
Nel binomio “fede e libertà” si rivela, e si ravvisa, la figura e l’opera di Giovannino Guareschi. Che in una esistenza breve, ma intensamente vissuta, ebbe modo di rendere testimonianza sia alla fede, sia allo spirito di libertà. Fede che gli diede forza e coraggio nei momenti cruciali: dai lager nazisti alla galera italiana, e mai lo abbandonò. Fede che percorre, per così dire, grande parte della sua opera letteraria: dalle pagine scritte durante l’internamento in Polonia e in Germa- nia, a quelle del “Mondo piccolo”, a quelle ancora del carcere parmense di San Francesco dove fu detenuto per 409 giorni. Di seguito, e forse di conseguenza, lo spirito di libertà: la libertà dei figli di Dio, che possono scegliere fra il bene e il male, che possono testimoniare o non testimoniare la loro fede, le loro idee e i loro ideali. E Giovannino non ebbe dubbi nelle scelte: difficili e tutt’altro che gratificanti sul piano pratico, in perfetta sintonia, però, con i suoi valori ideali e principi morali: scelte sempre compiute secondo coscienza, e non secondo convenienza. Giovanni Lugaresi ripercorre le pagine dell’opera guareschiana, evidenziando quanto intensamente si alzi la voce dell’Autore a sorreggere il binomio “fede e libertà”, e colloca la figura dello scrittore della Bassa in un orizzonte molto ampio e articolato, nonché di alto spessore morale e spirituale.
Dici “scuola”, e vengono subito in mente altre parole. “Futuro”, per esempio: qualsiasi società, in qualsiasi momento della storia, il domani se lo gioca lì, in quelle aule. Oppure, “speranza”, parente stretta dell’attesa di felicità che abita il cuore dei ragazzi e di chi vuole loro bene: i genitori, gli insegnanti... La scuola, in fondo, esiste per questo: custodire quella speranza, coltivare quell’attesa, è la sua stessa natura. Bene: se c’è un ambito che la pandemia ha messo in crisi più di altri è proprio quello scolastico. È stato scosso, spiazzato, diviso tra l’esigenza di proteggere i ragazzi (e le famiglie) dal virus e la necessità di non strapparli dal loro mondo, dai legami – fondamentali – con compagni e professori. Da ciò che esiste proprio per farli diventare uomini, cioè in grado di affrontare la realtà anche quando si presenta con il volto imprevedibile di un dramma globale.
Ecco perché la sfida di questi giorni è decisiva. Mentre scriviamo, la riapertura della scuola è ancora in bilico, e non solo in Italia. Si ricomincia, ma la pandemia mette a rischio in qualsiasi momento il ritorno tra i banchi. Orari e spazi, cattedre e classi restano per molti un’incognita. Ma abbiamo deciso lo stesso di parlare della scuola che verrà, per un motivo semplice: qualsiasi volto abbia – in presenza, a distanza o blended, come si usa dire oggi –, il nuovo anno scolastico si porta dietro un bagaglio ricchissimo: l’esperienza degli ultimi mesi. Guardare dentro quel bagaglio, capire cosa stiamo imparando oggi, è decisivo per non perdere l’occasione, per affrontare con più consapevolezza il domani, il futuro. E per accendere, appunto, la speranza.
Che, non a caso, è stata tra le parole chiave di un momento di svolta, in questa strana estate segnata dal Covid: il Meeting di Rimini. Non era affatto scontato che ci fosse, quest’anno. Ma è stata una grazia sovrabbondante vedere che ricchezza di contenuti, incontri, giudizi è seguita alla decisione di rischiare, di provare ugualmente a realizzarlo, in modo nuovo, per offrire un contributo arrivato davvero al mondo intero, anche grazie al digitale. Lo abbiamo raccontato online sul sito, clonline.org (i tempi di chiusura del giornale non ci permettevano altro), e lo riprenderemo di sicuro più avanti. Qui, però, ne offriamo il cuore: l’intervento di Julián Carrón su «dove nasce la speranza». Un dialogo in cui, a un certo punto, è emersa un’espressione di don Giussani che sintetizza bene la partita in corso: «La speranza è una certezza nel futuro in forza di una realtà presente». Quello che serve per crescere. E per vivere.
Come mai fra i responsabili di certi terribili omicidi figurano anche rampolli di buona famiglia? Esistono davvero delle persone "nate per uccidere"? Se così fosse, in che modo potremmo identificarle e curare preventivamente la loro predisposizione alla criminalità? Da oltre trent'anni, Adrian Raine cerca di dare una risposta a queste domande, avventurandosi in ricerche pionieristiche volte a indagare le basi "biologiche" della violenza. In questo libro, l'autore presenta un numero sempre crescente, e sempre più sconvolgente, di prove che dimostrano come i geni e l'ambiente influenzino e plasmino la mente criminale, e come determinate caratteristiche apparentemente innocue, ad esempio una bassa frequenza cardiaca a riposo, possano essere in realtà sintomatiche di un'indole violenta. Grazie ad esperimenti geniali, a dati sorprendenti e a casi di studio impressionanti, Raine analizza lucidamente i delicati problemi etici sollevati dalla neurocriminologia in merito alla prevenzione del crimine e alle pene da comminare.
