
Pubblicato per la prima volta nel 1918 e riedito con un poderoso apparato di note e commenti nel 1946, "L'ordinamento giuridico" è uno dei libri più influenti della cultura giuridica italiana. Santi Romano, tra i fondatori del diritto costituzionale e del diritto amministrativo in Italia, unisce in una trama densa e avvincente due famiglie nobili del pensiero giuridico: istituzionalismo e pluralismo. Con forza anticipatoria, Romano elabora una concezione in cui il diritto viene affrancato dai limiti concettuali che lo hanno vincolato al suo contenitore storico, lo Stato, e avanza una prospettiva destinata a segnare un punto di non ritorno: il diritto è quella serie di protocolli d'esperienza pratica mediante cui un gruppo si dà una forma organizzata e separa la propria esistenza come organizzazione da quella transeunte dei propri membri. L'esito è dirompente: almeno da un punto di vista concettuale, lo Stato è considerato, in rapporto al diritto, al pari di una Chiesa, di una qualsiasi associazione sportiva, e persino di un'organizzazione criminale. La teoria esposta in questo libro, che viene ora ripubblicato a un secolo esatto dalla sua prima apparizione, dice molto del nostro presente, in cui il diritto mostra il volto archetipico di tecnica specialistica e rilancia pretese di indipendenza rispetto alla politica rappresentativa. La forza «compositiva» del diritto, di cui Romano si fa qui portavoce, ossia la capacità di dare vita effettiva agli elementi altrimenti dispersi della società, rappresenta anche la sua capacità di negoziare le relazioni tra organizzazioni in modo da stemperarne i conflitti violenti e da produrre sempre nuove configurazioni della vita sociale. A cura e con un saggio di Mariano Croce.
"Editoria senza editori" racconta l'itinerario di un uomo e la storia di una casa editrice, la Pantheon Books, fondata nel 1941 a New York da un emigrato tedesco, Kurt Wolff, cui si associò subito dopo il padre dell'autore, Jacques Schiffrin, anch'egli costretto a rifugiarsi negli Stati Uniti dopo aver ideato e diretto fino al 1940 a Parigi la celebre collana Pléiade di Gallimard. Entrato a sua volta nel 1962 alla Pantheon Books, André Schiffrin ne farà una delle più prestigiose case editrici americane, in stretto e costante rapporto con la migliore cultura europea. Era un tipo di editoria al tempo stesso esigente e popolare che aveva i suoi precedenti più o meno lontani nei Penguin Books, nel Left Book Club in Gran Bretagna e nella New American Library of Word Literature negli Stati Uniti: tutte esperienze di grande successo commerciale, oltre che d'indubbia rilevanza politico-culturale. E così fu anche per la Pantheon Books, almeno fino a quando cadde vittima di successive concentrazioni editoriali fondate sulla sovrana iniziativa del libero mercato e sulla logica del rendimento immediato. In questo contesto, il libro, ormai concepito managerialmente solo sul modello del best seller (la rincorsa a non deludere le attese del pubblico conquistato), e non come il prodotto di una ricerca in grado di arricchire insieme il pubblico e l'editore, risulta incluso come puro accessorio nella sfera dell'entertainment e dell'industria dell'informazione. È l'avvento di una vera e propria mutazione antropologica che - con le parole di un altro grande editore, Jéróme Lindon, delle parigine Editions de Minuit - Schiffrin ha individuato come il passaggio a una «editoria senza editori», liberale al punto da lasciare al solo mercato la decisione sulla pubblicabilità di quelle che un patetico arcaismo continua a designare come «opere dell'ingegno». Presentazione di Alfredo Salsano. Con uno scritto di Andrea Cortellessa.
Il punto di partenza della riflessione comune che questo volume offre ai lettori è stata la frase che Simone Weil (1909-43) scrive in chiusura de La persona e il sacro: «Al di sopra delle istituzioni destinate a proteggere il diritto, le persone, le libertà democratiche, occorre inventarne altre destinate a discernere e abolire tutto ciò che nella vita contemporanea schiaccia le anime sotto l’ingiustizia, la menzogna e la bruttezza. Occorre inventarle perché sono sconosciute, ed è impossibile dubitare che siano indispensabili». A partire da essa, alcuni autorevoli studiosi del pensiero weiliano italiani e stranieri si sono chiesti, anche in riferimento all’attuale situazione europea, quali potessero essere le riflessioni di Simone Weil da prendere in considerazione per rispondere a domande sempre più urgenti: quale orizzonte etico e spirituale, quale filosofia possono far nascere le nuove istituzioni di cui Weil avvertiva la necessità? Che tipo di istituzioni potrebbero essere? Quale relazione tra spiritualità, etica e politica si dovrebbe articolare in esse, e secondo quali modalità? Il risultato di questo ragionare comune vorrebbe essere, innanzitutto, une réflexion en vue d’un bilan, come scriveva Weil, non solo sulle potenzialità inespresse del pensiero weiliano, ma anche su quelle dell’Europa.
