Il volume in lingua latina, comprende inni, antifone e versetti del Proprium de Tempore e dell’Ufficio feriale per hebdomadam (dalle Lodi Mattutine a Compieta) secondo lo schema B (o ‘di Füglister’), le antifone ai cantici evangelici di tutte le domeniche dell’Anno Liturgico secondo i tre cicli A, B e C, insieme ad una sezione testuale comprendente il salterio latino festivo e domenicale (testi dei salmi secondo la Nova Vulgata). Completa l’edizione un piccolo fascicolo esterno comprendente il salterio festivo in italiano (trad. CEI 1974).
In questa «particolare» agenda sono raccolti, per ogni giorno dell'anno, testi dei Padri del deserto, scritti tra il 300 e il 500, rileggendoli alla luce dell'oggi. I Padri del deserto, infatti, analizzavano con molta cura i propri pensieri e poiché le dinamiche fondamentali del cuore umano continuano a essere le stesse di quelle dei monaci del lontano passato, troviamo che in essi è racchiusa una ricca esperienza, come ci confermano molti psicologi e oggi. Per ogni giorno dell'anno vi è un detto o fatto di un Padre del deserto e quindi la riflessione per l'oggi di Anselm Grün
L'Ufficio Divino recitato quotidianamente dai monaci benedettini è costituito dalle ore del giorno: Lodi, Prima, Terza, Sesta, Nona, Vespri E Compieta. In questo volume è raccolto l'ordinario secondo il breviario monastico del 1963, coerente con le disposizioni del "Summorum Pontificum" di Papa Benedetto XVI. L'edizione presenta in parallelo il testo latino e il testo italiano e comprende anche le antifone finali proprie per ogni tempo liturgico.
Nel volume, l'autore ha saputo portare alla luce il tesoro di una tradizionale e vitale pratica nella vita religiosa. Oggi, pur nella fatica di viverla in profondità, rimane quale cifra dello spessore nella sequela del Signore, personale e comunitaria. Dopo un'analisi della storia della spiritualità che ha prodotto la pratica dell'orazione mentale, l'autore approfondisce la tematica ancorandola ai capisaldi della tradizione cappuccina, identificandola come metodo e necessità imprescindibile per una costante unione con Dio.
Il difficile rapporto con il cibo, la possibilità di apprezzarlo senza diventarne schiavi, e il digiuno come via di ascesi.
Evdokimov, facendo riferimento alle grandi figure laicali nella Chiesa come Nicola Cabasilas (XIV secolo), sviluppa il concetto del sacerdozio dei laici secondo la tradizione Orientale: "Come non esiste la separazione alcuna in Chiesa docente e discente, ma è la Chiesa totale che ammaestra la Chiesa, così pure è in tutto il suo insegnamento che l'evangelo si rivolge a tutti e a ciascuno... Il laicato costituisce dunque esattamente lo stato del monachesimo interiorizzato. La sua sapienza consiste essenzialmente nell'assumere, pur vivendo nel mondo e forse soprattutto a causa di questa vocazione, il massimalismo escatologico dei monaci, la loro attesa gioiosa e impaziente della Parusia". Il laico è chiamato ad una incessante testimonianza evangelizzatrice ed esprime nella sua persona il mistero della Chiesa nella sua relazione al mondo. L'esperienza monastico-mistica, infatti, non deve essere fine a se stessa ma deve essere testimoniata al mondo. Anzi, il ruolo del laico è più che di un testimone; è simile a quello del Precursore - come Giovanni Battista che "non è ... un testimone del regno, ma è già il luogo in cui il mondo è vinto e in cui il regno è presente. Non è soltanto una voce che l'annunzia, è la sua voce", così pure il laico è colui che con tutta la sua vita, con ciò che è già presente in lui, annuncia Colui che viene. Il volume riporta il testo di una conferenza che l'autore tenne nel 1963, in occasione del primo millennio dalla fondazione del Monte Athos.
I contributi contenuti nel volume fanno emergere gli accenti di un monachesimo che insiste sul'ascesa sulla croce. I tratti di questo monachesimo, già insinuati dai legami con il monachesimo egiziano, sono qui precisati dal confronto col monachesimo palestinese contemporaneo.
Efrem il Siro, definito «l’arpa dello Spirito Santo», è un Padre della Chiesa e poeta di lingua siriaca che non esita ad usare tutta la sua potenza creativa per raccontare Cristo, la Sua vita e i Suoi misteri. Lo fa anche quando celebra la misericordia del Signore e l’annuncia nelle sue omelie, meditandola nei commentari. Questo piccolo libro propone la traduzione italiana dell’Omelia sulla peccatrice e di altri testi nei quali Efrem cerca di catturare tutti i riflessi della bontà che il Signore ha mostrato verso questa donna e ce li restituisce attraverso immagini variopinte e originali. Queste pagine sono popolate dai più svariati simboli di Cristo: il Pescatore che va a catturare i peccatori tra gli ubriaconi e le prostitute; il Farmacista che prepara nel mortaio la Medicina della Vita; il “Ladro” a cui piace rubare i peccati.
