Il libro indaga il contributo dell'enciclica Fratelli tutti a partire dalla domanda su come possa nascere e crescere un'economia in grado di generare fratelli. Il titolo annuncia il punto di partenza: la parabola del buon samaritano, icona biblica della FT, che pone davanti ai nostri occhi l'umanità scartata dall'attuale economia e la responsabilità di costruirne una radicalmente nuova. Lo sguardo spazia dall'enciclica agli studi sul superamento delle disuguaglianze; un superamento che implica una nuova antropologia e una politica - anche e soprattutto a livello globale - capace di indirizzare l'umanità verso la vera felicità. Le proposte concrete vertono sul lavoro e sugli imprenditori, sulle nuove regole e sul ruolo dello Stato, sull'imprescindibile attenzione alla casa comune e sul ripensamento del debito pubblico. Una nuova economia è possibile: occorre mantenere alto il livello della riflessione e partire. Con coraggio, senza esitare.
Il XXI secolo è il secolo della solitudine. Noreena Hertz lo sperimenta in prima persona: a un colloquio di lavoro viene valutata da un algoritmo; un pomeriggio fa shopping con un'«amica del cuore» affittata tramite un servizio online; di sera si trova a sfiorare la pelle artificiale di un robot progettato per essere il suo animale da compagnia. La solitudine che Noreena Hertz racconta non si limita alla frustrazione del desiderio di avere qualcuno vicino; è un male sottile che si è insinuato dentro di noi e ha permeato ogni aspetto della nostra società. È la solitudine strutturale creata dal sistema capitalistico, che ci spinge a pensare solo a noi stessi e a vedere gli altri come concorrenti o nemici. È l'isolamento provato dalle persone che si sentono trascurate e tradite dai propri rappresentanti e dalle istituzioni, al punto di lasciarsi sedurre dal richiamo del populismo e degli estremismi politici. È l'anziana signora giapponese che fa in modo di farsi arrestare per un reato minore, per poter trovare in carcere una forma di comunità. È il mondo parallelo e incontrollato dei social network, dove l'io si occulta dietro una maschera. È l'emarginazione sul posto di lavoro, dove il lavoratore si percepisce come un ingranaggio insignificante. È la solitudine speciale delle metropoli, dove possiamo ordinare centinaia di menu in consegna a domicilio ma non sappiamo il nome del nostro vicino di casa. "Il secolo della solitudine" è il racconto dolente della condizione in cui ciascuno di noi è venuto a trovarsi e insieme una chiamata alle armi contro le distanze siderali che si infiltrano nelle nostre vite, infettando come un virus tanto la salute dei nostri corpi e delle nostre menti quanto le strutture stesse della società. È una sfida a trasformare questa economia disumanizzante in un sistema più sostenibile attraverso interventi mirati dall'alto e dal basso, come maggiori investimenti nel welfare, ricostruzione delle comunità locali, banche del tempo e condomini solidali. È un invito a riscoprire e cementare i valori della collaborazione e dell'altruismo: la celebrazione del singolo non come atomo isolato ma come parte integrante di una comunità.
Secondo l'ideologia liberista il mercato lasciato a se stesso crea le migliori opportunità e il maggior benessere per tutti. È un'illusione di cui questo libro critica le premesse economiche ed esplora le conseguenze etiche, sociali e politiche. Il progetto liberista ha cercato e tuttora cerca di realizzare non solo un'economia di mercato, ma una società che, in definitiva, si risolve nel mercato. Dove i rapporti sociali sono irrilevanti se non mediati dal mercato e anche le istituzioni politiche vengono guardate e valutate solo in base agli interessi economici di individui egoisti, mentre il denaro può comprare tutto e le disuguaglianze di reddito, di ricchezza e di opportunità possono crescere a dismisura in nome del merito, degli incentivi, dell'efficienza. Di questi fili è intessuta l'ideologia di mercato.
«Sono stufa del fatto che l'opinione pubblica e i politici considerino noi cervelli in fuga o privilegiati traditori o disgraziati vittime delle circostanze. Vorrei che questo libro facesse breccia nell'immaginario comune contribuendo a costruire una nuova narrazione.» La storia della generazione perduta di talenti è davvero come la raccontano? L'Italia è colpita dal fenomeno quanto gli altri grandi paesi europei ma con alcune evidenze preoccupanti che rendono la situazione più drammatica, come l'accelerazione dell'emigrazione qualificata negli ultimi dieci anni e la scarsità di laureati prodotti dal nostro sistema educativo. Gli effetti negativi della fuga di cervelli sono particolarmente evidenti quando, come nel caso dell'Italia, tende a essere una fuga unidirezionale. Il libro si propone di sfatare alcuni miti, indagare il fenomeno da una prospettiva internazionale più ampia e dare voce a chi è partito, grazie alle testimonianze raccolte dall'autrice. Un paese o un governo che si voglia occupare di talenti deve pensare a come svilupparli e dar loro opportunità affinché restino, ma anche a come attirarli da altrove. Prefazione di Federico Rampini.
