
Estremisti pazzi o criminali, sognatori dal grilletto facile, terroristi neri e rossi, politici in carriera; ma anche un coro di vittime, eroi dimenticati, madri, sorelle o fratelli che hanno perso quello che amavano di più, subendo discriminazioni e ingiustizie. Dopo «Cuori neri», Luca Telese ha scritto un altro libro-verità pieno di testimonianze inaspettate e di rivelazioni sulle ultime inchieste. La storia della destra eversiva italiana e quella della sinistra rivoluzionaria si arricchiscono di nuovi retroscena che gettano una luce sugli angoli bui di tanti misteri italiani. Ma «Cuori contro» non è solo un resoconto di sangue e lotta armata, è soprattutto una riflessione sul senso della memoria e della riconciliazione in un Paese sempre in bilico fra generosità e amnesie.
Tanti autori letterari hanno scritto "contro" la fede in Dio, l'appartenenza alla Chiesa Cattolica e la religione in genere, ma solo perché animati da un ideale "alto" di Dio, Chiesa e religione. Sono i "cristiani contro". Rivivono in questo libro che ne fa una carrellata di ritratti essenziali e sorprendenti, ricchi di citazioni dalle loro opere, attraversando i secoli, le opere e gli stili della letteratura italiana: da Iacopone da Todi a Pier Paolo Pasolini, da Giovanni Boccaccio ad Alessandro Manzoni, da Ludovico Ariosto ad Antonio Fogazzaro, da Giuseppe Gioacchino Belli a Ignazio Silone e a padre David Maria Turoldo. Anche Giacomo Leopardi, Luigi Pirandello e Umberto Eco appartengono, metaforicamente, a questo percorso morale e letterario. I loro, sono ritratti di "cristiani senza Cristianesimo", ma profondamente segnati dall'educazione cattolica e dalla cultura religiosa.
Sono atmosfere rarefatte e surreali a fare da sfondo ai racconti di "Disadorna". Seguendo quel tocco lieve e ironico che contraddistingue il realismo magico tutto padano di Dario Franceschini, incontriamo uomini storditi di fronte alla vastità del mare, ci perdiamo nella nebbia che avvolge la pianura, scoviamo ricordi e amori lontani, vediamo le storie con gli occhi dei protagonisti. Forse, ci dice l'autore, è proprio nelle cose più semplici della vita che si nasconde la felicità.
Con una nota di lettura di Gennaro Matino.
Un libro che affianca a 36 racconti di Erri De Luca altrettanti disegni (in bianco e nero e a colori) dell'artista Alessandro Mendini. Un duetto che rimanda a una nostra tradizione forte - basti pensare al connubio fra Rodari e Munari - e che qui comincia sempre con un'illustrazione, da cui poi il racconto prende liberamente l'abbrivio. "Quello che scrivo," dice De Luca, "dipende dal riflesso di uno che è preso alla sprovvista." E a stupire, a spiazzare sono quei disegni che fanno spalancare gli occhi come uno strappo nel cielo, fanno sentire nudi "come quei due nel primo giardino, dopo l'assaggio scippato dall'albero della conoscenza", perché "la suggestione è una manifestazione della verità". Erri De Luca e Alessandro Mendini iniziano quasi per gioco - ispirandosi ai disegni di un bambino caro a entrambi - e poi via via stabiliscono fra loro un dialogo di forme e parole serrato e ricco di senso, tracciano sulla pagina le proprie paure, le tentazioni, le fiere ostinazioni, e tutto un vivace campionario di "mostruosità terrestri". Compongono dunque un libro di eroismi quotidiani che scandaglia, attraverso percorsi tutt'altro che logici e prevedibili, il nostro più profondo sentire: facendoci avvertire il fiato dei mostri dietro le nostre spalle e al contempo consegnandoci le chiavi del serraglio dentro cui tenerli a bada.
