
Giulio Cesare non è morto, durante la congiura delle Idi di marzo. Stanco della vita fatta di intrighi politici, corruzione e continui scontri con i senatori della Curia, ha inscenato la propria morte insieme a Bruto. E dopo essere scomparso dalla vita politica di Roma, è tornato al comando di un manipolo di uomini bene addestrati e pronti a tutto, la «Legio Caesaris», con l'intento di esplorare le terre oltre i confini dell'impero, per scoprire ricchezze e tesori, sottomettere le popolazioni barbare e, soprattutto, scoprire il segreto della vita eterna. Perché Cesare ha uno scopo ben preciso in mente, ed è deciso a raggiungerlo: vuole ritornare trionfalmente a Roma per fare piazza pulita dei suoi nemici e regnare come imperatore assoluto. Per sempre. Dopo la sua finta morte durante la congiura, perciò, si è imbarcato con la «Legio Caesaris» verso i regni degli dei del nord, alla ricerca della mitica isola di Thule, per confrontarsi con le creature eterne che governano il segreto dell'immortalità e strapparglielo con la forza. Lo scontro epico che lo ha visto impegnato insieme a Cicerone, Bruto, Spartaco e gli altri coraggiosi che hanno voluto seguirlo in quell'avventura, si è risolto in una cocente sconfitta, ma Cesare non è uomo che si arrende tanto facilmente. Capisce che l'unico modo per conquistare la vita eterna è scendere nell'Averno, il regno delle tenebre, e tuffarsi nelle acque del fiume Stige, che rendono immortali. Ma come raggiungerlo? Secondo le più antiche credenze, lo Stige non è altro che il nome antico per indicare il Nilo. Decide così di intraprendere, sotto la guida esperta e ammaliante della regina Cleopatra, una difficile spedizione per risalire le acque del grande fiume, arrivare fino alla sorgente, individuare l'ingresso all'Averno e conquistarsi il diritto di immergersi nello Stige, combattendo contro gli dei e le terribili creature che popolano il regno degli inferi.
Mentre tutti fuggono alla ricerca di un improbabile luogo dove potersi salvare da una imminente esplosione solare, una donna decide di restare nel paese dov'è nata, e di guardarsi dentro. Racconta a se stessa e al mondo che scompare ciò che ha visto e chi ha incontrato, le cose che ha vissuto e quelle che ha sognato. E canta per esorcizzare il buio. O per accogliere quel buio con straziante dolcezza. Giorgio Faletti si congeda, assieme alla sua protagonista, nel segno di una commovente tenerezza per le cose umane.
È cominciata con la paura. Paura delle automobili. Paura dei treni. Paura delle luci troppo forti. Dei luoghi troppo affollati, di quelli troppo vuoti, di quelli troppo chiusi e di quelli troppo aperti. Paura dei cinema, dei supermercati, delle poste, delle banche. Paura degli sconosciuti, paura dello sguardo degli altri, di ogni altro, paura del contatto fisico, delle telefonate. Paura di corde, lacci, cinture, scale, pozzi, coltelli. Paura di stare con gli altri e paura di restare da sola. Nel posto in cui vivevo allora arrivava il richiamo lacerante dei piccoli rapaci notturni nascosti tra i rami degli alberi. Di notte, l'inferno indossava la maschera peggiore. Di notte, quando nelle case intorno si spegnevano tutte le luci, tutte le voci, quando sulla strada il fruscio delle automobili e dei camion si assottigliava.
