
Viviamo in un momento di rapido cambiamento culturale. Anzi, secondo il giudizio di Wolfgang Brezinka, grande teorico tedesco dell'educazione, la nostra è ormai una società 'disorientata', nella quale i mutamenti scientifici, economici e culturali hanno portato a considerare desueti i valori tradizionali e a sostituirli con una pluralità eterogenea di riferimenti e con una forte tendenza all'individualismo. Questa situazione di libertà dalle tradizioni e di promozione spinta dell'autodeterminazione ha generato una profonda insicurezza della persona, che ha perduto la stabilità e la certezza dei valori fondamentali in ambito culturale, morale, religioso. Sicuramente nessuna tradizione è immutabile e anche sul versante valoriale il cambiamento è una molla importante di progresso. Ma l'orizzonte delle cose che 'contano', che indirizzano la vita di ciascuno e le danno senso deve rimanere un punto fermo, da condividere con la propria comunità e di cui avere cura. L'attuale crisi dei valori di base è una grande sfida per l'educazione. Una sfida che Brezinka raccoglie in questo volume, non solo analizzando in profondità i termini della questione, le sue ricadute sul sistema scolastico e il ruolo, non sempre felice, della scienza dell'educazione, ma non tirandosi indietro di fronte all'esigenza di proporre indicazioni per venire in aiuto alle giovani generazioni, vere vittime della frantumazione dei valori fondativi.
In questo libro uscito postumo, il grande studioso inglese dei media mette a tema, nel modo lucido e accattivante che ormai è la cifra dei suoi scritti, il rapporto tra i media e il futuro della civiltà. Al di là del potere economico o di convincimento da tempo riconosciuto ai mezzi di comunicazione, essi rivestono, secondo Silverstone, anche un ruolo fondamentale nella costruzione dei rapporti tra le persone. Lo sviluppo pervasivo dei media condiziona il nostro contatto con l’altro, portando il mondo nella nostra quotidianità, avvicinando l’esperienza dell’esterno da noi in maniera sempre più forte. Ma la situazione non è così chiara e rettilinea. La ‘vicinanza’ prodotta dai media (e accentuata dal processo di globalizzazione economica e sociale) è in realtà apparente. Il mondo irrompe nel nostro quotidiano – spesso con la diretta drammaticità di eventi come la strage di Beslan o la devastazione a opera dell’uragano Katrina o anche, su un versante più positivo, con la ricchezza dell’offerta polifonica dei nuovi media, internet sopra tutti – ma poi rimane chiuso in questo spazio individuale, diventa spettacolo da guardare, senza che venga messa in gioco una relazione tra i diversi interlocutori.
Il mondo con cui entriamo in contatto è un mondo ‘mediato’; è uno spazio nuovo, non solo reale e non solo immaginario, dove ormai si costruiscono le trame della nostra civiltà; è, nella felice invenzione lessicale di Silverstone, una mediapolis, uno spazio definito di relazioni, di comunicazione politica e sociale. Questo spazio, che è il nostro orizzonte relazionale e che sempre più lo sarà in futuro, assegna anche a noi un ruolo da giocare, e diventa quindi, sul duplice versante dei produttori e dei fruitori dei media, uno spazio di moralità e di responsabilità, di obblighi e di giudizio. Questo è il ‘tavolo’ – per riprendere una suggestiva metafora di Hannah Arendt cara a Silverstone – su cui si giocherà il nostro futuro all’interno della mediapolis, un futuro, un compito, che passa attraverso la riflessione, l’apertura, la pluralità, il ritorno alla giusta distanza e all’ospitalità. Se la mediapolis distruggerà o piuttosto costruirà i rapporti tra le persone è la sfida cui tutti noi, non solo gli studiosi dei fenomeni mediali, siamo chiamati a rispondere.
