
Le Rime di Dante sono, insieme al Canzoniere di Petrarca, la più importante e la più bella raccolta poetica del nostro Medioevo. La maggior parte dei componimenti è di tema amoroso, ma non mancano canzoni e sonetti filosofico-morali che anticipano il Convivio e la Commedia. Dante eredita, da un lato, il repertorio delle convenzioni medievali e, dall'altro, emancipandosi dai cliché letterari della sua epoca e aprendo strade destinate ad avere ampia fortuna, anticipa orientamenti che saranno caratteristici della poesia moderna.
Questo libro è frutto dell'incontro fra due scrittori di razza (l'autore e Gold, al secolo Luca Goldoni, amico di sempre), si incontrano e decidono di scrivere un libro a due mani. Sono scintille. Di ricordi, di passioni, di amicizia. Un collage di fatti e volti incastonati nella memoria dei due protagonisti che nella circumnavigazione della vita hanno spesso incrociato le loro orbite per seguire la curiosità dell’uomo e quella del giornalista vero. Due amici a colloquio con se stessi in un dialogo sincero e a tratti intimo, che affidano all’amico libro le confidenze di tutta una vita.
In queste pagine si racconta la vicenda di Isabella d'Este, divenuta marchesa di Mantova dopo il matrimonio con Francesco Gonzaga; non di una semplice per quanto raffinata biografia si tratta, però, quanto di un vero e proprio romanzo: sia per la presenza di alcuni personaggi totalmente inventati - come Robert de la Pole, corrispondente del re d'inghilterra e innamorato platonico di Isabella -, sia soprattutto per la qualità della scrittura, che sembra avvolgere in una sorta di abbagliante pulviscolo ogni figura e ogni fatto storico. Protagonista assoluta è lei, Isabella, che ormai alla soglia dei sessant'anni rievoca la propria vita da quando, sposa sedicenne, giunse a Mantova e in un periodo tra i più tumultuosi e fulgidi della nostra storia, a cavallo tra Quattro e Cinquecento, resse le fila del piccolo stato costruendo attorno a sé una corte di ineguagliato splendore.
La città è Bari. Il momento, gli anni Ottanta. Il denaro corre veloce per le vene del Paese. I tre adolescenti che si aggirano per le strade di questo libro hanno in corpo una sana rabbia, avvelenata dal benessere e dalla nuova smania dei padri. Si azzuffano e si attraggono come gatti selvatici, facendo di ogni cosa - la musica, le ragazze, le giornate - un contorto esercizio di combattimento. Ma negli angoli dei quartieri periferici li aspetta il lato in ombra di quel tempo che luccica: qualcosa che li costringerà a mettere in discussione le loro famiglie, i loro sentimenti, e perfino se stessi. Ci metteranno vent'anni per venirne a capo.
Si racconta di Genni, un giovane siciliano, coinvolto, involontariamente, in una storia di violenza e di morte e che si ritrova a dovere scontare la pena dell’ergastolo. Durante i trenta anni della sua permanenza in carcere, prima di ottenere la grazia dal Presidente della Repubblica, Genni, aiutato dalla benevolenza di vari personaggi (il superiore e sua moglie, il cappellano, l’assistente sociale), matura il desiderio di riscattare la sua vita e di «risalire la china» da sponde di male e di vendetta, verso orizzonti di bene e di speranza. Libero dal carcere, si reca come volontario in Kenia e qui si dedica agli altri con un amore che lo porterà a donare la sua vita fino al martirio: infatti morirà durante un agguato... Genni, come lui stesso si definì: visse nell’ombra dei giorni e fu testimone della fecondità della colpa.
Melo Freni siciliano vive a Roma dove, per 35 anni, è stato redattore culturale e poi redattore capo del TG1, lavoro che gli ha consentito di viaggiare a lungo per il mondo ed entrare in contatto con scrittori ed artisti fra i più importanti del secondo Novecento. Ha scritto dieci romanzi, ma è anche autore di diverse raccolte di poesia e di saggi letterari. Sulla sua opera sono state svolte otto tesi di laurea e numerosi interventi critici anche presso università americane ed europee, fra le quali l’Università Cattolica di Lovanio e la Facoltà di Lettere e Teologia della romena Timisoara. È presente in Cultura e scuola della Treccani ed in altre prestigiose antologie e storie della letteratura italiana di alcune case editrici, fra le quali: D’Anna, La Nuova Italia, Mursia, Lucarini e Modern School. La critica lo ha attenzionato, in particolare, nei premi letterari Viareggio, Strega, Napoli, Alessandro Manzoni, Pisa e Circe-Sabaudia.
La voce narrante di questo racconto è quella di una madre la quale, dopo un vissuto sofferto, dovrà affrontare un'ulteriore prova: Greta, sua figlia, è succube della droga. L'intera trama si dipana attraverso episodi, i quali mettono in luce la fede e il coinvolgimento emotivo di questa donna. Il racconto rivela come qualunque difficoltà non debba essere un motivo di resa, bensì una ragione per combattere e sperare, nella fede, in una soluzione possibile. Dopo essere riuscita a instaurare un forte legame con sua figlia, questa madre si accorge che l'intera esperienza le ha permesso di riscoprirsi madre, attenta e presente nella vita di sua figlia.