Quando si nasce in una famiglia come quella di Simonetta Agnello Hornby, si cresce con la consapevolezza che si è tutti normali, ma diversi, ognuno con le proprie caratteristiche, talvolta un po' "strane". E allora con naturalezza "di un cieco si diceva 'non vede bene', del claudicante 'fa fatica a camminare', dell'obeso 'è pesante', dell'invalido 'gli manca una gamba', dello sciocco 'a volte non capisce', del sordo 'con lui bisogna parlare ad alta voce'", senza mai pensare che si trattasse di difetti o menomazioni. Attraverso una serie di ritratti sapidi e affettuosi, facciamo così la conoscenza di Nini, sordomuta, della bambinaia Giuliana, zoppa, del padre con una gamba malata, e della pizzuta zia Rosina, cleptomane - quando l'argenteria scompare dalla tavola, i parenti le si avvicinano di soppiatto per sfilarle le posate dalle tasche, piano piano, senza che se ne accorga, perché non si deve imbarazzare. E poi naturalmente conosciamo George, il figlio maggiore di Simonetta. Non è facile accettare la malattia di un figlio, eppure è possibile, e la chiave di volta risiede proprio in quel "nessuno può volare": "Come noi non possiamo volare, così George non avrebbe più potuto camminare: questo non gli avrebbe impedito di godersi la vita in altri modi. Nella vita c'è di più del volare, e forse anche del camminare. Lo avremmo trovato, quel di più". Lo stesso proposito quotidiano ci arriva anche da George - che da quindici anni convive con la sclerosi multipla -, la cui voce si alterna a quella della madre come un controcanto ironico ma deciso nel raccontare i tanti ostacoli, e forse qualche vantaggio, di chi si muove in carrozzella. Simonetta Agnello Hornby ci porta con sé in un viaggio dalla Sicilia ai parchi di Londra, attraverso le bellezze artistiche dell'Italia. Un viaggio che è anche - soprattutto - un volo al di sopra di pregiudizi e luoghi comuni, per consegnarci, insieme a molte storie toccanti, uno sguardo nuovo. Più libero.
Gli occhi grandi e profondi a forma di mandorla, il volto dai tratti regolari, i folti capelli castani: la bellezza di Maria è di quelle che gettano una malìa su chi vi posi lo sguardo, proprio come accade a Pietro Sala - che se ne innamora a prima vista e chiede la sua mano senza curarsi della dote - e, in maniera meno evidente, all'amico Giosuè, che è stato cresciuto dal padre di lei e che Maria considera una sorta di fratello maggiore. Maria ha solo quindici anni, Pietro trentaquattro; lui è un facoltoso bonvivant che ama i viaggi, il gioco d'azzardo e le donne; lei proviene da una famiglia socialista di grandi ideali ma di mezzi limitati. Eppure, il matrimonio con Pietro si rivela una scelta felice: fuori dalle mura familiari, Maria scopre un senso più ampio dell'esistenza, una libertà di vivere che coincide con una profonda percezione del diritto al piacere e a piacere. Attraverso l'eros, a cui Pietro la inizia con sapida naturalezza, arriva per lei la conoscenza di sé e dei propri desideri, nonché l'apertura al bello e a un personalissimo sentimento della giustizia. Durante una vacanza a Tripoli, complice il deserto, Maria scopre anche di cosa è fatto il rapporto che, fino ad allora oscuramente, l'ha legata a Giosuè. Comincia una rovente storia d'amore che copre più di vent'anni di incontri, di separazioni, di convegni clandestini in attesa di una nuova pace.