«Mettendo insieme questi scritti» su autori che vanno da Casanova a Kubrick, e includono fra gli altri Stendhal, Dickens, Flaubert, i grandi narratori russi dell'Ottocento, Herzen, Hagek, Isherwood, Céline, Edmund Wilson, Orwell, Bòll, Pasolini, Fenoglio, Bianciardi, Mon-taldi, Pampaloni, «mi rendo conto che la parzialità delle mie scelte non è stata del tutto casuale: essa individua o indica molte mie reali preferenze. Anche se alcuni sono stati commissionati da editori per collane economiche, cosa che spiega la forma e il taglio delle pagine su Casanova, Stendhal, Dickens, Flaubert o il romanzo russo, la necessità di un'esposizione piuttosto didascalica la trovo tuttavia a me congeniale oltre che doverosa (e da essa mi sono distaccato solo in parte in altri testi). Benché con il passare degli anni la scrittura d'invenzione mi abbia interessato progressivamente meno a favore di scritture diaristiche, memorialistiche, storico-politiche, l'occasione editoriale mi ha sollecitato a tornare a certe mie passioni del passato: il risultato è perciò non di critica letteraria in senso rigoroso, ma comporta la tendenza a leggere di preferenza quella narrativa che illumina aspetti della storia sociale, verso i quali mi indirizzavano anche alcuni dei critici da cui mi è sembrato di imparare di più, come Edmund Wilson, Lukàcs, Adorno, senza dimenticare la saggistica di scrittori come Baudelaire, Proust, D.H. Lawrence, Orwell, Fortini... Più che dall'invenzione sono sempre stato attratto dalle testimonianze personali e dirette, dal giornalismo di reportage e dall'autobiografia». (Piergiorgio Bellocchio)
Il 12 dicembre 1969 scoppia la bomba di piazza Fontana a Milano. Il ferroviere anarchico Pino Pinelli è convocato in Questura per accertamenti e dopo tre notti il suo corpo vola dalla finestra dell'ufficio del commissario Luigi Calabresi, contro cui Lotta Continua inizia una violenta campagna. Nel 1972 Calabresi viene ucciso a colpi di pistola sotto casa. Sedici anni dopo un ex operaio della Fiat, già militante di Lotta Continua, Leonardo Marino, si costituisce e confessa al sostituto procuratore Ferdinando Pomarici di aver preso parte all'omicidio Calabresi chiamando come corresponsabili Giorgio Pietrostefani, Adriano Sofri e, come esecutore materiale, Ovidio Bompressi. Inizia così l'odissea dei processi.
Solo ora, raccolti insieme nella loro integralità, i nove libri che formano il progetto Homo sacer acquistano il loro vero significato. Il fitto gioco dei rimandi interni, la ripresa incessante e lo svolgimento dei temi di volta in volta enunciati disegnano un'architettura imponente, articolata in quattro sezioni. Nella prima viene tracciato il programma di una messa in questione dell'intera tradizione politica dell'Occidente alla luce del concetto di nuda vita o di vita sacra (Il potere sovrano e la nuda vita, 1995). Nella seconda sezione questo programma viene svolto attraverso una serie di indagini genealogiche: (Iustitium. Stato di eccezione, 2003; Stasis. La guerra civile come paradigma politico, 2015; Horkos. Il sacramento del linguaggio, 2008; Oikonomia. Il Regno e la Gloria, 2007; Opus Dei. Archeologia dell'ufficio, 2012). La terza sezione sottopone l'etica alla prova di Auschwitz (Auschwitz. L'archivio e il testimone, 1998). La quarta sezione, infine, elabora i concetti essenziali per ripensare da capo l'intera storia della filosofia: forma-di-vita, uso, inoperosità, modo, potere destituente (Altissima povertà, 2011; L'uso dei corpi, 2014). L'archeologia del pensiero politico e filosofico occidentale sviluppata nel progetto Homo sacer non si limita, infatti, semplicemente a criticare e correggere alcuni concetti o alcune istituzioni; si tratta, piuttosto, di revocare in questione il luogo e la stessa struttura originaria della politica e dell'ontologia, per portare alla luce l'arcanum imperii che ne costituisce il fondamento e che era rimasto, in esse, insieme pienamente esposto e tenacemente nascosto. In questa edizione definitiva sono stati restituiti i titoli del progetto originale e sono state inserite le integrazioni - come la lunga nota sul concetto di guerra - e le correzioni volute dall'autore.
