
Perché siamo come siamo, noi italiani? Perché ci piacciamo sempre di meno e cominciamo a trovarci antipatici? Che cosa è accaduto nella nostra storia nazionale, da Porta Pia alle Veline, che ha fatto di noi quello che siamo diventati: rissosi, astiosi, perennemente arrabbiati contro gli altri e sfacciatamente ipocriti, capaci di celebrare il Family Day un giorno e di tradire la stessa Family il giorno dopo? Vittorio Zucconi sceglie, fra i tanti possibili, dieci eventi chiave della storia d'Italia - dalla presa di Roma alla Grande Guerra, dal fascismo al boom economico, da Tangentopoli a Berlusconi, passando per la tv di Mike Bongiorno, i furgoncini Ape e la "gioiosa macchina da guerra" post comunista - in cerca di quel "cromosoma storto" che non ha permesso di "fare gli italiani". Sì, perché l'homo italicus, incline a denigrarsi con passione, ha ormai maturato la certezza di non possedere un vero carattere nazionale, ma un caratteraccio. Prendendo spunto da un ciclo di "lezioni americane" tenute agli studenti di una prestigiosa università del Vermont, il Middlebury College, Zucconi mette da parte, rispettosamente, Boccaccio e Cavour per rivisitare, con la sua ironia affettuosa tessuta di esperienze personali e con la coscienza di rivolgersi non ad accademici, ma a chi dello storia italiana sa molto poco (cioè quasi tutti), pregiudizi e cliché sul dramma pirandelliano degli italiani in cerca di se stessi.
Dopo la strage di Duisburg, nell'agosto del 2007, il mondo sembra finalmente essersi accorto della 'ndrangheta. Eppure la potente organizzazione criminale calabrese esiste indisturbata da decenni, o da decenni c'è chi quotidianamente rischia la vita per combatterla. Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, è certamente una delle personalità più controverse e affascinanti coinvolte in questa guerra. Spesso criticato per la durezza dei suoi metodi, Gratteri è nato in Calabria e dalla sua regione d origine non ha mai voluto andarsene, anche a costo di grossissime rinunce. Una vita interamente dedicata alla giustizia, a prezzo di scelte difficili, come per esempio quella di perseguire penalmente persone in passato vicine, magari amici di infanzia o compagni di scuola. In questo libro il grande investigatore anti-'ndrangheta si racconta ad Antonio Nicaso.
L’opera di Martin, la prima biografi a “ufficiale” del Nobel colombiano, si distingue per imparzialità e veridicità: «troppi sono gli aneddoti, le storie circolanti su Márquez, tutti aventi un barlume di verità» ammette l’autore. E di qui la decisione di scartare gli elementi inverosimili e di dare invece testimonianza di quelli contraddittori. La biografi a racconta l’affascinante ascesa di Márquez alla fama e alla ricchezza, ma anche il conflitto in lui tra celebrità e valore letterario, tra politica e scrittura, tra potere, solitudine e amore; il contrasto tra la sua origine caraibica e il mondo internazionale. Grazie a quindici anni di incontri e colloqui con Gabo, a oltre trecento interviste (tra cui quelle con Fidel Castro, Carlos Fuentes e Mario Vargas Llosa) e allo studio di un numero sterminato di documenti, Martin ricostruisce la vita del maestro del “realismo magico” e la storia della sua famiglia, vera, grande fonte di ispirazione. Molte pagine sono dedicate alla genesi e alla stesura delle opere. Martin non tace le due accuse lanciate a Márquez: la sua amicizia con Castro e il suo silenzio sugli abusi del regime cubano.
È una forza oscura e potente che, all'improvviso, può impadronirsi di te e spingerti a dire o a fare cose che non avresti mai pensato di poter dire o fare. Può prenderti mentre sei in coda in auto, sul posto di lavoro, o durante una discussione con il partner. E poi, quando si esaurisce e se ne va, è spesso troppo tardi per rimediare ai danni che ha provocato.