Roger Silverstone (1945-2006) è stato uno dei pionieri dello studio dei media nel panorama inglese e mondiale. Professore di Media and Communications alla London School of Economics and Political Science, si è distinto per il suo originale punto di vista sulle comunicazioni, occupandosi principalmente del modo in cui i media rappresentano il mondo, influendo sulle persone, sulla loro vita di tutti i giorni, sulla loro immaginazione, sulla loro memoria, sulle relazioni che instaurano con gli altri. Tra i suoi libri, sono stati tradotti in italiano Televisione e vita quotidiana e Perché studiare i media?
Il volume propone una lettura di un classico del pensiero occidentale nella prospettiva di una pedagogia fondamentale adeguata al nostro tempo. L’interesse pedagogico per i temi dell’Etica Nicomachea nasce dal fatto che essi sono affrontati non «per sapere cos’è la virtù, ma per diventare buoni». Il bene così prospettato, legato alle nostre caratteristiche specifiche e oggetto primo del nostro desiderare, è un bene da fare.
Il ‘bene umano’ è un ‘bene pratico’, che l’essere umano può compiere e fare suo. Molte pagine dell’Etica Nicomachea suggeriscono, in modo efficace e prezioso per un’antropologia pedagogica, che un tratto essenziale dell’uomo consiste nel suo porsi come un principio, come potere causale nuovo nell’ambito naturale. Aristotele scorge così un carattere essenziale di quella che noi oggi chiamiamo ‘persona’: il poter essere origine di inattese novità, il poter ampliare con il nostro desiderare e pensare, ma soprattutto con la fatica e la perseveranza del nostro agire, lo spazio dell’esistente, mettendo queste capacità a servizio del bene e degli altri.
Desiderare-e-fare il bene costituisce pertanto un binomio che non può essere sciolto, se si vuole, rimanendo fedeli ad Aristotele, tracciare una proposta di educazione morale per un tempo come quello presente, segnato da tante debolezze del volere e, di conseguenza, da indebolimenti della vita personale. L’Etica Nicomachea appare oggi preziosa, per l’attenzione rivolta sia alla componente soggettiva dell’azione sia a quella oggettiva del bene, cioè al fine che è desiderato per sé e non per altro. Il desiderio è la categoria che accompagna il percorso attraverso le lezioni aristoteliche sulla vita buona, fino alla contemplazione e all’amicizia, facendo emergere il nesso tra vita autenticamente umana, esperienza morale ed educazione.
Giuseppina D’Addelfio, assegnista di ricerca, è docente di Pedagogia generale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Palermo. È autrice, tra l’altro, dei saggi Aristotele e il paradosso dell’errore volontario (2002), Ragionamento pratico e argomentazione metafisica (2006), Scelta, desiderio e legge in Aristotele (2006), L’educazione nella prospettiva di Martha Nussbaum (2007).
Il libro affronta il tema dell'identità europea alla luce dei recenti processi migratori. A partire dalla diffusa domanda di "identità" che segna lo scenario socio-culturale contemporaneo, i diversi contributi del volume mettono a fuoco il problema dell'esistenza e del senso dell'identità europea, analizzando il profilo sociologico, filosofico e giuridico delle nuove dinamiche sociali. Quest'ultime non richiedono solo l'approntamento di politiche migratorie criticamente avvertite, ma impongono un radicale ripensamento delle tradizionali categorie filosofico-giuridiche. In una prospettiva futura si tratterà di comprendere se l'Europa avrà ancora un ruolo decisivo a livello planetario e, in tal caso, quale configurazione essa assumerà senza rinunciare al suo originale patrimonio di civiltà.