È ancora possibile, in un paese dove tutto viene manomesso e abbandonato alla speculazione immobiliare e ambientale, ritrovarne un frammento incontaminato? Sì, ci dice Rea, ed è l'argine maestro del Po. Una strada che all'inizio degli anni novanta l'autore sceglie per un viaggio straordinario: dopo aver inseguito le tracce del Po di Goro, Rea accompagna il grande Fiume in tutte le sue anse e in tutte le sue divagazioni. Per poi sempre riprendere la strada principale, l'argine maestro, il corridoio che percorre placido la Pianura Padana: dal Delta a Ferrara, da Mantova alla Food Valley italiana, e poi di corsa verso l'Oltrepò e infine il Piemonte, il Monviso. Un viaggio di 650 chilometri intrapreso alla scoperta di grandi scenari naturali, insospettabili in un'area così densamente popolata, che infine si trasforma in itinerario culturale, alla ricerca degli uomini e delle loro attività, dell'arte e anche del cibo. Perché alla fine gli abitanti conoscono solo il loro tratto d'argine, e in pochi si rendono conto di quanto il Fiume nel tagliare il Nord Italia attraversi un'infinita varietà di paesaggi e ambienti. E tanto meglio se questo controcanto proviene da un uomo del Sud. Perché, come dice Rea, "sono un 'Napoli', pensate voi, innamorato del Po".
Tiziano Fratus è riuscito nella mirabile impresa di rendere la sua passione per gli alberi un vero e proprio - seppur bizzarro - lavoro. Ma cosa significa essere cercatore d'alberi? Cosa significa "parlare con gli alberi"? Secondo l'autore "ascoltare gli alberi vuol dire capire, vuol dire conoscere, vuol dire approfondire, vuol dire abbellirsi e arricchirsi, vuol dire espandere la capacità di sentirsi una creatura di Dio - o della natura - nel mezzo di un pianeta che vive e pulsa e respira, a ogni suo battito". Questa non è solo una guida per chi vuole allevare il suo cercatore di alberi interiore, ma anche - se non soprattutto - una fonte di ispirazione filosofica e contemplativa. Per chiunque ami ricavarsi del tempo per passeggiare in mezzo al verde o nell'alveo di una riserva naturale, piuttosto che nella Milano dell'Expo o della Roma immobilizzata dal traffico. Un libro per imparare e riflettere: un viaggio nella natura, sempre e necessariamente con il naso all'insù, oggi arricchito da nuovi testi e quarantotto spettacolari fotografie.
"I Viceré si iscrive a mio avviso nel capitolo delle grandi saghe che con la potenza di un affresco narrano alcuni decenni di storia attraverso le vicende di una famiglia, di una stirpe, di un ceto sociale, assunti come monade del mondo che li circonda. [...] I Viceré è una disperata, sofferta, dolorosa confessione. La confessione di un essere umano che si identifica totalmente con una precisa società, e ne racconta i fatti e i misfatti con una oggettività insistita e impietosa; come un serial killer che una volta preso e smascherato svuota finalmente il sacco dei suoi delitti, rivelandone addirittura di insospettati. [...] I Viceré è dunque davvero un lungo, dolente monologo. Dal suo senso più profondo possono anche distrarre i fatti, i conflitti, i personaggi che ne animano le pagine, e che nel romanzo tengono desta l'attenzione, incuriosiscono, e addirittura appassionano. Ma il più autentico filo conduttore è quello: il dolore, forse anche la disperazione, che ne fanno il sofferto epicedio di questa società di naufraghi della Medusa, atavicamente impotente, alla quale l'autore è atavicamente legato e alla cui sorte si immola." (dalla prefazione di Luigi Lunari)
La favola di Cenerentola comincia da qui. Quella tratta dal "Cunto de li cunti" (1634-36) è la più antica versione del tradizionale racconto di Cenerentola, che ha poi ispirato Perrault e i fratelli Grimm. La giovane Zezolla, figlia di un principe, viene indotta dalla propria istitutrice a uccidere la matrigna, che sempre si è mostrata crudele con lei. Quando il padre decide di prendere in moglie la maestra, Zezolla, scalzata dalle sei figlie di lei, finisce al lavoro nelle cucine, disprezzata e apostrofata come la "Gatta Cenerentola". Completano il volume tre delle più apprezzate fiabe del "Pentamerone": "La pulce", "La cerva fatata", "La vecchia scorticata".
