
In un mondo in continuo cambiamento è importante non solo saper cogliere i semi di progresso e di novità al servizio della crescita, ma anche mantenere vivi i valori fondanti la persona e l'educazione. E la Chiesa ci ricorda che la prima comunità è la famiglia, terreno ove ciascun essere umano cresce e si sviluppa. Il volume si articola in cinque capitoli che trattano dei fondamenti dell'educare, dall'infanzia alla giovinezza, e si propone di accompagnare genitori, educatori ed educatrici, insegnanti, nel loro delicato compito educativo, mediante un'"alfabetizzazione" relativa ai processi di crescita umana e dei bambini, dei ragazzi e degli adolescenti.
In un'epoca in cui il dibattito sull'immigrazione ha assunto connotati sempre più aspri, tra respingimenti cruenti e legislazioni emergenziali, Passerini, autore da anni particolarmente attento a questo tema, torna a raccontare storie, esperienze e testimonianze che compongono il variegato mosaico del popolo migrante. Non solo per riportare l'attenzione sugli aspetti umani e sociali di un fenomeno così complesso, ma anche per evidenziare l'ottusità di alcuni provvedimenti, le ipocrisie della politica e le contraddizioni che si consumano ogni giorno sulla pelle di migliaia di persone in fuga dal proprio Paese. Con un inciso, puntuale e oggi più che mai necessario, sul tempo in cui gli immigrati eravamo noi.
L’adolescenza non è un problema da risolvere, ma un enigma da accogliere. Non un’età da contenere, ma un territorio da esplorare insieme, con rispetto, cura, presenza. In un tempo in cui l’educazione pare smarrire il suo senso originario, quello di condurre fuori, di liberare ciò che preme per nascere, questo libro invita a una riflessione necessaria. L’autrice, a partire dalla sua lunga esperienza sul campo, ci accompagna in un viaggio attraverso le possibilità ancora intatte dell’incontro educativo. Non si tratta di un manuale, ma di un testo rivolto a tutti coloro che, nella scuola, nella cura, nella famiglia, continuano a credere che educare significhi prima di tutto esserci. E che ancora sono capaci di meravigliarsi nel cogliere gli slanci, le energie e le intuizioni che i ragazzi e le ragazze esprimono nel loro commovente ingresso nel mondo.
La crisi dello Stato moderno e il trasferimento di alcune sue essenziali funzioni al mercato, da una parte, e alla società civile, dall'altra, hanno forse reso superflua la politica? L'hanno forse ridotta a compiti di mero controllo esteriore e di rispetto delle regole del gioco? Stretta fra l'universalismo dei diritti dell'uomo e il particolarismo delle comunità chiuse, la politica rischia di non trovare più il suo spazio vitale. Eppure proprio l'individualismo e il pluralismo stanno contribuendo a rivitalizzare l'istanza di una dimensione comunitaria dell'operare politico. Sono proprio le identità individuali e collettive a richiedere, non solo per la loro protezione e per il loro sviluppo, ma per la loro stessa costituzione un riconoscimento politico. Più che mai l'individuo ha bisogno, per elaborare e realizzare i propri progetti di vita, di un contesto pubblico che coltivi e renda accessibili una grande varietà di beni. Ciò vuol dire che per ben costruire la propria identità personale bisogna cooperare con gli altri nel mantenere aperto e vitale tutto l'orizzonte del bene umano. La tesi che sostiene quest'indagine è che non vi può essere politica come attività se non v'è politica come comunità, essendo questa il luogo dove si realizza l'autentica e piena fioritura della persona umana. In tal modo la politica, non più semplicisticamente identificata con gli apparati istituzionali, può ritrovare in un contesto democratico il suo senso morale.
Marco Polo è una delle figure più note del Medioevo e uno dei pochi viaggiatori dell’epoca a essersi spinto fino in estremo oriente. Mercante e avventuriero, ma anche molto più di questo: è un ‘cronista estero’, il primo viaggiatore europeo a descrivere con l’autorità del testimone oculare, a un pubblico pieno di stupore, gli spazi affascinanti del lontano oriente. Là, fra il 1271 e il 1295, trascorse quasi venticinque anni a servizio del Gran Khan Cubilai, svolgendo importanti funzioni amministrative alla corte di Khanbalik (l’odierna Pechino) e percorrendo quasi tutta l’Asia meridionale come inviato e ambasciatore del Kahn. Eppure, forse mai alcuna notizia della sua straordinaria vicenda ci sarebbe giunta se, poco dopo il suo ritorno a Venezia, egli non avesse partecipato a una battaglia contro i genovesi durante la quale venne fatto prigioniero. Proprio in carcere conobbe il pisano Rustichello, compilatore di opere cavalleresche, a sua volta detenuto, e dalla collaborazione tra i due nacque la fortunata narrazione degli anni cinesi di Marco: Le divisament dou monde, meglio noto come Il Milione. Tradotto già all’epoca di Marco Polo in latino, in francese, in dialetto toscano e veneziano e, prima della fine del XV secolo, in quasi tutte le lingue, il libro continuò a godere nel tempo di enorme fortuna in ambienti assai diversi e per finalità disparate. Ma se per il lettore medievale l’orizzonte era la meta del viaggio, l’Asia, con i suoi misteri e le sue prodigiose ricchezze, il quadro oggi pare capovolto e ad attirarci non è tanto l’itinerario percorso quanto la figura del viaggiatore. E tuttavia essa resta sfuggente ed elusiva, appena accennata dalla narrazione che poco lascia trapelare del suo autore. A ciò contribuisce la singolare genesi del testo con i problemi a essa legati: gli interrogativi sulla verità storica del racconto, le divergenze tra le diverse redazioni. Il Marco Polo mercante dei manoscritti toscani convive con il ‘cavalier cortese’ delle varianti franco-italiane e costui con l’autore ‘istruttivo’ della versione latina, il cui testo serviva all’elevazione spirituale. Impossibile decidere quale tra questi sia il ‘vero’ Marco Polo e, forse, sembra concludere il saggio di Marina Münkler, inutile. Egli esiste e affascina chi gli si accosta anzitutto come mito: il figlio di una famiglia di mercanti veneziani capace di diventare la figura ricca e multiforme che a tutt’oggi conosciamo.