Il volume, che si rivolge tanto ai pedagogisti quanto agli educatori, si divide in tre parti. La prima parte presenta una riflessione sul bisogno di riconoscimento, definito primario e costitutivo per la persona. È ad esso che tentano di portare una qualche risposta tutte le imprese umane di cura che chiamiamo educative; costituisce pertanto il tema e il problema proprio di una pedagogia fondamentale. La seconda parte disegna le linee di una fenomenologia dell’esperienza educativa. Il fenomeno originario è descritto come avvenimento della persona, generato però sempre da una relazione interpersonale di reciproco riconoscimento; l’intenzionalità costitutiva di questo evento è denotata con la dizione intenzionalità vicariante. Nella relazione educativa si tratta sempre di una definita proposta di vita buona, che l’educatore consegna all’educando. All’origine della consegna e a determinarne l’invio, c’è l’attestazione dell’educatore: egli si fa testimone responsabile della proposta e spera che la consegna lasci almeno intravedere a chi voglia accoglierla quanto promette, una possibile piena fioritura della persona. Per parte sua, l’educando conquista la virtù dell’educazione quando, mosso da questa promessa, cerca di dare un senso al suo desiderare, facendolo diventare desiderio di pervenire a una pienezza di vita. Può riconoscersi allora nell’ideale di vita buona che gli è proposto, vedendovi in trasparenza una figura meno impropria di sé: ora egli è in grado di giudicarla come approssimazione a una vita autentica. Perché l’ideale informi la vita, portando una fioritura nuova davvero vitale, è necessario però che l’educando lo incarni in una forma nuova, che ne esprima potenzialità latenti. La terza parte del volume è dedicata al metodo empatico, movendosi nell’orizzonte di un’ermeneutica del testo. Si tratta di una forma di dialogo esistenziale ed esige, nel concreto, di dar vita a microcomunità etiche: ambiti educativi di socialità ristretta, ricchi di amicizia e di cura benevolente, segnati soprattutto da una comune ricerca veritativa di senso per l’esistenza. Il suo fine è di aiutare la persona a maturare, apprendendo una competenza esistenziale: la disposizione abituale a porsi domande sul senso, e sul senso assoluto – non relativo, dell’essere e dell’esistenza. La cura dell’anima è appunto questo evento d’essere e di senso: messa in questione dell’io concreto e riappropriazione del sé autentico, che rendano il soggetto capace di vedere e intendere ogni realtà particolare nel suo nesso col tutto (il finito nell’infinito – oppure, anche, nell’Infinito). L’esito è l’esistenza in prima persona, che nel testo è detta massima personalizzazione dell’essere: esercizio attivo, autonomo, sempre in qualche modo consapevole e libero, dell’essere che la persona è, al cospetto della totalità.
Gli autori
Antonio Bellingreri è professore ordinario di Pedagogia generale all’Università degli Studi di Palermo; vi insegna anche Pedagogia della famiglia. Con Vita e Pensiero ha pubblicato i volumi Per una pedagogia dell’empatia (2005), Il superficiale il profondo. Saggi di antropologia pedagogica (2006) e Scienza dell’amor pensoso. Saggi di pedagogia fondamentale (2007). È inoltre autore dei testi «L’autorità genitoriale: fondamento e metodo» (Milano 2008) e «I nonni e la cura del patto intergenerazionale» (Brescia 2009).
Nel presente volume si propone l’espansione del modello della democrazia rappresentativa alla sfera della politica globale. Nell’epoca della globalizzazione sempre più i cittadini subiscono le conseguenze di decisioni prese oltre confine senza avere la possibilità di esprimere il proprio consenso o piuttosto il proprio dissenso. Come risposta a tale deficit di partecipazione politica negli affari internazionali, il libro sviluppa un progetto di democrazia globale che intende restituire voce politica agli individui e legittimità alle istituzioni pubbliche. Questa originale posizione è sviluppata attraverso una critica analitica delle più significative teorie pro e contro la democrazia globale. Le principali posizioni rivali (realismo, nazionalismo, civilizzazionismo e internazionalismo liberale) sono respinte sulla base della loro limitata capacità di inclusione democratica. Utilizzando una nozione di giustizia interazione-dipendente, tali teorie forniscono infatti un supporto ideologico cruciale all’esclusione che è tipica dell’attuale sistema internazionale. Contro tali paradigmi esclusivisti, il libro sostiene un modello cosmo-federalista che si presenta come inclusivo, multilivello e radicato. Il testo adotta una prospettiva interdisciplinare che unisce tre principali aree di ricerca: la teoria politica internazionale, le relazioni internazionali e la sociologia politica. All’interno di esse vengono analizzate le più importanti controversie sulle questioni politiche globali oggi al centro della discussione pubblica: la disputa etica sulla giustizia globale, il dibattito istituzionale sul sovra-nazionalismo e la discussione sulle lotte politiche transnazionali. Da questa prospettiva interdisciplinare deriva un testo che sarà di interesse per gli studenti e i ricercatori impegnati negli aspetti politici della discussione sulla globalizzazione e sull’ordine democratico globale.