La notte in cui tutto cambia per sempre è una notte di ghiaccio e nebbia ad Avechot, un paese rintanato in una valle profonda fra le ombre delle alpi. Forse è stata proprio colpa della nebbia se l'auto dell'agente speciale Vogel è finita in un fosso. Un banale incidente. Vogel è illeso, ma sotto shock. Non ricorda perché è lì e come ci è arrivato. Eppure una cosa è certa: l'agente speciale Vogel dovrebbe trovarsi da tutt'altra parte, lontano da Avechot. Infatti, sono ormai passati due mesi da quando una ragazzina del paese è scomparsa nella nebbia. Due mesi da quando Vogel si è occupato di quello che, da semplice caso di allontanamento volontario, si è trasformato prima in un caso di rapimento e, da lì, in un colossale caso "mediatico". Perché è questa la specialità di Vogel. Non gli interessa nulla del dna, non sa che farsene dei rilevamenti della scientifica, però in una cosa è insuperabile: manovrare i media. Attirare le telecamere, conquistare le prime pagine. Ottenere sempre più fondi per l'indagine grazie all'attenzione e alle pressioni del "pubblico a casa". Santificare la vittima e, alla fine, scovare il mostro e sbatterlo in galera. Questo è il suo gioco, e questa è la sua "firma". Perché ci vuole uno come lui, privo di scrupoli, sicuro dei propri metodi, per far sì che un crimine riceva ciò che realmente gli spetta: non tanto una soluzione, quanto un'"audience". Sono passati due mesi da tutto questo, e l'agente speciale Vogel dovrebbe essere lontano, ormai, da quelle montagne inospitali. Ma allora, cosa ci fa ancora lì? Perché quell'incidente? Ma soprattutto, visto che è illeso, a chi appartiene il sangue che ha sui vestiti?
Le stagioni si avvicendano sempre uguali a Casedisopra, fra la tabaccheria della Nerina e le due caserme - dei Carabinieri e della Forestale - che invano vigilano sulla trattoria-bar di Benito, dove anche quando la stagione della caccia è chiusa il maiale servito in tavola ha un curioso retrogusto di cinghiale...
Eppure ultimamente qualcosa sta cambiando. In paese compaiono ragazzi e ragazze dagli abiti colorati, calzano sandali di cuoio intrecciati a mano e vendono i prodotti del bosco e della pastorizia: sono gli Elfi, che vivono in piccole comunità isolate sulla montagna, senza elettricità, praticando il baratto e ospitando chiunque bussi alla loro porta senza porre domande. Forse potranno essere loro a prendersi cura del territorio appenninico, sempre più trascurato e spopolato, mentre sul corpo della Forestale incombe il destino di venire assorbito nell'Arma dei Carabinieri? Marco Gherardini, detto Poiana, ispettore della Forestale, non fa in tempo a immalinconirsi con questi pensieri che ecco, nell'aria risuonano due spari proprio quando nemmeno i cacciatori avrebbero licenza di esploderli. E di lì a poco, ai piedi di un dirupo viene trovato un cadavere: proprio un giovane elfo, si direbbe.
Inizia per Poiana l'indagine più difficile della sua carriera. Perché potrebbe essere l'ultima, ma non solo: perché si troverà a sospettare degli amici più cari, perché dovrà ammettere che l'intuito femminile può essere imbattibile, perché per trovare la direzione giusta dovrà essere pronto a perdersi nel bosco...
Roma, agosto 2010. In un vecchio palazzo senza ascensore, Ilaria sale con fatica i sei piani che la separano dal suo appartamento. Vorrebbe solo chiudersi in casa, dimenticare il traffico e l'afa, ma ad attenderla in cima trova una sorpresa: un ragazzo con la pelle nera e le gambe lunghe, che le mostra un passaporto. «Mi chiamo Shimeta Ietmgeta Attilaprofeti» le dice, «e tu sei mia zia.» All'inizio Ilaria pensa che sia uno scherzo. Di Attila Profeti lei ne conosce solo uno: è il soprannome di suo padre Attilio, un uomo che di segreti ne ha avuti sempre tanti, e che ora è troppo vecchio per rivelarli. Shimeta dice di essere il nipote di Attilio e della donna con cui è stato durante l'occupazione italiana in Etiopia. E se fosse la verità? E cosi che Ilaria comincia a dubitare: quante cose, di suo padre, deve ancora scoprire? Le risposte che cerca sono nel passato di tutti noi: di un'Italia che rimuove i ricordi per non affrontarli, che sopravvive sempre senza turbarsi mai, un Paese alla deriva diventato, suo malgrado, il centro dell'Europa delle grandi migrazioni.