
Questa ampia e innovativa ricostruzione della filosofia di Platone nasce da due convinzioni di fondo. La prima, di metodo, è che una chiave interpretativa trova la sua legittimità se riesce a integrare in un quadro non dogmatico, ma logico e unitario, i tanti pezzi del puzzle costituito dai testi platonici. La seconda, di contenuto, è che occorre prendere sul serio l'indicazione, più volte data da Platone, che un filosofo scrive nella forma del "gioco serio", in modo da spingere il lettore, attraverso provocazioni e sollecitazioni, a pensare. Così il filosofo ateniese ha applicato alla scrittura la sensibilità maieutica di Socrate: scopo di un maestro è aiutare l'allievo a "fare filosofia", non a impararla. Il risultato è una meravigliosa serie di dialoghi che manifestano in crescendo il "sistema" dell'autore come un filosofare in atto, attraverso materiali di riflessione e problemi tesi ad attivare il lettore e quasi a costringerlo a "cercare le risposte". Quest'opera in due tomi, frutto di una lunga ricerca, scava in profondità i maggiori temi che Platone ha affidato ai dialoghi scritti. In questo senso il suo orizzonte è un "disordine ordinato": cercare la logica di un sistema, senza accontentarsi di ridurre la filosofia di un genio, in presenza di tutti i suoi scritti e di una molteplicità di testimonianze indirette, a un "rebus avvolto in un mistero".
Questa ampia e innovativa ricostruzione della filosofia di Platone nasce da due convinzioni di fondo. La prima, di metodo, è che una chiave interpretativa trova la sua legittimità se riesce a integrare in un quadro non dogmatico, ma logico e unitario, i tanti pezzi del puzzle costituito dai testi platonici. La seconda, di contenuto, è che occorre prendere sul serio l'indicazione, più volte data da Platone, che un filosofo scrive nella forma del "gioco serio", in modo da spingere il lettore, attraverso provocazioni e sollecitazioni, a pensare. Così il filosofo ateniese ha applicato alla scrittura la sensibilità maieutica di Socrate: scopo di un maestro è aiutare l'allievo a "fare filosofia", non a impararla. Il risultato è una meravigliosa serie di dialoghi che manifestano in crescendo il "sistema" dell'autore come un filosofare in atto, attraverso materiali di riflessione e problemi tesi ad attivare il lettore e quasi a costringerlo a "cercare le risposte". Quest'opera in due tomi, frutto di una lunga ricerca, scava in profondità i maggiori temi che Platone ha affidato ai dialoghi scritti. In questo senso il suo orizzonte è un "disordine ordinato": cercare la logica di un sistema, senza accontentarsi di ridurre la filosofia di un genio, in presenza di tutti i suoi scritti e di una molteplicità di testimonianze indirette, a un "rebus avvolto in un mistero".
Siamo nell'epoca dell'odio "fai da te". Ognuno ha il suo feticcio dell'odio: la donna, gli immigrati, gli omossessuali, gli ebrei. Perché l'odio è la risposta perfetta, un discorso che soddisfa tutte le domande, che ignora i fatti, e vede in ogni ostacolo l'effetto di un complotto. L'odio accusa senza sapere, giudica senza capire, condanna in base al proprio piacere; non rispetta nulla. Al termine del proprio percorso, corazzato nel suo risentimento, taglia corto con un colpo netto e arbitrario. Odio, dunque sono. Molti negano l'esistenza dell'odio fine a se stesso. C'è sempre una giustificazione, la deprivazione, economica e culturale, qualche disturbo psichico, niente che non si possa curare con l'istruzione, il welfare o le giuste pasticche. Ma se così fosse, la pace universale sarebbe a portata di mano. È sotto l'occhio, e nel cuore, di tutti che le cose stanno diversamente. L'odio è un lumicino sempre acceso, e ciascuno ha il suo combustibile, di piccola o grande potenza. Spesso si riversa sulle vittime qualche colpa. Le donne per aver smantellato la virilità del maschio, gli immigrati perché minano la sicurezza sociale, gli ebrei per la loro avidità. André Glucksmann, invece, ribadisce con forza: la causa dell'odio risiede solo nell'odiatore. Picchiatore o hater da tastiera, chi odia non ha bisogno di nient'altro che del proprio stesso odio. Anche se l'odio ama vestirsi delle migliori intenzioni e, con questa veste, viene adottato e protetto da politici e istituzioni, che se ne fanno garanti e propulsori. Un pamphlet spietato ma necessario, che squarcia il velo di illusioni e ipocrisie che continua a rendere l'odio incomprensibile a noi moderni.