Due medici che danno due diagnosi diverse allo stesso paziente sulla base degli stessi esami. O due giudici che assegnano pene diverse a colpevoli dello stesso reato. O, addirittura, lo stesso manager che prende una decisione diversa a seconda del momento della giornata. Non dovrebbe accadere, invece l'esperienza insegna che sono decine gli ambiti in cui le decisioni dovrebbero essere dettate da criteri oggettivi, ma in cui alla fine la realtà è ben diversa dalla teoria. E la colpa è del rumore. Daniel Kahneman, premio Nobel per l'economia e autore del bestseller mondiale "Pensieri lenti, pensieri veloci", ha studiato per anni con Olivier Sibony e Cass R. Sunstein questo difetto del funzionamento mentale e in questo libro dimostra come ovunque si eserciti il giudizio umano - nella sanità pubblica come nelle aule di giustizia, nei processi aziendali come nelle decisioni quotidiane di tutti noi - lì si trovi il rumore, a sviare il ragionamento e causare errori. Una ricerca accurata, un libro ricco di idee che svela un fenomeno onnipresente ma finora largamente ignorato e consente ai suoi lettori di riconoscere e controllare l'influenza che il rumore esercita su tutte le loro decisioni, previsioni e valutazioni.
La crisi è sotto gli occhi di tutti: è sociale ed ecologica, si esplica nelle disuguaglianze planetarie e nell'insostenibilità di un modello economico predatorio dell'ambiente. Che cosa ha causato questo? Nel serrato dialogo fra Gaël Giraud e Felwine Sarr, due intellettuali capaci di spaziare con sagacia dall'attualità alla filosofia, dalla teologia all'economia, la risposta emerge limpidamente: tutto deriva da «quell'utopia mortifera di privatizzazione integrale del mondo e di riduzione di ogni risorsa a un capitale», ovvero l'ideologia postliberale che ha conquistato la nostra immaginazione e colonizzato la prassi politica. La ragione strumentale, denunciano i due autori, ha occupato completamente la scienza economica, riducendola ad un'asfittica pratica contabile di stampo razionalistico, che non tiene in conto altre variabili: culture, popoli, pensieri, desideri... Appoggiandosi a pensatori come Jacques Derrida, Paul Ricoeur e Christoph Theobald, attingendo alla saggezza delle grandi spiritualità religiose, in queste pagine colte e appassionanti Giraud e Sarr disegnano un'altra mappa dell'economia. Una mappa più disordinata di quella che si studia nelle facoltà universitarie, spesso schiava di un sapere di tipo strumentale típico dell'homo homini lupus, ma molto più necessaria per la realtà in cui viviamo. Segnata da una pandemia da cui possiamo ripartire solo con un nuovo immaginario.
Nel volume si affronta innanzitutto il rapporto economia/ambiente, quindi la microeconomia dell'ambiente e la macroeconomia, per concludere con il passaggio dall'economia dell'ambiente all'economia ecologica, di cui ne definisce i caratteri.
Il futuro del lavoro è il futuro della nostra società e della nostra civiltà. Non bastano politiche economiche efficaci, per superare la più grande crisi sociale del dopoguerra e affrontare le tre grandi trasformazioni del nostro tempo: digitale, climatico-ambientale e demografica. Serve, come premessa, un nuovo pensiero dal quale nascano politiche e iniziative capaci di distruggere le vecchie retoriche ideologiche sul lavoro, sul mercato, sulla globalizzazione. In particolare, la tecnologia, pur con i suoi interrogativi etici, può essere un formidabile alleato nell'umanizzazione del lavoro. La sfida è aperta e proprio un lavoro a umanità aumentata dipende da ciò che sapremo mettere in campo. Bisogna reimparare a dire "lavoro", con nuove parole, se vogliamo crearne di nuovo e ritrovare un rapporto di reciprocità con esso. Oggi il lavoro soffre perché mancano nuove narrative, che propongano un comune denominatore per tutte le attività umane ad esso connesse.
L'analisi sulla povertà è condotta da un punto di vista psicologico, sociologico e teologico ed è frutto delle tre competenze "scientifiche" dell'autore, Domenico Cravero, oltre che della sua esperienza "sul campo" come sacerdote. Il volume, infatti, prende spunto dall'impegno di don Cravero a favore di persone in condizione di povertà assoluta: dimessi dal carcere, senza fissa dimora accolti in dormitori pubblici, pazienti senza legami familiari al termine di percorsi di cura e riabilitazione. Ne scaturisce una profonda e toccante riflessione a 360 gradi sulla povertà. Da quella subita, che è nemica dell'umano - e deve essere contrastata e affrontata - fino a quella voluta, che può portare alla beatitudine.