Marina Münkler, nata nel 1960, laureata in filosofia, ha studiato germanistica, filosofia, scienza del teatro; lavora come traduttrice e critica letteraria ed è docente alla Humboldt-Universität di Berlino.
Il ventunesimo secolo si apre nel segno di un auspicio, ossia che quanto è stato in precedenza non voluto, o dimenticato o negato, acquisti d'ora in poi l'importanza che merita. In altri termini, s'impone che la famiglia, nella sua duplice variante di preparazione dei giovani ad essa e degli adulti sposati alla vita matrimoniale e domestica, diventi un obiettivo fondamentale dell'educazione degli adulti. I quattro punti indicati da J. Delors, imparare a conoscere, a fare, a vivere insieme, ad essere, da lui reputati i cardini dell'educazione nell'intero arco della vita, acquistano un significato speciale anche per la pedagogia della famiglia. C'è da augurarsi che gli adulti diventino fautori di un nuovo costume, siano affiancati dalle forze vive della comunità, abbiano intuizioni lungimiranti quanto ai contenuti e ai metodi, alle prospettive e alle innovazioni.
Norberto Galli, ordinario di Pedagogia generale nell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e direttore del bimensile «Pedagogia e Vita» dell'Editrice La Scuola di Brescia, ha dedicato parte dei suoi studi ai problemi dell'adolescenza, della giovinezza, della famiglia. Circa quest'ultima, oltre a saggi e articoli apparsi in vari periodici, ha pubblicato le seguenti opere: Educazione familiare e società, Brescia, La Scuola, 1965; Problemi attuali di pedagogia familiare, Brescia, La Scuola, 1972; Nuovi problemi di pedagogia familiare, Brescia, La Scuola, 1974; Educazione dei giovani alla famiglia, Milano, Vita e Pensiero, 1981; Pedagogia dello sviluppo umano, Brescia, La Scuola, 1984; Vogliamo educare i nostri figli (a cura di), Milano, Vita e Pensiero, 1985; Educazione dei coniugi alla famiglia, Milano, Vita e Pensiero, 1986; La famiglia e l'educazione alla salute (a cura di), Milano, Vita e Pensiero, 1988; Educazione familiare e società complessa, Milano, Vita e Pensiero, 1991; Educazione dei giovarli alla vita matrimoniale e familiare, Milano, Vita e Pensiero, 1993; Educazione familiare alle soglie del terzo millennio, Brescia, La Scuola, 1997.
Inserito nell’ampio scenario degli studi sulle audiences, questo volume offre una chiave interpretativa della varietà di gusti, motivazioni e ‘letture’ di quel vasto pubblico italiano che quotidianamente si raccoglie di fronte alla televisione. La centralità attribuita all’appartenenza generazionale dei telespettatori e, quindi, all’esperienza di ambienti mediali che mutano nel tempo costituisce il filo rosso che attraversa e collega una serie di ricerche svolte nel triennio 1999-2001 dall’Osservatorio sulla Comunicazione dell’Università Cattolica su commissione della Struttura Scenari della Direzione Marketing RTI (Mediaset), condotte secondo una prospettiva capace di integrare approcci differenti: lo studio socio-storico dell’industria culturale, l’indagine qualitativa sul consumo, l’analisi semiotica dei testi. I risultati, frutto di un lavoro di confronto e interpretazione dei dati raccolti nel tempo, restituiscono i profili di quattro identità generazionali a cui è possibile ricondurre l’attuale pubblico televisivo, ciascuna caratterizzata da memorie mediali, aspettative e strutture di decodifica narrativa proprie. Tutto ciò costituisce il bagaglio esperienziale con cui ci si relaziona al medium televisivo e si costruiscono i significati di quanto si fruisce.