"Il linguaggio amoroso, 'altro linguaggio' [...:] attrito, frizione insopportabile che l'innamorato avverte tra il suo linguaggio amoroso (per lui: il linguaggio giusto) e ogni altro linguaggio: linguaggi costituiti dalla mondanità, dalla scienza, dalla moda, dalla generalità, avvertiti con orrore come artificiosità. [...] Artificiosità, sensazione della inversione del reale. Il mondano, lo scientifico, la generalità: falsa realtà. Veramente reale è l'Amore 'artificiosità'). Sensazione del soggetto innamorato: che l'Amore faccia vedere lucidamente la futilità, la vanità dei linguaggi non amorosi. L'Amore è mediatore di verità. Allargamento filosofico del sentimento amoroso. [...] Divergenza dei sistemi, l'altro linguaggio rinvia alla divergenza dei campi, dei sistemi. Due sistemi divergenti: l'Amoroso e il Mondano. Ogni accavallamento è intollerabile. Quindi: la nudità della relazione col mondo (di esclusione, di separazione). Ma la separazione (che è di fatto una valutazione) incontra codici culturali che l'alimentano e le servono da alibi. [...] All'innamorato in rottura con la mondanità, la socievolezza, la generalità, la conformità corrisponde un'estetica della dissimmetria, dell'inversione, dell'asindeto, della irregolarità. È almeno così che il soggetto innamorato si dice". Roland Barthes, 'Figura 8: Altro linguaggio', Seminario, 30 gennaio 1975
Il volume riflette sulla tesi di un'origine "francescana" del giusnaturalismo moderno. Si apre con un excursus sull'equilibrio della sintesi tomista, sulla posizione di san Bonaventura e sulla crisi culminata con la condanna parigina del 1277. L'autore presenta quindi la concezione del diritto naturale di Giovanni Duns Scoto, la "disputa sulla povertà", il pensiero di Guglielmo di Ockham e le sorti del diritto naturale nel nominalismo, per mostrare infine come queste idee confluiscano nella prospettiva teologico-morale e giuridica dei riformatori. Una lettura attenta degli scritti di Lutero, Melantone, Calvino, Zanchi e Althusius consente una migliore ricostruzione della rottura tra il paradigma classico e quello moderno del diritto naturale.
“Per quanto pubblicato più di sessant’anni fa (ma pensato ed elaborato già da diversi decenni) “Il diritto internazionale e il problema della pace” non ha perso nulla in completezza di informazione, immediatezza e freschezza espositiva e lucidità di argomentazione. Quando venne per la prima volta dato alle stampe, questo libro apparve a molti come testo agile sì, gradevole certamente, ma essenzialmente destinato alla scuola e meritevole quindi di essere letto e meditato soltanto da studenti di giurisprudenza. Mai giudizio fu più grossolano di questo. I lettori più attenti, infatti, non esitarono a ritenerlo e ben a ragione un piccolo capolavoro: una di quelle opere che si possono anche scrivere in pochi giorni, ma che richiedono anni di letture e di studio per essere pensate e successivamente redatte” (dalla Prefazione di Francesco D’Agostino).