Nei dibattiti politici, mediatici e accademici si parla spesso di valori. Eppure, una questione rimane spesso senza risposta: come nasce un valore? Come emerge e come si costituisce qualcosa che è importante per noi, e a partire da cui valutiamo persone, cose, eventi, situazioni della nostra vita? In "Come nascono i valori", Hans Joas presenta una risposta originale a tale interrogativo: i valori nascono da esperienze individuali e sociali che scuotono e mettono in discussione i limiti della nostra identità. Nei dieci capitoli che compongono il volume, Joas sviluppa la sua proposta attraverso una retrospettiva storica e concettuale che va da Nietzsche a Habermas, passando per la filosofia tedesca del primo '900, il pragmatismo americano e il postmoderno.
Che cos'è il giuramento, qual è la sua origine e quale il suo scopo, se esso sembra mettere in questione l'uomo stesso come animale politico? L'«archeologia» del giuramento che questo libro propone cerca di rispondere a queste domande, in una prospettiva in cui il problema del giuramento e il problema del linguaggio appaiono inseparabili. Attraverso un'indagine di prima mano sulle fonti greche e romane, che ne mette in luce il nesso con la legislazione arcaica, la maledizione, i nomi degli dei e la bestemmia, Agamben situa, infatti, l'origine del giuramento in una dimensione nuova, in cui esso appare come l'evento decisivo nell'antropogenesi, nel diventar umano dell'uomo. Il giuramento ha potuto costituirsi come «sacramento del potere» perché esso è innanzitutto il «sacramento del linguaggio», in cui l'uomo, che si è scoperto parlante, decide di legarsi alla sua parola e di mettere in gioco in essa la sua vita e il suo destino.
L'opera "I preadamiti" uscì (anonima e senza indicazioni di luogo né di tipografo) nel 1655 suscitando "uno dei più clamorosi scandali culturali del XVII secolo". L'autore, Isaac La Peyrère (1596-1676), che vi teorizzava l'esistenza di uomini vissuti prima di Adamo, fu accusato di scardinare l'intera tradizione esegetica e i fondamenti stessi dell'ortodossia religiosa. Il libro, ancorato a un ampio commento dei versetti 12-14 del quinto capitolo dell'Epistola ai Romani, sollevava il problema dell'origine della specie umana, delle leggi, del rapporto tra legge naturale e diritto positivo, e avanzava esplicitamente ipotesi di carattere radicalmente poligenetico mettendo in crisi tutta la linearità della "storia sacra".
Questo libro contiene lettere, appunti di diario, riflessioni sul presente e sul passato, schegge autobiografiche, polemiche ad personam e controversie ideologiche; il dopoguerra e la guerra fredda, lo stalinismo ed il conformismo degli intellettuali, l'Ungheria e il '56, Praga e il '68; Sereni, Vittorini, Pasolini, Calvino, Cases, Rossanda, Panzieri, Luzi. Il confronto con la storia, il dialogo e lo scontro con amici e avversari formano la sostanza del libro, che privilegia la forma del frammento ma è al tempo stesso rigorosamente costruito a posteriori, attraverso un montaggio che insieme agli anticipi ed alle continuità denuncia gli abbagli e le false certezze nell'inesausta interpretazione del presente e nella riflessione sul passato.
Da quando l'Oriente cinese e giapponese ha creato un'estetica sulle foglie della pianta Camellia sinensis e ha coltivato fino alla perfezione il rito della degustazione dell'infuso, molti trattati sono stati scritti sull'arte di preparare il tè, ma uno solo è rimasto nei secoli l'archetipo, la base di tutti i testi: il Chajing, il Canone del tè, il più antico e il più importante trattato al mondo sulla coltivazione, la preparazione, l'uso e gli echi letterari del tè. Fu composto intorno al 758 dal letterato e poeta Lu Yu, che con questo libro dette un fondamentale impulso alla cultura del tè e ne fissò lo spirito. Alieno da ogni preoccupazione per l'esteriorità, Lu Yu insegna che le circostanze e il luogo della degustazione non sono che accessori, ed è quindi possibile variare l'etichetta in accordo all'ambiente, al numero degli ospiti e al loro rango. Le pagine del Canone si configurano così come un affascinante e rigoroso manuale tecnico di milleduecento anni fa e costituiscono un'opera di sottile poesia e un sacro testo dell'antico Oriente, accessibile nella traduzione dal cinese, corredata di un ampio apparato di note filologiche e storiche.