"Siamo un inno alla precarietà e un invito al male, a compierlo vicendevolmente gli uni sugli altri... Ti uccido per vivere. Ti uccido per possedere. Ti uccido per liberarmi di te..." Così riflette Rosa, la protagonista del primo racconto, in una notte d'agosto, confusa davanti alla più difficile decisione della sua vita. E anche le altre due storie che compongono questo trittico sembrano girare intorno agli stessi quesiti. Siamo dannati o possiamo salvarci? Da chi dipende la nostra redenzione? Possiamo farcela da soli o abbiamo bisogno di Qualcuno che ci indichi la strada? Un libro sulla responsabilità e sulla difficile presa di coscienza che ognuno di noi deve raggiungere per scoprire il significato più profondo della vita. Con una nuova introduzione dell'autrice.
Gli esordi dei detective di casa Sellerio: il primo caso sulla strada di Petra Delicado e il suo incontro con Garzón, Massimo e i vecchietti del BarLume tra pettegolezzi e briscole in cinque, il tormentato vicequestore Rocco Schiavone e la sua prima indagine sulla neve.
Nei racconti di Massimo Barone l'individuo si ritrae dagli altri e da sé, preso dall'intrattabile misantropia che affiora all'improvviso. Nello svenimento del ragazzino nell'isola d'Elba si celebra una ritirata dal mondo che poi si ripeterà, diversamente declinata, in tutti i protagonisti di queste storie: dal "bell'Alfio che lasciava tutto" fino al borghesissimo Odissea che torna a Itaca e contempla malinconicamente il figlio Telemaco che tesse la tela... Da questa ritirata si origina un punto di vista straniato e poetico sulla realtà. Ma il talento affabulatorio di Barone si esprime soprattutto in una ritrattistica apparentemente minore, in una selva di personaggi disegnati con felicità impressionistica e precisione da entomologo. Tanti frammenti implosi di una comédie humaine difficile a ricomporsi nel caos contemporaneo, scandita da una nascosta pietas verso individui irregolari e generosi, "uomini poco allineati" direbbe Ivano Fossati. E alla fine scopriremo che forse è proprio la letteratura quella preziosa "endorfina" che ci aiuta a tenere a bada, prima ancora di qualsiasi svenimento, ciò che Massimo Barone chiama "l'amor panico e il panico senso della morte che ti sfiorano in tutte l'età".
Ma perché mai, dopo tanti anni passati in continente, Carmine Pullana era tornato al paese? Per scoprire, innanzitutto, che cosa era successo la notte in cui negli stagni davanti a Baraule era stato trovato il corpo straziato di Sidora Molas e nella rete di Martine Ragas, noto Polifemo, era rimasta impigliata "quella cosa informe che sembrava un coniglio scuoiato, una spugna rossa inzuppata di sangue", e invece era un neonato...
Enrico Metz ha deciso di tornare a vivere nella casa di famiglia, di ridurre il lavoro a poche consulenze (è stato fino ad allora il legale di operazioni di portata planetaria, è stato al fianco di tutti gli uomini che contano) e di rimodellare la propria esistenza borghese intorno ad alcuni amici ritrovati, alla famiglia, alla memoria ritrovata. Coinvolto in uno dei più rovinosi crack finanziari del paese, quello dell'ingegner Marani, Metz è stato sotto la luce dei riflettori, ma, grazie alla lungimiranza dell'uomo di cui è stato fedele braccio destro, ha salvato la propria posizione. Ora l'ingegner Marani lo chiama per accertarsi che la "nuova vita" sia cominciata, in realtà per accomiatarsi. Il giorno seguente arriva la notizia della sua morte. Intanto Metz, esperto di legislazione internazionale, è riuscito a ottenere un manipolo di clienti locali, forti, interessanti. Ma il suo ritorno in città non è passato inosservato presso gli altri studi che ne temono la concorrenza. I suoi nuovi nemici, sconcertati e sospettosi, scatenano una campagna denigratoria che lo induce a ritrarsi più drasticamente. Il rumore del mondo svanisce e Metz comincia un lento abbandono di sé a se stesso, una progressiva cancellazione di atti ed emozioni, che non ha nulla di remissivo ma semmai è l'estremo omaggio alla vita, alla bellezza, a quel che poteva essere e non è stato.
Enrico Metz ha deciso di tornare a vivere nella casa di famiglia, di ridurre il lavoro a poche consulenze (è stato fino ad allora il legale di operazioni di portata planetaria, è stato al fianco di tutti gli uomini che contano) e di rimodellare la propria esistenza borghese intorno ad alcuni amici ritrovati, alla famiglia, alla memoria ritrovata. Coinvolto in uno dei più rovinosi crack finanziari del paese, quello dell'ingegner Marani, Metz è stato sotto la luce dei riflettori, ma, grazie alla lungimiranza dell'uomo di cui è stato fedele braccio destro, ha salvato la propria posizione. Ora l'ingegner Marani lo chiama per accertarsi che la "nuova vita" sia cominciata, in realtà per accomiatarsi. Il giorno seguente arriva la notizia della sua morte. Intanto Metz, esperto di legislazione internazionale, è riuscito a ottenere un manipolo di clienti locali, forti, interessanti. Ma il suo ritorno in città non è passato inosservato presso gli altri studi che ne temono la concorrenza. I suoi nuovi nemici, sconcertati e sospettosi, scatenano una campagna denigratoria che lo induce a ritrarsi più drasticamente. Il rumore del mondo svanisce e Metz comincia un lento abbandono di sé a se stesso, una progressiva cancellazione di atti ed emozioni, che non ha nulla di remissivo ma semmai è l'estremo omaggio alla vita, alla bellezza, a quel che poteva essere e non è stato.