È la rabbia.
Ma che cos'è esattamente la rabbia? Da dove viene e perché si scatena? E, soprattutto, che cosa si può fare per combatterla, per evitare che rovini la vita a noi e agli altri?
Da questi pressanti interrogativi prende le mosse l'intervista della giornalista e scrittrice Cinzia Tani al neurologo Rosario Sorrentino, che, dopo il successo di Panico, cercano ora di risalire alle radici neurologiche e mentali di un'emozione diventata la cifra della società contemporanea, con i suoi ritmi sempre più frenetici, l'esasperato individualismo e lo strapotere dell'immagine imposto dai mass media. Un virus, quello della rabbia, che sta a poco a poco avvelenando e corrodendo non solo i rapporti di coppia e quelli familiari, ma anche le più elementari norme della convivenza civile, come dimostrano la preoccupante diffusione dei casi di violenza domestica e i più efferati episodi di cronaca nera degli ultimi anni, che vengono analizzati e discussi nel libro.
La chiave per comprendere il funzionamento della nostra mente e il significato dei nostri comportamenti consiste, secondo Sorrentino, nel riconoscimento dell'estrema plasmabilità e duttilità del cervello umano, che si adatta a ogni possibile situazione e propone di volta in volta le soluzioni più adeguate per affrontarla grazie a un giusto compromesso tra la sua parte più istintiva e animale (l'amigdala), responsabile delle emozioni primordiali, e quella più razionale e saggia (la corteccia prefrontale), preposta al giudizio critico e al controllo delle reazioni impulsive. Quando però per una qualsiasi ragione (non ultima la presenza di stimoli e fattori che alterano profondamente il nostro modo di interagire con gli altri) tale equilibrio non viene raggiunto, ecco che le nostre reazioni risultano eccessive e sproporzionate, con conseguenze talvolta tragiche.
Dunque, a parte i casi in cui l'aggressività e la rabbia presentano un evidente profilo clinico, e che richiedono un opportuno trattamento farmacologico associato a una psicoterapia cognitivo-comportamentale, una reale soluzione del problema potrà essere trovata solo migliorando la qualità delle relazioni interpersonali e "bonificando" il mondo della comunicazione, cioè mediante "il recupero graduale della dimensione sociale, la ricostruzione di un'agorà, del luogo dove si possa tornare a parlarsi, a confrontarsi, dove il dissenso venga espresso in termini formalizzati, e dove sia diffuso e accettato il pluralismo delle idee e delle opinioni".
Flora Fraser
Paolina Bonaparte
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Dei tanti familiari che Napoleone Bonaparte, nella sua vertiginosa ascesa a imperatore, beneficiò via via con incarichi, titoli e regni, una sorella restò apparentemente trascurata: Paolina.
Donna di grande bellezza, abituata fin dall'adolescenza a stuoli di innamorati e pretendenti, sembrò accontentarsi di illimitate licenze, piaceri e lussi all'ombra del fratello. Non che fosse insensibile al prestigio sociale che poteva derivarle dall'appartenere a una famiglia come quella del giovane generale corso, che si era guadagnato sul campo, sia con le battaglie contro le coalizioni nemiche sia nell'arena politica in patria, una corona imperiale e, per quasi un decennio, il dominio della scena europea. Ma Paolina voleva essere l'artefice della propria esistenza e fortuna, ricorrendo agli strumenti a lei più congeniali: l'innata grazia, l'amore e la seduzione.