Costante è stata l'attenzione di Ricoeur al tema della pena, nel suo versante teologico (chi commette peccato? Chi giudica e condanna?), filosofico (l'intrecciarsi di male subito e commesso) e politico-giuridico (come sanzionare il colpevole senza comminare inutili sofferenze?).
Nei saggi qui per la prima volta tradotti, che coprono l'arco dell'intera riflessione ricoeuriana, vediamo all'opera il respiro ermeneutico del filosofo: partire dalle evidenze per mostrare i rendiconti significati del "diritto di punire", un diritto che , se non riflessivamente sorvegliato, rischia di rovesciarsi nell'opposto; non riparazione di un danno, ma perpetrazione, anche involontaria, del male fisico e morale
Quando entriamo in relazione con gli altri, non ne usciamo mai indenni. La nostra affettività si scontra con la realtà del mondo. Con la materialità del nostro corpo. Con la resistenza che gli altri oppongono al nostro desiderio. E il mondo non esita ad addomesticare la vita obbligandoci, molto spesso, a reprimere i nostri sentimenti, a renderci conformi alle aspettative degli altri, a sottometterci al giudizio collettivo. E se la nostra verità fosse proprio lì, in quell'imperfezione che ci portiamo dentro e che cerchiamo a tutti i costi di negare? E se fosse solo nel momento in cui rinunciamo alla perfezione che possiamo vivere pienamente?
Esaminando il concetto della trascendenza di Dio nel pensiero giudaico e cristiano dei primi secoli, l'autore si concentra su una sola tradizione teologica, quella alessandrina, e analizza in particolare le idee contenute nelle opere di due dei maggiori esponenti: Filone e Clemente. Per comprendere meglio i concetti filosofici contenuti nelle loro opere, l'autore presenta una breve storia della nozione della trascendenza nella filosofia greca, dove evidenzia soprattutto le idee dei filosofi antichi che sono state riprese o reinterpretate dai due alessandrini. Di seguito, esamina il concetto della trascendenza divina in Filone e Clemente di Alessandria.
Le conferenze raccolte in questo volume sono la cupola della filosofia dell'essenzialismo di Sossio Giametta, un sistema a posteriori sviluppato liberamente e solo alla fine riportato alla sua scaturigine sistematica. Quando tutto sembrava (all'autore) essere stato detto, nuovi rami sono spuntati dal tronco e hanno arricchito la chioma dell'albero: riflessioni innovative, per non dire rivoluzionarie, sul mondo, sul Bene, sulla Natura, sulle tre missioni essenziali di Nietzsche, sulla metafisica dell'amore sessuale - perla della filosofia schopenhaueriana -, su Gesù, la Chiesa e il Cristianesimo, sul Dio lontano dei laici, sulla finis Europae, sul problema fondamentale delle neuro-scienze e sul dissidio odierno tra scienza e umanità.
Cosa significa fare oggi filosofia analitica della religione? Eleonore Stump in questo libro cerca di recuperare il senso profondo del contributo che Tommaso d'Aquino ha dato al nostro pensiero su Dio, avviando una discussione sulla dottrina degli attributi divini: eternità, semplicità e immutabilità. Rivolgendosi a tutti coloro che sono interessati alla verità delle cose, indipendentemente dalla loro posizione religiosa, cerca un'alleanza innovativa - considerata la diffidenza continentale verso un approccio razionale e metafisico e l'antitetica predilezione anglosassone verso la formulazione di "nuovi teismi" - tra le risorse filosofiche del cristianesimo e le sue tradizioni spirituali e bibliche. Il teismo classico ha oggi molto da dire: è ancora necessario scegliere tra il Dio della Bibbia e il Dio di (certi) filosofi.
Partendo da uno studio del ruolo metaforico dell'architettura nel giudaismo ellenistico De Luca analizza le principali tematiche filosofiche che emergono dall'immagine del Dio architetto descritto da Filone. Prefazione David T. Runia.

