
Il giovane Marco Celio Rufo è quasi l'incarnazione degli slanci dorati della giovinezza. Assistente di Cicerone, che lo vorrebbe educare alla professione di avvocato, nella Roma violenta e corrotta del tempo, Celio decide a un tratto di dare sfogo alla sua insoddisfazione e si mette in proprio. Frequenta Catullo e le avanguardie poetiche, amoreggia con Clodia, la Lesbia che Catullo cantò, e simpatizza per Catilina, il solitario alfiere della lotta contro le prepotenze e le ingiustizie sociali. Divenuto partigiano di Cesare, si allontana da lui quando comprende che la sua politica è avviata verso la moderazione e si pone a capo di un piccolo esercito di scontenti. Nel suo accampamento rivede le stagioni la sua vita.
Giro d'Italia con delitto dovrebbe essere "delitti", al plurale, ma si può considerare tutto il crimine assortito come un delitto unico commesso profanando la sacralità della corsa, è un giallo classico di ingredienti e moderno di salse, rigoroso e particolare, con soluzione completa e inattesa non all'ultima pagina e neppure all'ultima riga, ma all'ultima parola. Poi c'è un epilogo brevissimo che rimanda ad un Tour de France con delitto. Protagonista è la corsa rosa, che fa cent'anni in questo 2009. Le comparse sono tantissime, dal pubblico ai corridori ai cosiddetti suiveurs (giornalisti, amici, parenti, meccanici, tecnici, organizzatori, poliziotti...). I delitti sono truci ma non trucidi. Si sentono più applausi ai ciclisti che grida di terrore, ma il racconto toglie il fiato e toglie la voglia di fare tappa per sostare nella lettura.
GLI AUTORI
Gian Paolo Ormezzano (Torino, 1935) tre figli e sei nipoti, diplomato al liceo classico Cavour. A Tuttosport dal 1953 al 1979: giovane di studio, redattore semplicissimo, caposervizio del ciclismo, direttore. Da fine 1979 inviato speciale a La Stampa e poi, dal 1991 della pensione, collaboratore fisso dello stesso giornale, con breve ritorno a Tuttosport nel 1997-98. Primatista mondiale di Giochi olimpici, cominciando dal 1960 a Squaw Valley: 23 edizioni dopo Torino 2006, record di tremenda pesantezza anagrafica e non solo. Servizi o – più fine – reportages da 28 Giri d’Italia, 12 Tour de France, tanti e forse troppi campionati mondiali ed europei di calcio, atletica, basket, nuoto… Per i Giochi invernali di Torino 2006 ha scritto Di neve e di ghiaccio, fiabe olimpiche vere raccolte in un volume edito in italiano e inglese.
L'inchiesta più dura del commissario Montalbano comincia con un cadavere pescato per caso in alto mare. L'incrocia Montalbano mentre nuota al limite dello stordimento per lavarsi di dosso una notte di cattivi pensieri e malumori. I fatti politici, certi eventi di repressione poliziesca, l'atteggiamento verso gli immigrati: tutto cospira a farlo sentire un isolato, e il cadavere anonimo, destinato a restare senza giustizia, archiviato da banale caso di clandestino immigrato, sembra armonizzarsi macabramente con il suo senso di solitudine. Per il commissario è una sfida, che lo scuote dal proposito di dimettersi, e lo spinge in una inchiesta doppia, su delitti apparentemente indipendenti e accomunati solo dalla ferocia.
Due uomini e due donne, professionisti di successo e amici da sempre, partono da Milano insieme a un agente immobiliare per visitare alcune case di campagna che intendono acquistare e ristrutturare in Italia centrale. Quasi arrivati a destinazione, si perdono lungo strade sterrate tra colline coperte di boschi e la macchina su cui viaggiano cade in un fosso. I telefoni cellulari non hanno copertura, sta calando la notte e comincia a piovere. Adottando un punto di vista fluttuante che, di volta in volta, si sposta impercettibilmente da uno all'altro dei cinque personaggi, De Carlo costruisce un romanzo a più voci in cui racconta delle nostre aspirazioni e contraddizioni, dei rapporti d'amicizia e d'amore, delle paure, delle manie, dei sogni nascosti.