Flora Fraser ricostruisce la vita privata e pubblica di questa affascinante ed eclettica donna che scandalizzò l'Europa con i suoi comportamenti spregiudicati, dando tuttavia prova in molte occasioni di generosità e coraggio. Amò il giovane generale Leclerc, fedelissimo di Bonaparte, che divenne il suo primo marito e da cui ebbe l'unico figlio, Dermid, morto a sei anni, prematuramente come il padre, stroncato a trent'anni dalla febbre gialla. Si rassegnò poi alle seconde nozze, volute da Napoleone, con il principe romano Camillo Borghese. Da subito gli preferì altre liaison occasionali, secondo i detrattori persino sordide, riservando però al consorte il privilegio di un'opera d'arte che resterà nella storia: la statua di Antonio Canova che la ritrae come Venere vincitrice e per cui posò pressoché nuda.
E se conquistò instancabilmente ogni uomo del quale le capitò di incapricciarsi, ne amò e ammirò con incondizionata devozione uno soltanto: il fratello, per il quale, nonostante la sua frivolezza e apparente incoscienza, la sua fragilità di salute, il suo incessante peregrinare tra palazzi, salotti e terme, era disposta a sacrificare non solo la ricchezza e la posizione, ma la vita stessa. Inoltre fu l'unica della numerosa parentela a volerne condividere la sorte nel momento del declino e dell'esilio. Aveva la stessa inesauribile energia di Napoleone, non minore puntiglio e determinazione, e i due si intendevano a meraviglia, sopportandosi e perdonandosi ogni eccesso e debolezza. Di questo sodalizio, per molti versi misterioso, e delle alterne fortune che legano fratello e sorella, Flora Fraser dà un resoconto storicamente ineccepibile, animato da una narrazione sapiente e partecipe. La figura seducente di Paolina e quella di colui che forgiò l'Europa moderna si rivelano così due varianti di un unico, irripetibile destino.
La femme fatale e la malafemmina, la divina cantata nei versi del poeta e la virtuosa catanese che ammicca per le strade in giochi furbeschi di seduzione, Carla Bruni che per dote naturale sa prendersi i cuori migliori, ma anche Brigitte Bardot, la bionda belva di Saint Tropez, ed Edda Ciano che fa innamorare il bel partigiano. E sullo sfondo il secolo passato, così mondano e sensuale: immortalato nelle feste scatenate dì Porfirio Rubirosa, nei salotti di Gabriele D'Annunzio, nella strada che fu di Ava Gardner e Walter Chiari, nel fascino luccicante delle passerelle di Parigi, nella schiena di Nicole Kidman in una pubblicità di Chanel, nei flash postmoderni delle feste ai Parioli. Pietrangelo Buttafuoco, con l'ironia e la grazia del seduttore, compone un quadro dove i ritratti di donne si alternano alle tecniche di seduzione e lasciano spazio agli aneddoti sui grandi amatori del secolo passato.
L'Italia: un Paese che sta in piedi perché non sa da che parte cadere. Un Paese dove le maschere hanno sostituito i volti. Dove "la legge è uguale per tutti", ma non tutti sono uguali davanti alla legge. Un Paese dove d'insormontabile ci sono solo i cavilli. Un Paese di fedeli "praticanti", non di credenti. Un Paese che crede nei santi solo se gli fanno il miracolo. Un Paese dove quel che è pubblico, non è di tutti: è degli altri. Un Paese dove la dietrologia è un bene di prima necessità. Un Paese che vive alla giornata in attesa di passare la nottata. Un Paese di furbi che trovano sempre qualcuno più furbo che li fa fessi. Un Paese dove non è tanto la serietà dei problemi che preoccupa, quanto la mancanza di serietà di chi dovrebbe risolverli. Un Paese diretto da una classe politica senza classe. Un Paese, come diceva Longanesi, dove si è "estremisti per prudenza". Un Paese anarchico, conformista e trasformista. Il Paese di Arlecchino, Pulcinella, Fregoli, Pinocchio, Bertoldo, Maramaldo, Cagliostro. Un Paese di furbi e furbetti, che tirano l'acqua al proprio mulino, infischiandosene degli "interessi generali", che saranno anche "caciocavalli appesi", ma senza i quali un Paese rischia la deriva e il naufragio. Un Paese poco serio, ma creativo, fantasioso, intelligente, maestro nell'arte di arrangiarsi, versione bizantina e levantina del pragmatismo sassone.
