
Oggetto della ricostruzione storci e tematica proposta in questo volume è la concezione dell'estetica moderna e contemporanea come filosofia dell'arte a partire dalla sua origine nel pensiero settecentesco fino ai più recenti sviluppi.
Quando, nel 1953, vennero pubblicate le "Ricerche filosofiche", Oxford e Cambridge erano la Mecca della filosofia analitica, e Ludwig Wittgenstein ne era il campione indiscusso. Il suo impatto sulla cultura filosofica del tempo indusse molti a ritenere che quel modo di pensare avrebbe conquistato anche il resto del mondo filosofico anglosassone. Fu una previsione sbagliata, come si può constatare osservando il quadro teorico di riferimento attualmente in auge nei dipartimenti di filosofia inglesi e statunitensi. La tradizione che risale a Wittgenstein non ha ottenuto negli Stati Uniti il prestigio atteso e in Gran Bretagna ha perso la centralità che pure aveva. Il volume documenta come ciò sia accaduto, raccontando il declino di quella illustre tradizione: la tendenza elei filosofi americani a recepire la filosofia "linguistica" con la mediazione di Carnap, ora dimenticando, ora fraintendendo Wittgenstein; e la resa di alcuni discepoli di Wittgenstein, sfidati dai mostri sacri della filosofia analitica (da Quine a Davidson, da Fodor a Putnam e Kripke) e incapaci di allearsi con i grandi wittgensteiniani eterodossi come Sellars, Strawson, Dummett e McDowell.
Hilary Putnam interviene con questo libro su due temi centrali nel dibattito culturale del nostro tempo: il rapporto tra filosofia e scienza e la questione del realismo. Guardando alla scienza naturale, alla matematica e alle scienze cognitive, ma anche all'etica e alla teoria dell'educazione, Putnam si muove per ricomporre la nostra frammentata cultura in un quadro coerente, in cui trovano il giusto spazio sia le istanze conoscitive della scienza sia le domande di emancipazione umana provenienti oggi dalla filosofia, dalle arti e dalla società nel suo complesso. Quanto al realismo, dopo un'esperienza anti realistica che oggi considera inadeguata, l'autore torna qui ad abbracciare una raffinata forma di realismo pluralistico, che rappresenterà certamente un decisivo punto di svolta nel grande confronto sul New Realism oggi in corso anche nel nostro paese.
"L'istante" è il titolo che Kierkegaard ha dato a un quindicinale di cui fu il fondatore e l'unico redattore. Ne uscirono nove numeri tra il 24 maggio e il 24 settembre 1855, con un discreto successo di pubblico. Un decimo numero era già pronto, ma il 2 ottobre 1855 Kierkegaard fu ricoverato in ospedale, dove morì l'11 novembre. Con questa pubblicazione destinata all'"uomo comune", in cui per la prima volta si firma con il suo vero nome anziché con lo pseudonimo Anti-Climacus, Kierkegaard prosegue la sua critica alla chiesa ufficiale e al mondo cristiano che sostenevano una concezione del cristianesimo incompatibile con il Nuovo Testamento.
Inteso in tutta la sua concretezza e assolutezza e nella forza conferitagli dalla sua incontrovertibilità, il Principio di Creazione è il Significato, è cioè il principio d'ordine dell'intera filosofia nella sua dignità di scienza. E' un'"invenzione razionale" e, come tale, deve essere sempre riscoperta e fatta valere in tutte le sue potenzialità filosofiche. Nel contesto filosofico debole e travagliato del nostro tempo, Cortese intende svelare e manifestare la condizione non trascendibile, sempre nuova e sempre identica, nella quale come uomini ci troviamo gioiosamente immersi: la nostra creaturalità.
Perché la religione? Nel tempo dell’indifferenza religiosa e del fondamentalismo è ancora più urgente porsi con serietà questa domanda. La filosofia, che da sempre è il luogo delle domande fondamentali dell’esistenza, è chiamata ad approfondire senza sconti l’interrogativo e a ricercarne in profondità la risposta. Il libro rintraccia nella religiosità costitutiva dell’uomo la ragione che rende possibile la religione, ma rivendica la rivelazione come fondamento specifico della religione in quanto tale. Senza il primo aspetto la religione si ridurrebbe a una sovrastruttura, senza il secondo sarebbe un umano prolungamento e non l’evento di Dio. Doppia fedeltà, all’uomo e a Dio, in un attento confronto con il problema interreligioso e interculturale, oggi assolutamente imprescindibile.