Il commissario Montalbano è impegnato in una nuova indagine tra l'immaginaria Vigàta e il promontorio di Tindari. Un triplice omicidio è avvenuto: un giovane dongiovanni che viveva al di sopra dei suoi mezzi apparenti, due anziani pensionati seppelliti in casa che improvvisamente decidono una gita a Tindari. Li collega, sembra, solo un condominio. Ma Montalbano ha una maledizione, sa leggere i segni che provengono dall'"antichissimo" che vive nel "modernissimo" continente Sicilia: lo aiutano un vecchio ulivo contorto, la sua squadra, la svedese Ingrid, un libro di Conrad e un Innominato senza pentimento.
Ci sono migliaia di case famiglia sparse sul nostro territorio, migliaia di case che ospitano persone senza una famiglia. Sembra un triste gioco di parole e invece si tratta di una storia vera. Per me doveva essere una semplice trasferta, uno spettacolo di due ore in teatro per poi tornare a casa. Ma la vita ha i suoi semafori, dove spesso devi fermarti, proprio com'è successo a me. Ancora prima di entrare in teatro, mi sono dovuto affacciare nella vita di cinque ragazzi, ospiti di una di queste case: Amir, Rashid, Khaled, Ahmed e il Piccolo Prìncipe. Non so se sono stato io a entrare nelle loro vite o loro stessi che mi hanno fatto entrare, ma una cosa la so: avevano bisogno di me, di un "artista socialmente utile" che gli tracciasse una nuova via da percorrere una volta fuori da quella "casa non famiglia".
Febbraio 1903. Aaron e Samuele, cugini e amici, vagabondano in calesse per la Lucchesia. Il loro idolo si chiama Giacomo Puccini; Samuele è un impresario musicalteatrale; Aaron un fresco ingegnere. Ed è proprio in Puccini, sotto l'Isotta Fraschini che gli si è ribaltata addosso durante un'allegra fuga con l'amante di turno, che s'imbattono; sono loro a dare l'allarme. Cose che potevano succedere nell'Italia di allora. Aaron si sposerà con Rebecca (matrimonio combinato); tra discussioni su Verdi, Wagner e Puccini due modi di essere ebrei - i borghesi di Torino, irrimediabilmente marroni; gli agiati provinciali marchigiani - s'incrociano. Zia Ester e il soprano Drusilla, la casa delle Torrette col suo giardino, la piccola Giovanna e la sua mamma putativa Sara, l'artistico Elia, Miriam che amava i libri, l'affettuosa Kate e il suo Cielo; una guerra e poi l'altra, e in mezzo le leggi razziali, nuove famiglie, nuovi bambini, il fronte, la fuga, le perdite. Reinventarsi una vita, ritrovarsi; e poi il mondo nuovo, il mito degli Stati Uniti e quello di Israele, la ricostruzione, il boom, gli anni del terrorismo. Un secolo narrato da tanti diversi punti di vista, da tante voci che non fanno mai un coro, attraverso la storia di due famiglie ebree.
Un giudice muore per mano di balordi. E i balordi muoiono per mano della 'ndrangheta, che non tollera si disturbi il prosperare dei suoi affari. Almeno, cosí sembra. Alberto Lenzi, magistrato scioperato e donnaiolo, colpito dalla morte del collega e amico, si tuffa a capofitto nelle indagini. Lo instradano in una diversa direzione le sibilline, gustose parabole di don Mico Rota, capobastone della 'ndrangheta, e il fortuito emergere di elementi legati a un traffico di rifiuti tossici.