Un Paese dove è più facile sopravvivere che vivere. Ma un Paese, un'Italia, che non si può non amare.
Come impedire che lo Stivale zoppo perda il tacco, la tomaia, la suola? Facendo il proprio dovere e bene fino in fondo. Ripristinando i valori e le gerarchie fondate sul merito. Dicendo basta ai marpioni, ai tromboni, ai fighetti in blazer e parrucchino che dettano legge dopo aver violato la più elementare: quella della decenza.
Maurizio Costanzo colleziona tartarughe. Di più: le ama, le ammira. Al punto di sperare di essere diventato come loro: "Continuo a provare invidia per la loro capacità di ritrarsi e mettersi nel guscio, in sicurezza. La tartaruga corre dei rischi solo se si ribalta o viene ribaltata. L'uomo corre dei rischi da quando nasce". La tartaruga piace a Costanzo perché va per i fatti suoi.
Non ha alcun rapporto con l'uomo, la sua capacità retrattile è portentosa: il suo guscio la protegge dal mondo. Nasce grinzosa, quindi non deve neanche preoccuparsi di ritocchi estetici, tanto è uguale da giovane come da anziana. Vive a lungo, testarda e forte, obbligata dalla natura a cavarsela da sola. Essere tartaruga, vivere da tartaruga, ha aiutato il più famoso anchorman italiano a resistere cinquant'anni nella giungla del giornalismo, sempre stabile e sornione sul suo trono a forma di sgabello. Non solo: guardare il mondo con gli occhi delle tartarughe gli ha permesso di scrivere questo manuale di sopravvivenza. Un vademecum, reso vivo dall'esperienza, su come reggere agli assalti del tempo e dei sentimenti. D'altra parte, lo insegna Zenone, nemmeno Achille piè veloce per quanto si affanni riesce mai a raggiungerla, la tartaruga.
"Lady non stop è un taccuino di bordo, un libro di viaggio, un'odissea tra il degrado, la miseria, la violenza, la morte, nell'Africa depredata, nell'Asia vittima delle sue terribili contraddizioni, nel Sudamerica incapace di fare giustizia con le sue immense ricchezze, ma anche nell'Europa contemporanea e tra i nuovi poveri di un'Italia che è riuscita a sedersi al tavolo dei paesi più ricchi, e tuttavia non è stata capace di eliminare le sacche di miseria.
Un periplo, dunque, alla ricerca degli "ultimi" da aiutare ma, anche, alla scoperta di se stessi, nel desiderio di trovare una strada che può portare fino al "senso della vita".
Le persone che ho imprigionato in questo libro, come fossero fotografie - io sono una fotografa -, sono persone che oggi posso solo ricordare e altre che ancora confortano, con la loro stessa presenza, i miei giorni. Sono le persone che ho incontrato nei miei viaggi e nelle mie missioni: mi hanno aiutato nel servizio umanitario o hanno contribuito alla formazione della mia personalità.
La mia tensione umanitaria si è accresciuta quando mi sono persuasa che la solidarietà è fondamento imprescindibile della pace e dello sviluppo globale, e non può più essere intesa semplicemente come sostegno da assicurare ai più poveri. In un pianeta che si è fatto piccolo e interdipendente, nessun paese può chiudersi nel suo egoismo.
Ora, che sono passati sessantasei anni da quando ho cominciato a percorrere la strada che conduce agli "ultimi" in ogni angolo del mondo, si fa in me sempre più pressante l'interrogativo: perché? Perché la ricchezza della terra è nelle mani di pochi privilegiati? Perché ogni giorno muoiono di fame trentamila bambini? Perché ci sono terre incolte e terre che non si vogliono coltivare, mentre due miliardi di esseri umani non hanno da mangiare?