Piermarco Aroldi è ricercatore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e vicedirettore dell’Osservatorio sulla Comunicazione presso la stessa Università. Ha svolto attività di ricerca sui temi dell’industria culturale e delle comunicazioni di massa per la Fondazione Agnelli, l’Istituto Gemelli - Musatti, la Rai, la Camera di Commercio di Milano. Su questi temi ha pubblicato, tra l’altro, “La fabbrica di Pinocchio. Le avventure di un burattino nell’industria culturale” (con Fausto Colombo e Barbara Gasparini, 1994), “La meridiana elettronica. Tempo sociale e tempo televisivo” (1999).
Fausto Colombo insegna Teoria e tecnica dei media e Linguaggi e strumenti della comunicazione presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università Cattolica di Milano ed è direttore dell’Osservatorio sulla Comunicazione. Tra le sue ultime pubblicazioni: “Le nuove tecnologie della comunicazione” (con Gianfranco Bettetini, 1993), “Dizionario della pubblicità” (con Alberto Abruzzese, 1994), “La cultura sottile. Media e industria culturale in Italia dall’Ottocento agli anni Novanta” (1998), “Il piccolo libro del telefono. Una vita al cellulare” (2001), “Il prodotto culturale. Teorie, tecniche, case histories” (a cura di, con Ruggero Eugeni, 2001).
Nella società dell’informazione le agenzie culturali si moltiplicano e ci investono con messaggi di ogni genere; i mass media sono veicoli di saperi di consumo più efficaci e accattivanti di quanto possano ormai rappresentare, soprattutto per i giovani, i tradizionali mezzi di trasmissione della cultura, ossia la scuola e il rapporto tra le generazioni. Ma si tratta davvero di trasmissione della cultura oppure di semplice comunicazione di contenuti? Là dove, infatti, la comunicazione comporta lo scambio di un messaggio, la trasmissione chiama in causa dinamiche più complesse, implica un processo di rielaborazione e di riappropriazione dei contenuti appresi e non un semplice accumulo di informazioni. Per questo, afferma Mathiot, si ‘comunica’ un messaggio, ma si ‘trasmette’ la vita. In tal senso vanno rivalutate le conoscenze ‘grezze’ trasmesse dalla famiglia e dalla saggezza popolare, ad esempio quelle relative alle previsioni del tempo oppure alle abilità culinarie. È urgente, allora, interrogarsi sul vero senso del trasmettere che non è riproduzione pedissequa di una tradizione o rottura con il passato. La trasmissione è separazione e continuità, distruzione e sopravvivenza: un movimento che punta a costituire l’autonomia di colui che ne è coinvolto, che lo invita ad acquisire una distanza critica da ciò che apprende; che, infine, è proteso verso il nuovo senza tradire la fonte da cui scaturisce.
Pascal Mathiot, docente di lettere alle scuole superiori, è autore di saggi su Molière, Montaigne e Buzzati.
L'obiettiva problematicità con cui si pone oggi qualsiasi discorso sul sacro, secondo un'opinione diffusa, è legata agli stessi presupposti del pensiero moderno che mettono in dubbio la possibilità di articolare l'anelito religioso con la funzione critica della ragione. Nella riflessione contemporanea, inoltre, al venire meno del consenso sulla ragionevolezza della fede si è aggiunta una serpeggiante sfiducia riguardo alla legittimità dell'esercizio della ragione. Di là dai preconcetti ideologici e dall'intolleranza fideistica, questo volume si propone di indagare le condizioni di possibilità di un'ermeneutica pedagogica che comprende tanto la consapevolezza storico-critica quanto l'intenzionalità dell'appartenenza e della convinzione. La ricerca persegue un duplice compito: contribuire alla ridefinizione dello statuto epistemologico della pedagogia, ponendo in luce la specificità della dimensione religiosa in ordine al discorso dell'educazione; articolare una prospettiva di ricerca aperta ai significati educativi in vario modo suscitati dall'esperienza del sacro, dalla coscienza credente allo smarrimento della certezza della fede, dall'agnosticismo alla negazione di qualsiasi riferimento trascendente. Lo studio, secondo un'impostazione teoretico-pedagogica, si inserisce nell'odierno dibattito sulla 'cultura religiosa', indagandone la legittimità argomentativa e alcune irrinunciabili finalità. L'educazione religiosa, contraddistinta da 'principi regolativi', sempre da perseguire e mai del tutto realizzati, deve essere contrassegnata dal rispetto per la pluralità delle credenze, da non confondersi con un indistinto indifferentismo, e dal riconoscimento della dignità della risposta di fede, di cui sono parte integrante la ricerca dell'Assoluto e l'annuncio della speranza. In questa prospettiva, la possibilità della proposta e della scelta religiosa è condizionata dalla verità dell'invocazione, costituisce un appello alla responsabilità della testimonianza, designa una tensione orientata al compimento esistenziale e alla pienezza dell'amore fraterno.
Pierluigi Malavasi insegna Pedagogia generale nella sede bresciana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