Destinatari
In particolare studenti di teologia e filosofia.
Autore
Valerio BORTOLIN (Valdobbiadene, Treviso 1954 – San Gregorio nelle Alpi, Belluno 2017), presbitero della diocesi di Padova, ha insegnato filosofia della religione e storia della filosofia contemporanea presso la Facoltà teologica del Triveneto e antropologia filosofica presso l’Istituto superiore di scienze religiose di Padova dove è stato docente stabile per la cattedra di filosofia. Gaudenzio ZAMBON è docente stabile per la cattedra di teologia nell’Istituto superiore di scienze religiose di Padova e segretario generale della Facoltà teologica del Triveneto.
Il volume contiene il testo completo delle lezioni tenute da Husserl nel 1906/07 a Gottinga sul tema "Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie": le prime che il filosofo tiene in qualità di professore ordinario. Le lezioni si collocano esattamente a metà del periodo di 'silenzio' intercorso tra la pubblicazione delle Ricerche logiche e l'uscita del primo volume delle Idee. La loro importanza decisiva risiede nel fatto che Husserl presenta qui per la prima volta in modo esplicito il metodo dell'epoche e della riduzione fenomenologia in funzione critico-conoscitiva. Pertanto, la traduzione di queste lezioni costituisce un tassello fondamentale per la ricostruzione della genesi del metodo fenomenologia e per la chiarificazione della teoria husserliana della conoscenza nei suoi rapporti con la logica e con la matura elaborazione fenomenologica.
Edmund Husserl (1859-1938), tra i più importanti filosofi del Novecento, è stato il fondatore della tradizione fenomenologica. In questa stessa collana ricordiamo: Lezioni sulla sintesi passiva (2016); Meditazioni cartesiane e Lezioni parigine (2017).
Questo caposaldo, rimasto enigmaticamente incompiuto, è il testo che più di ogni altro ha influenzato la cultura filosofica del Novecento. Fin dal suo primo apparire nel 1927 e poi, a ondate successive nel 1946, negli anni Sessanta, il fascino e l'influenza esercitati da quest'opera hanno alimentato la riflessione e le polemiche di quanti si sono occupati di Heidegger. Tutto ciò che è accaduto dopo nella cultura occidentale è in qualche modo il risultato dell'esplosione filosofica determinata da questo libro.
Un libro affascinante di filosofia e di dialogo in prima traduzione italiana.
Magister regens di teologia a Parigi dal 1305, Giovanni Duns Scoto (1265/66-1308) si impegna nell'elaborazione di una terza versione del suo Commento alle Sentenze, nota con il titolo di Ordinatio. Il Prologo a quest'opera è una ricca introduzione alla complessità del pensiero scotiano. Come viene evidenziato da un confronto con i Prologhi delle due precedenti versioni, la Lectura e i Reportala Parhiensìa, in queste pagine Scoto condensa e puntualizza molti temi nodali della sua speculazione (il rapporto tra teologia e filosofia, il carattere scientifico-pratico del sapere teologico, la conoscibilità di Dio), con un approccio chiarificatore che testimonia l'avvenuta maturazione del suo pensiero. In quanto scienza pratica, la teologia estende le proprie competenze fino a includere la determinabilità dei contingenti da parte della volontà divina. I limiti dell'intelletto umano impongono però, rispetto alla maggiore apertura razionalistica documentabile nei Reportata, una subordinazione radicale della conoscenza teologica alla adesione per fede ai contenuti della rivelazione scritturale. Solo l'apertura alla dimensione soprannaturale del sapere consente di evitare lo scacco delle argomentazioni razionali e apre per l'intelligenza la possibilità dell'accesso a una visione estatica del vero, che per Scoto costituisce il massimo grado di certezza possibile. V.Ordinatio ha goduto di ampia fortuna presso le successive generazioni di teologi, in special modo per l'accento posto sui temi dell'accesso conoscitivo dell'homo viator al soprannaturale e per la valorizzazione della teologia come scienza pratica. Le novità del pensiero scotiano condizionarono infatti il successivo dibattito speculativo, non solo a Parigi (a partire dal commento sentenziarlo di Enrico di Harclay) ma anche a Oxford (da Guglielmo di Alnwick a Giovanni di Reading, a Guglielmo d'Ockham e i suoi seguaci).

