con le risorse dell'esegesi "spirituale", così da poterne riscoprire il senso, la "logica", il valore, o come dice Tommaso stesso, la "convenienza". Questa trattazione dei misteri di Gesù riceve la sua forma più compiuta e matura nelle questioni 27-59 della Tertia Pars della Summa Theologiae, ma essa si ritrova anche in diverse altre opere dell'Angelico, che precedono o anche accompagnano la composizione della Summa. Oggi è sentita come urgente e indispensabile una cristologia "concreta": il Dottore Angelico ne ha offerto un metodo e un modello ancora esemplari. Del resto, la figura di Gesù ha rappresentato l'oggetto più appassionato di tutta la ricerca dell'Angelico, tanto da poter dire, al termine della sua vita, di non aver predicato e studiato altro che Gesù Cristo.