Alcuni passaggi, infine, sembrano una vera e propria sceneggiatura per un cortometraggio. C’è speranza che vinca un premio di un festival cinematografico? Provate a leggere e a dare la vostra opinione. Attenzione, però, mentre leggete: Qualcuno potrebbe rubarvi proprio i peccati…
Il testo si rivolge ai cultori dei Padri della Chiesa, a chi è interessato alla spiritualità e a chi cerca nutrimento per il cammino personale della quaresima.
Il pellegrinaggio, soprattutto il cammino lento, fatto a piedi, è occasione per assaporare la bellezza della natura, la tranquillità del tempo che passa senza la fretta di arrivare, mentre il silenzio che avvolge il pellegrino è capace di imprimere nell'animo la pace e aprire al contatto con Dio. Oggi andare a piedi da un luogo verso un altro, come facevano gli antichi cristiani, è un esercizio prima di tutto dello spirito. «L'immagine del cammino comporta quella fatica, del tempo da trascorrere nel deserto, delle insidie e degli ostacoli da superare. Eppure il cammino, secondo l'esperienza dei pellegrini, non consuma le forze, non spegne il desiderio, non induce allo sconforto, non fa spazio alla tentazione di "tornare indietro" o di abbandonare la carovana, finché resta viva la promessa di Dio e l'attrattiva della città santa. Il popolo in cammino condivide l'esperienza: cresce lungo il cammino il suo vigore.» (Mario Delpini, Arcivescovo)
"In Christi amore prò inimicis orare. Pregare per i nemici nell'amore di Cristo." (KB 4,72). È questo il consiglio della Regola di San Benedetto che meglio sintetizza il centro e l'ampiezza della mistica, del cuore mistico della nostra vocazione cristiana e monastica. Mistica non vuol dire essere fuori dalla realtà, ma vivere con la coscienza della realtà totale, quindi mettere al centro della nostra vita e del nostro cuore il rapporto con Dio. Non essere coscienti della natura profonda del nostro cuore ci rende meno vivi, non solo nel vivere le esperienze drammatiche ed estreme, ma la vita quotidiana, la vita che ci è data da vivere ogni giorno con pienezza. È urgente che ci aiutiamo a capire come vivere consapevolmente l'esperienza centrale del cristianesimo, perché essa è appunto l'esperienza centrale della nostra natura umana, è il cuore della nostra umanità, è la scoperta del nostro cuore. Perché è solo da lì che può sempre rinnovarsi e fiorire una vita, una vocazione, una comunità, un Ordine, la Chiesa tutta.
C'è un interrogativo che sale dal cuore della terra e che nel Figlio di Dio è divenuto un lacerante grido al Cielo: «Perché?». Fin dalla notte dei tempi l'umanità si è scontrata con la dura roccia del dolore, talora urtando violentemente contro di essa, altre volte fuggendola con orrore oppure cercando di scalarla per dominarla. Ma il gemito del morire di Gesù - che riassume quello di ogni figlio dell'uomo - si è fatto, al mattino di Pasqua, grido di gioia, nel cuore della Madre Chiesa, per la nascita dell'uomo nuovo. Le pagine del seguente volume, nate in un contesto di lectio divina, fanno risuonare dapprima il lamento di Giobbe, che si innalza fino alla bestemmia disperata e impotente, e poi quello di Gesù, il «Santo che soffre» (G. Ungaretti), nel quale si rivela l'amore di Dio, che non vuole la morte dell'uomo, ma che egli viva e assuma la sua esistenza come una vocazione e un compito da realizzare in alleanza con Lui. «È noto l'interrogativo degli antichi: «Se c'è un Dio giusto, perché il male? E se c'è il male, può esserci un Dio giusto?». Chi, come Giobbe, pone domande a Dio, e lo fa con coraggio, non troverà risposte razionalmente esaurienti al perché della sofferenza, ma troverà Dio stesso in persona, nella cui luce si svela il senso profondo del vivere e del morire» (Sandro Carotta).
Con vivacità e semplicità l'autore suona una musica che collega terra e cielo, passato e presente, dando voce alla sapienza dei padri del deserto e di altri monaci come a compagni di coro. Eseguendo lo stesso spartito, ovvero il vangelo vissuto nel deserto, essi intrecciano le loro voci per comporre una sinfonia spirituale sul tema dell'umiltà. Accompagnata da questa "sinfonia dell'umiltà", la vita spirituale può così riscoprire la voce di questa virtù, dai padri del deserto ritenuta fonte di ricchezze spirituali inesauribili.