Il consolidamento del potere del mercato specie nella finanza e nell'industria tecnologica ha portato a un'esplosione della disuguaglianza. La situazione è drammatica: poche corporations dominano interi settori dell'economia, facendo impennare la disuguaglianza e rallentando la crescita. La finanza ha scritto da sola le proprie regole; le compagnie high-tech hanno accumulato dati personali senza controllo e il governo americano ha negoziato accordi commerciali che non rappresentano gli interessi dei lavoratori. Troppe persone si sono arricchite sfruttando gli altri invece che creando ricchezza. Le vere fonti della ricchezza e della crescita, per Stiglitz, sono gli standard di vita, basati su apprendimento, progresso della scienza e tecnologia e le regole del diritto. Gli attacchi al sistema giudiziario, universitario e delle comunicazioni danneggiano le medesime istituzioni che da sempre fondano il potere economico e la democrazia. Tuttavia, per quanto ci si possa sentire indifesi oggi, non siamo, tutti noi, senza potere. In effetti, le soluzioni economiche sono spesso chiare. Dobbiamo sfruttare i benefici del mercato ma nello stesso tempo domare i suoi eccessi, assicurandoci che lavorino per noi cittadini - e non contro di noi. Se un numero sufficiente di persone sosterrà l'agenda per il cambiamento delineata in questo libro, può non essere troppo tardi per creare un capitalismo progressista che realizzi una prosperità condivisa.
"Siena, 6 marzo 2013: il manager della Banca Monte dei Paschi David Rossi muore. Si è suicidato gettandosi dalla finestra del suo ufficio al terzo piano di Rocca Salimbeni? O è stato ucciso, come la famiglia e alcuni giornalisti affermano? La Magistratura, con tre giudici terzi, è stata chiarissima: si tratta di suicidio. La tesi dell'omicidio, invece, sembra creata ad arte per il copione di un giallo che non ha riscontri reali, studiato per solleticare la curiosità di un pubblico che fa audience ed è attratto in modo irresistibile dalla cronaca nera. L'autore, pagina dopo pagina, documenta senza ombra di dubbio che si tratta di un suicidio, anzi di un suicidio ampiamente preannunciato dalla vittima. L'ipotesi dell'omicidio si scioglie così, come neve al sole, si sgretola come argilla sotto l'effetto dirompente della documentazione inedita, che l'autore per la prima volta fa conoscere al grande pubblico. Dopo la lettura di questo libro - ne siamo certi - rimarrà al lettore solo la convinzione che David Rossi, nel momento più terribile della sua esistenza, ha deciso di togliersi la vita; e un grande senso di compassione per un uomo schiacciato dal peso insostenibile di una vicenda, quella del Monte dei Paschi, che ha cambiato per sempre Siena e il suo popolo."
Il virus, per il momento, ha ridotto drasticamente i nostri orizzonti. Ogni giorno i nostri movimenti sono limitati. Lavoriamo da casa, dobbiamo mantenere la distanza dagli altri, siamo separati da amici e famigliari. Per la prima volta facciamo esperienza della solitudine. È difficile guardare al futuro in un momento nel quale la nostra sicurezza economica, le libertà personali e la nostra salute sono precarie come non lo erano mai state. E c'è un senso crescente di disgregazione globale. Nell'anno in cui la democrazia statunitense è stata in bilico, in tempo reale Zakaria ha costruito una mappa del nostro futuro, perché una cosa è sicura: è già cominciato. Il Covid-19 non ha stravolto il mondo che conosciamo, piuttosto sta accelerando processi che già erano in atto. Le contraddizioni si spalancano, le soluzioni da perseguire diventano più chiare. L'eredità della pandemia sarà dolorosa, turbolenta e tutt'altro che uniforme tra i diversi Paesi. Siamo già entrati in un mondo nuovo, ma è un mondo più difficile da ordinare di quello che conosciamo, soprattutto se vogliamo renderlo più giusto. Abbiamo bisogno di liberarci dei dogmi del neoliberismo sfrenato, che hanno impoverito lo stato sociale e ci hanno fatto trovare impreparati di fronte alla calamità della pandemia. D'altra parte, oggi siamo tutti più connessi. La corsa al 5G, l'economia digitale globale, l'autorità decrescente degli Stati Uniti: queste trasformazioni sono state accelerate dal coronavirus e sono destinate a portare una rivoluzione nella nostra vita in comune e nelle istituzioni, nei nostri valori, nei nostri desideri e nelle nostre priorità personali - probabilmente per sempre. Un'analisi che tiene assieme la politica, l'economia e la tecnologia per costruire una visione di questo futuro, che già oggi è la nostra nuova realtà.