Paul Ricœur costituisce una delle fonti più rigogliose del nostro tempo, sia per l’implicita ricchezza di prerequisiti per una teoria-teoresi pedagogica sia per la ricchezza di argomentazioni indispensabili, a chi intende, non solo conoscere ed entrare nell’integrazione dei saperi in prospettiva di educazione dell’uomo, ma desidera altresì avvertire l’importanza della competenza e dell’abilità: la pedagogia è anche arte dell’educazione. La lettura del libro mi ha reso più pensoso soprattutto dopo avere riflettuto sulla «fallibilità» umana, definita dall’Autore «enigma sconcertante», specie in un tempo come il nostro, esuberante di narcisismo, individualismo ed enfasi efficientistica. Il volume potrà essere di grande utilità agli educatori dei vari contesti, così come agli insegnanti e a chi, avvertendo l’emergenza e la confusione che vanno diffondendosi intorno al che cosa è educazione, per qual fine educare e con quali strumenti, intende riprenderne la revisione personale del modo stesso di intendere la riflessione per disporre nel tempo di qualche vero ed efficace punto fermo. (Dalla Prefazione di Giuseppe Vico)
Vincenzo Salerno (Pordenone, 1972), salesiano sacerdote, è vicedirettore della Comunità per Minori multiproblematici «La Viarte», dove vive e svolge la sua attività di educatore e di incaricato delle attività pastorali giovanili e di prevenzione sul territorio. È laureato in Filosofia, in Teologia e in Pedagogia sociale ed è dottorando a Losanna. È Direttore del corso di laurea in Scienze della educazione - Educatore Sociale presso lo IUSVE, sede aggregata dell’Università Pontificia Salesiana di Roma. Tra le sue pubblicazioni: L’autorità in educazione (con L. Benvenuti - C. Vecchiet, Roma 2009), Educazione formato famiglia (con L. Benvenuti - C. Vecchiet, Roma 2010), Lasciarsi riconciliare e il dramma della vita giusta (Roma 2010).
Guerre civili, azioni di ‘guerriglieri’ e ‘terroristi’ sono uno dei fenomeni più studiati dalle scienze sociali a livello internazionale e negli ultimi anni riempiono i notiziari e le pagine dei giornali. La guerra nello Stato si pone l’obbiettivo di colmare la relativa assenza di ricerca sul tema in Italia, sia ricostruendo il vivace dibattito teorico che si è sviluppato fra gli studiosi sia offrendo contributi originali che trattano alcuni specifici conflitti intrastatali, le loro origini e i modi in cui sono combattuti. La prima parte analizza il legame di questi combattimenti con il sistema internazionale nato dopo la fine della Guerra fredda, utilizzando ipotesi e schemi interpretativi della scienza politica e delle relazioni internazionali contemporanee e guardando all’importante relazione fra la presenza di risorse naturali e il manifestarsi dei conflitti. Nella seconda parte l’attenzione si sposta in particolare sulla Bosnia, il Libano, la Palestina e il Sudan. Con riguardo a questi casi specifici, si mettono in evidenza importanti dinamiche sugli attori, le loro strategie, le interazioni e l’influenza dei contesti locali. Il volume vorrebbe essere un punto di riferimento su un tema importante ma ancora poco esplorato, e come tale si rivolge non solo a studenti universitari e ‘addetti ai lavori’, ma anche a coloro che, all’interno di un pubblico più ampio, vogliano riflettere criticamente su un fenomeno così drammaticamente attuale nella politica mondiale.