"Ogni mattina alle sette, lavato, sbarbato, vestito di tutto punto mi siedo al tavolo del mio studio e scrivo. Sono un uomo molto disciplinato, un perfetto impiegato della scrittura. Forse con qualche vizio, perché mentre scrivo fumo, molto, e bevo birra. E scrivo, io scrivo sempre. Questo è Camilleri. Poi a novant'anni arriva il buio. E così come non era terrorizzato dalla pagina bianca, combatte anche l'oscurità della cecità e inizia a dettare. La sua produzione letteraria trova nell'oralità una nuova via per raccontare le sue storie. Ma se forte era la sua disciplina prima, lo è ancora di più oggi che può contare esclusivamente sulla sua memoria. E quindi occorre tenerla in esercizio: osservare nei dettagli i ricordi, rappresentarsi nella mente le scene. Quelli qui pubblicati, come dice lui, sono i compiti per l'estate: 23 storie pensate in 23 giorni, che raccontano come nitide istantanee la sua vita unica e, sullo sfondo, quella del nostro Paese. La memoria qui non è mai appesantita né dalla malinconia né dal rimpianto. Per questo Camilleri ha chiesto a chi parla attraverso i colori, le forme e i volumi di rendere il suo esercizio più godibile, più leggero, più spettacolare. L'ideale della mia scrittura è di farla diventare un gioco di leggerezza, un intrecciarsi aereo di suoni e parole. Vorrei che somigliasse agli esercizi di un'acrobata che vola da un trapezio all'altro facendo magari un triplo salto mortale, sempre con il sorriso sulle labbra, senza mostrare la fatica, l'impegno quotidiano, la presenza del rischio che hanno reso possibili quelle evoluzioni. Se la trapezista mostrasse la fatica per raggiungere quella grazia, lo spettatore certamente non godrebbe dello spettacolo."
Per me ormai Roma è questa, non quella del Pantheon o di piazza Euclide; non i monumenti di gesso che si ammirano dal Gianicolo, né il giro di cupole e campanili che disegnano i gabbiani dalla Terrazza Olivetti. La Roma che per lui era straniera, da volerci quasi il visto per entrarci, è ormai straniera anche per me: non mi restano che le borgate, ma le borgate senz'anima perché l'anima delle borgate era lui. Per gli altri sono "il professore", detto con stima e ironia - il "buana" bianco che non conosce le usanze, il pollo da spennare, il gay attivo che comunque si inchiappettava uno dei loro, la persona di rispetto a cui chiedere il parere su un'irregolarità amministrativa o informazioni su un episodio storico: tra le identità che ho assunto nel tempo, mi pare una delle più accettabili. Il progetto meno opaco che riesco a formulare è trasferirmi all'estero, in una geografia immaginaria dei paesi in cui mi è stato concesso di far l'amore con Marcello (più o meno come in quei giochi dove si ricostruisce una figura congiungendo i punti con un tratto di penna); mezzo per caso mezzo per volontà, la parte di mondo che mi sarebbe consentita ha ai suoi vertici Chicago e Sharm el-Sheikh, Amsterdam e Abu Dhabi, Rio de Janeiro e Barcellona, Cuba e Berlino - il territorio in cui l'ho posseduto è libero dai mostri. Il romanzo più estroverso di Walter Siti torna in libreria con un Post scriptum inedito dell'autore.
Nel 1974, quattro anni dopo la sua drammatica fuga da Tripoli, Mike "Africa" Balistreri è un giovane psicologicamente provato dagli eventi della sua intensa adolescenza libica. È uno studente di Filosofia all'Università di Roma venuto a contatto con l'estrema destra, ed è entrato nelle file di Ordine Nuovo, che - dopo essere stato messo fuori legge - si riorganizza clandestinamente per la lotta armata. L'estremismo politico degli anni di piombo, il passato e i suoi incubi tornano a bussare alla sua porta nel 1986, quando è ormai da tempo commissario di polizia e si ritrova a seguire le indagini sull'omicidio dell'avvocato e deputato Giulio Giuli, sua vecchia conoscenza in Ordine Nuovo.
Turisti, terroristi, secolaristi, hacker, fondamentalisti, transumanisti, algoritmici: sono tutte tribù che abitano e agitano "l'innominabile attuale". Mondo sfuggente come mai prima, che sembra ignorare il suo passato, ma subito si illumina appena si profilano altri anni, quel periodo fra il 1933 e il 1945 in cui il mondo stesso aveva compiuto un tentativo, parzialmente riuscito, di autoannientamento. Quel che venne dopo era informe, grezzo e strapotente. Nel nuovo millennio, è informe, grezzo e sempre più potente. Auden intitolò "L'età dell'ansia" un poemetto a più voci ambientato in un bar a New York verso la fine della guerra. Oggi quelle voci suonano remote, come se venissero da un'altra valle. L'ansia non manca, ma non prevale. Ciò che prevale è l'inconsistenza, una inconsistenza assassina. È l'età dell'inconsistenza.