Una «commedia umana» dove si muovono personaggi verissimi, contraddittori, sfaccettati, che inseguendo il proprio meschino tornaconto arrivano tuttavia a svelare una realtà che va molto oltre la 'ndrangheta.
«Il limone si staccò e finí in terra a fare compagnia a tanti altri ormai infraciditi. Don Mico ne avvertí il tonfo lieve, l'andò a raccogliere, lo strofinò a lungo sotto un filo d'acqua della fontanina, estrasse il coltello da pota e prese a sezionarlo in strisce sottili che si portava alla bocca. Smorfie mentre ne masticava. Sapeva però di libertà, quel sapore acre, l'acquolina di cui gli si ammaricava la bocca».
Il giudice Efisio Surra è catapultato da Torino a Montelusa, e con il suo candore e la sua tenacia vince la prima battaglia dell'Italia unita contro la Fratellanza, non ancora "Maffia". Un giudice ragazzina si trova di colpo ridotta in clandestinità, nel bel mezzo di una guerra senza esclusione di colpi, alla fine degli anni Settanta. Un procuratore duella da una vita con il molto spregiudicato sindaco di Novere, e da una vita perde: fino a quando non capisce che il duello non era ad armi pari. Tre grandi scrittori di oggi mettono al centro della loro osservazione la figura, carica di conflitti e tensioni, di chi ha scelto nella vita di amministrare la giustizia, per conto di tutti noi. E si collegano a una tradizione che va da Manzoni a Sciascia, da Dostoevskij a Kafka.
Mario Brelich è stato uno scrittore del tutto anomalo nel paesaggio letterario italiano: e non solo perché l'intera sua opera narrativa è dedicata a figure ed episodi delle Sacre Scritture, ma anche (o forse soprattutto) perché ognuno dei "capitoli" di quest'opera ci appare come un oggetto tanto più malioso quanto più difficile da etichettare. Questa volta Brelich si misura con Giuditta -l'unica fra tutte le eroine dell'antichità ad "affidare la salvezza della sua città, del suo popolo e dell'avvenire del suo Dio esclusivamente alla propria bellezza" - e mentre ne ripercorre la vicenda con la consueta, affabile scioltezza, la indaga con gli strumenti più vari (non ultimo la psicoanalisi); e poiché ha la scienza del teologo e la grazia del narratore, riesce a farci penetrare nel mistero di questa seducente eroina-avventuriera, in quel miscuglio di castità austera e irresistibile sex-appeal che non a caso ha ispirato alcuni fra i più grandi dei "maestri antichi".
L'antefatto di questa storia l'hanno scritto e raccontato in tanti - un meteorite si schianta sulla Terra, il genere umano si estingue - ma in pochi hanno descritto ciò che avviene dopo. Il dopo, secondo Paolo Villaggio, assomiglia molto a un tribunale. Ci sono i giudici - Dio, Gesù, Buddha, Maometto, le divinità indiane e diversi intrusi -, c'è un segretario - la Colomba - e ci sono i "chiamati in giudizio" - l'umanità intera. All'inizio, certo, c'è confusione, parecchia confusione. Ogni divinità vuole prevalere, avere la prima - o l'ultima - parola, stabilire la supremazia in base alla conta dei fedeli. Ben presto, però, il Giudizio comincia, non c'è tempo da perdere. In rigoroso ordine alfabetico, uomini e donne vengono invitati a esporre la bontà o meno del loro operato terreno. Come un cronista appassionato e curioso, Paolo Villaggio assiste alla "chiamata" e alle "testimonianze", concentrandosi sui personaggi più noti della Storia. Da Maria Antonietta a Hitler, da Leonardo da Vinci a Cristoforo Colombo, da papa Wojtyla a Zinédine Zidane. Paolo Villaggio compone alla sua maniera un rocambolesco ritratto di famiglia dell'Umanità. E sullo sfondo, tra i Grandi, un piccolo ragioniere spintona per farsi largo, perché anche lui ha qualcosa da dire.