Ho ritenuto di fare la mia parte, per lenire alcune sofferenze, per restituire qualche sorriso ai bambini poveri del mondo. Non potevo certo ardire di pensare che avrei potuto asciugare ogni lacrima, soddisfare ogni bisogno. Eppure, mi sembra di sentire rimorso per quello che non ho potuto fare. Ho davanti a me ancora tempo, non mi farò vincere dalla tentazione di voltarmi indietro. Continuerò a passo svelto il cammino, il popolo dei sofferenti mi aspetta ancora."
Un viaggio nell'universo delle passioni in compagnia di figure letterarie così familiari da essere entrate a pieno diritto nel nostro lessico, quasi fossero dei santi laici, civili. I più conosciuti eroi shakespeariani, Bruto, Amleto, Otello, lago, Lear, Macbeth, e alcune indimenticabili eroine, Ofelia, Cordelia, Desdemona, colti in flagrante nel pieno vigore delle loro passioni, vengono offerti al lettore come compagni di riflessione intorno alle questioni della vita, le più semplici, le più comuni - che cosa significa amare, odiare, avere paura, desiderare, invidiare. Le loro passioni diventano così le nostre, la distanza dei secoli si annulla e ci ritroviamo contemporanei di Otello nella gelosia, di Macbeth nell'ambizione e nella paura... Perché possiamo conoscere così poco del mondo attraverso la ragione! Ci sono realtà che si possono "toccare" solo attraverso l'immaginazione, e leggere Shakespeare è un esercizio dell'ascolto che può sfociare nella fulminante illuminazione di passioni che ci riguardano tutti.
Donna di grande fascino e carattere, occhi color ghiaccio e capelli pettinati alla Greta Garbo, amante del bello in tutte le sue forme, dalle sublimi espressioni dell'arte, al design, all'alta sartoria, Palma Bucarelli ha attraversato il Novecento lasciando un'impronta indelebile nel panorama artistico italiano. Nominata nel 1933, a soli ventitré anni, ispettrice della Galleria Borghese, dimostra fin dal principio il suo spirito determinato: quando Mussolini convoca tutti i soprintendenti d'Italia, lei non si presenta, e difenderà questa posizione indipendente per tutti gli anni del regime. Il coraggio, certo, non le manca: ai primi bombardamenti alleati sulla capitale, si impegna a portare in salvo il patrimonio della Galleria nazionale d'arte moderna, di cui è diventata funzionario con mansioni direttive, prima a Caprarola e poi a Castel Sant'Angelo. Il secondo no a Mussolini lo dice quando la RSI chiama i suoi a raccolta: resta senza stipendio, collabora con la Resistenza distribuendo in bicicletta il foglio clandestino "L'azione", e continua a proteggere la "sua" Galleria. Finita la guerra, Palma si deve confrontare con una società conservatrice e culturalmente arretrata. Per tutta la sua lunga vita, potrà contare sull'appoggio dei suoi amici e corteggiatori. Pioniera nell'arte e nella vita, donna libera in un mondo che alle donne lasciava poco spazio, Palma Bucarelli ha contribuito a imporre nel nostro paese l'idea moderna di museo.
Questo libro è la biografia di un "sopravvissuto" un po' speciale: due guerre mondiali, sette papi, monarchia, fascismo, prima e seconda Repubblica, e ben sei processi per mafia. È la storia delle due vite (una precedente e una successiva ai clamorosi processi che lo hanno visto imputato per un decennio) di un ex potente, che solo a fatica può definirsi ex, dato che ancora oggi continua a far sentire la propria influenza in Italia. Ma, soprattutto, questo libro è la storia di un pezzo del nostro Novecento, visto attraverso le miserie e la nobiltà della classe dirigente cattolica: nel passaggio traumatico dalle cronache politiche a quelle giudiziarie, si coglie la perdita d'identità non solo di una nomenclatura, ma di un pezzo dell'Italia moderata.