"Ci fu un silenzio e poi un alito caldo e costante contro la schiena, un vento forte e secco che soffiava dal deserto spingendomi verso la città e il suo oceano. Mi toccava, muovendosi in tante direzioni contemporaneamente, sfiorandomi le tempie. Avevo già sentito quella brezza, avevo visto quella luce e sapevo cos'era: il luminoso invisibile. Questa volta feci come aveva detto Max. Non cercai di afferrarlo, non mi concentrai né provai a capirlo. Lo lasciai splendere." Ecco poche righe che contengono tutte le parole del romanzo di Eugenia: cielo, luce, vento, città, oceano, splendore. Mancano però le parole amore, rabbia, terremoto che costelleranno le avventure della nostra imprevedibile protagonista. Eugenia si catapulta, adolescente romana con la sua famiglia "che non fa mai le cose come si deve", in una zona decisamente ruvida di Los Angeles, agli inizi degli anni '90. Attraverso i suoi occhi stupefatti vediamo accumularsi l'amore, la droga e gli eccessi, le amicizie travolgenti e delicate, l'affiorare di una coscienza politica. E poi Los Angeles con una natura selvaggia che affiora dai marciapiedi, dalla terra che trema, dispersa e fluttuante in un disordine alieno di strade e persone. E come un rombo di un aereo intercontinentale lontano nel cielo, la coscienza di Eugenia, con il suo linguaggio emotivo e psichico unici, agisce e sgretola impietosamente il falso mito di un'America idealizzata, dove tutto è in vendita.
Una Roma lunare e sguaiata scenario di una feroce mattanza. Un Grande Progetto che seppellirà sotto una colata di cemento le sue periferie. Due vecchi nemici, un bandito e un carabiniere, che ingaggiano la loro sfida finale. Intanto, mentre l'Italia affonda, politici, alti prelati e amministratori corrotti sgomitano per partecipare all'orgia perpetua di questo Basso Impero criminale.
Febbraio 1969. La giovane Palmina corre sconvolta per le strade di Acquaviva, paesino siciliano di tremila anime, cercando rifugio a casa della madre Concetta. Palmina ha abbandonato il tetto coniugale: un reato piuttosto grave, a quei tempi. Ma cosa l'ha spinta a lasciare il marito Vincenzino, che ora vorrebbe riprendersela? Ed è mai possibile che, dopo cinque anni di convivenza, la bella Palmina sia ancora illibata? Ad Acquaviva ci sono solo due avvocati, che quindi prendono in carico il caso dei coniugi, ma anche tutto il resto del paese si butta con gusto nello scandalo: il maresciallo dei carabinieri, il parroco, il farmacista, il barbiere, le dame di carità e perfino alcuni lontani parenti americani. Con il procedere della causa, i sussurri e le voci divampano come un incendio, fino a mettere seriamente a rischio la reputazione di maschio di Vincenzino: la faccenda si complica e diventa una «questione d'onore», per i due e per le loro famiglie, con in testa le formidabili e agguerrite consuocere. E, quando di mezzo c'è l'onore, madri come quelle sono dispostissime anche a sacrificare la felicità dei propri figli... Tra segreti inconfessabili e colpi di scena, si dipana una vicenda dai toni leggeri e dal retrogusto agrodolce, che si iscrive nella migliore tradizione della commedia all'italiana. Michele Guardì attinge ai suoi ricordi di giovane avvocato e racconta, con sguardo ironico e carico di profonda umanità, una storia (quasi) vera di gente comune. E, sullo sfondo, dipinge un vivido affresco dell'Italia a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta e di una Sicilia che guardava al futuro, ma che restava fatalmente ancorata al passato e alle sue tradizioni.