Il taglio generale dell'opera muove da due premesse. La prima consiste nell'affermare il legame tra la dimensione micro e la dimensione macro dei fenomeni sociali. Gli ambiti più importanti (cultura, economia, politica, territorio) vengono presentati come insiemi di istituzioni e come reti di relazioni sociali. La seconda attiene al rilievo attribuito alla trasformazione sociale. Il testo si propone di dare una visione dinamica ai fenomeni analizzati, sia attraverso la comparazione temporale dell'Italia con altri paesi europei e non, sia mostrando come i processi globali intervengono a modificare la vita quotidiana. Ogni sezione si compone di una prima parte dedicata a concetti e teorie e una seconda ai principali fenomeni studiati, con esempi tratti dalla situazione italiana e da altri paesi. Il volume è arricchito da materiali digitali integrativi disponibili online all'indirizzo mondadorieducation.it.
Semplicità equivale a buon senso, a equilibrio: questo l'insegnamento che sembriamo trarre sempre di più dalla vita di tutti i giorni. Ci ribelliamo contro la tecnologia, sempre più complicata e contorta, contro i lettori DVD in cui ormai non si contano menu e funzioni o, ancora, contro i software che immancabilmente si accompagnano a veri e propri manuali di istruzioni. L'iPod e il suo straordinario successo lo dimostrano: la semplicità, specie nell'era digitale, è la carta vincente. Uno studioso del MIT ha fatto di questo affascinante tema l'oggetto delle sue incessanti ricerche e ci propone qui un semplicissimo e tuttavia denso trattatello sulla semplicità, scritto per permettere ai lettori di comprenderne i fondamenti e di esplorarne i legami con il design, la tecnologia e la vita in generale. Concepito secondo lo stesso criterio di semplicità, il libro di Maeda illustra le dieci leggi fondamentali di questo concetto, dalla più semplice ("Riduci") alla più complessa ("Semplicità significa sottrarre l'ovvio e aggiungere il significativo"): dieci leggi concentrate in poco più di cento pagine, di modo che anche la lettura e il tempo necessario a compierla siano all'insegna della semplicità e diano modo a chiunque di far proprie le linee guida di questa affascinante teoria anche durante la pausa pranzo o un volo di breve durata.
Tutti noi, se la nostra vita non è completamente manicomiale, mettiamo in pratica esperienze di osservazione guidata dall'ascolto attivo. Lo scopo di questo libro è di renderci consapevoli di cosa facciamo quando ci riusciamo, in modo da permetterci di riflettere su queste dinamiche e darci la possibilità di metterle in atto sistematicamente e volontarimente ogniqualvolta lo riteniamo necessario.
Se gli anni Ottanta e Novanta hanno significato enormi cambiamenti nell'Europa centrale e orientale, hanno allo stesso tempo stimolato speranze di un futuro migliore per le nazioni coinvolte nei processi di democratizzazione. Dalla prospettiva del giorno d'oggi, è evidente che questi processi sono ancora in pieno svolgimento. Prova ne sia la diffusa nostalgia per il passato recente, che getta ombre sulla realtà politica e sulle attuali condizioni sociali ed economiche. A questa si va ad aggiungere il rimpianto per i vecchi tempi: il passato è divenuto oggetto di disputa, ma sempre più anche di nostalgia. Questa antologia mostra le diverse facce di questo fenomeno, che negli ultimi anni ha coinvolto la sfera politica, sociale, culturale e artistica.
Medico, psichiatra, psicoanalista, Jacques Lacan (1901-1981) è stato una delle personalità più significative nella cultura del Novecento e nella storia della psicoanalisi del dopo-Freud. Il suo riferimento costante e rigoroso ai fondamenti della clinica psicoanalitica s'interseca con l'utilizzo critico delle teorizzazioni più avanzate proprie della linguistica, della filosofia, della logica, dell'antropologia, della letteratura e della psichiatria. Scritto da due psicoanalisti di generazioni diverse ma formatisi entrambi alla scuola di Lacan, questo libro offre al lettore un'esposizione chiara e rigorosa dell'insegnamento lacaniano.
Gli ultimi anni del XX secolo hanno visto la fine dell'ordine politico, economico e sociale, che si era formato nell'immediato secondo dopoguerra. Forse quello che giunge a conclusione è un sistema storico più ampio, quello dell'Occidente industrializzato, o addirittura quello degli Stati nazionali. Attraverso un approccio storico comparato, gli autori combinano l'analisi storica, lo studio delle dinamiche economiche e finanziarie e del mutamento sociale, per ricostruire le analogie e le differenze tra la nostra epoca di transizione e due analoghe transizioni del passato: quella dall'egemonia olandese all'egemonia britannica nel XVIII secolo, e quella dall'egemonia britannica all'egemonia statunitense a cavallo tra XIX e XX secolo.
Gli abitanti del pianeta si avvicinano ai 7 miliardi, quattro volte quelli di un secolo fa. Ma ciò che dobbiamo temere per il prossimo futuro non è un mondo sovrappopolato, brulicante di vecchi e di poveri, bensì il gigantismo dei consumi e la loro sproporzione. Lo documenta Fred Pearce, attraverso un'analisi storica (dagli incubi di Malthus al baby boom) e una vastissima inchiesta sul campo, che racconta vite vissute e politiche demografiche, scelte ambientali e pericoli ecologici tra Europa ed Estremo Oriente, tra paesi africani e centri di ricerca statunitensi.