Gli autori
Stefano Costalli ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’IMT Institute of Advanced Studies. Attualmente è titolare di una borsa post-dottorato presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica di Milano e docente di Studi strategici presso lo stesso ateneo. I suoi interessi di ricerca riguardano le guerre civili, l’International Political Economy, le transizioni democratiche, il realismo politico e la teoria della pace democratica. Ha svolto ricerche sul campo in Bosnia-Erzegovina, Libano, Israele e nei Territori Palestinesi. Francesco N. Moro è borsista post-dottorato presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane - SUM e insegna Studi strategici all’Istituto di Scienze militari aeronautiche dell’Aeronautica Militare Italiana. I suoi interessi di ricerca riguardano la teoria politica internazionale, le forme della guerra nel sistema internazionale contemporaneo, i movimenti insurrezionali e le guerre civili. È autore di Transizioni pericolose. Forme e logiche della violenza nelle fasi di liberalizzazione politica (2009).
Il volume riporta e contestualizza i risultati di una ricerca empirica, commissionata dall’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della Conferenza Episcopale Italiana e presentata nel corso del convegno Testimoni Digitali (Roma 22-24 aprile 2010). La ricerca, diretta da Chiara Giaccardi con il coinvolgimento di tutti i centri di ricerca sulla comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (Almed, Arc, Crta, OssCom), si concentra sulle modalità relazionali in rete dei giovani tra i 18 e 24 anni. Dall’indagine qualitativa, basata su un campione nazionale, emergono aspetti interessanti, che da un lato confermano i risultati di ricerche sullo stesso tema svolte su base quantitativa, dall’altro consentono, grazie all’approccio adottato, di scendere più in profondità su motivazioni e significati delle pratiche. Per la presenza di una solida base empirica, ma anche di una serie di riflessioni approfondite con un taglio socioantropologico, il volume è uno strumento utile dal punto di vista didattico, ma può avere un bacino di utenza molto più ampio ed extra accademico, offrendosi come strumento aggiornato per gli operatori della comunicazione, per chi ha a che fare col mondo giovanile (educatori, insegnanti, psicologi), per chi vuole approfondire il significato ‘ambientale’ e relazionale delle nuove tecnologie.
Il Dipartimento di Pedagogia dell'Università Cattolica dà conto in questo libro della propria presenza significativa e articolata nel contesto scientifico ed educativo contemporaneo. I diversi interventi qui riuniti, fanno memoria dei pedagogisti che sono stati gli iniziatori di un lungo e fruttuoso cammino e al tempo stesso presentano i più attuali orientamenti di una ricerca che costituisce senza dubbio una voce peculiare e di tutto rilievo nel dibattito pedagogico sulle emergenze educative.
La riflessione pedagogica avvalora la categoria della responsabilità, ne individua la rilevanza nei processi formativi. Lo sviluppo del rapporto con la teoria economica rappresenta uno tra gli ambiti euristici in cui considerare vincoli e opportunità di azioni socialmente responsabili per la creazione della civiltà futura. Il volume, con un intento esplorativo, compie una disamina critica sulla responsabilità sociale e sulle culture d'impresa, riconoscendone ambiguità e potenziali implicazioni per il discorso pedagogico; pone a tema la rilevanza del concetto di progettazione, individuando una stretta connessione tra lo sviluppo umano integrale, la formazione nei contesti organizzativi e V impresa della sostenibilità. La prima parte dell'elaborazione è centrata sulla rilevanza della responsabilità sociale d'impresa nel dibattito socioeconomico attuale, mentre la seconda parte è dedicata a una sua interpretazione pedagogica nella prospettiva della formazione della persona, alla luce della sostenibilità dello sviluppo. Nell'alveo delle scienze della formazione e dell'educazione, la pedagogia della responsabilità sociale dialoga con le discipline che si occupano di esaminare le culture imprenditoriali, identificando un ambito del discorso che ha per oggetto la riflessione sul rapporto tra formazione del capitale umano, economia civile e responsabilità sociale delle organizzazioni.