
Andrea Camilleri racconta l'esperienza parlamentare di Leonardo Sciascia, attraverso le interrogazioni parlamentari che lo scrittore di Racalmuto presentò, dalle file del partito radicale, tra il 15 dicembre 1979 e il 31 gennaio 1983. Camilleri, che a Sciascia fu legato da consuetudine e amicizia, ne mette in luce la passione politica autentica; la lucidità, l'approccio mai ideologico ma sempre ancorato a una analisi dei fatti acuta e spietata, comunque sempre scomoda e insofferente al potere. Gli argomenti di queste interrogazioni sono, tutti, di estrema attualità, allora come oggi; i casi di cronaca affrontati sono tuttora ferite aperte: la mafia, l'uccisione del magistrato Ciaccio Montalto, il caso Pecorelli, il petrolio, l'uso delle armi da parte delle forze dell'ordine. Dalla voce di Andrea Camilleri, e dagli interventi di Sciascia emerge, insomma, un ritratto impietoso di un'Italia incapace di fare i conti con il proprio passato; e colpevolmente sorda alle parole di chi, con tutto il rigore della ragione, dimostrava di amarla.
Il centro del mondo si è spostato in Nord Africa. Dopo la Tunisia, l’Egitto, e poi chissà quali altri paesi ancora. Il popolo invade le strade e riempie le piazze. La polizia in parte solidarizza in parte reprime. Frange di fondamentalismo si mischiano alla maggioranza che chiede diritti e libertà, stemperando il proprio potenziale violento. Il mondo sta a guardare e fatica a prendere posizione. La voce di Tahar Ben Jelloun si leva con lucidità per spiegare in modo semplice cosa è accaduto, cosa sta accadendo e cosa accadrà. “Cadono dei muri di Berlino”, dice l’autore, e niente dopo questi fatti sarà più come prima nel mondo arabo. Questi paesi stanno scoprendo, hanno scoperto e rivendicheranno d’ora in poi, il valore e l’autonomia dell’individuo in quanto cittadino. Dopo i best seller dedicati al razzismo e all’Islam, l’autore marocchino di nazionalità francese torna a prendere di petto l’attualità più bruciante con tesi che faranno molto discutere, per nulla tenere con l’Occidente. Quali sono le colpe dell’Europa e degli Usa? Davvero l’Europa e gli Usa vogliono l’autodeterminazione dei popoli arabi? Oppure fanno più comodo pseudo-dittatori che flirtano con la finanza mondiale e i governi occidentali? Il petrolio c’entra e in che misura? Molte domande, alcune risposte per cosa sta accadendo sull’altra sponda del Mediterraneo.
Tahar Ben Jelloun, nato a Fès (Marocco) nel 1944, vive a Parigi. Poeta, romanziere e giornalista,ha vinto il Premio Goncourt nel 1987. È noto in Italia per i suoi numerosi libri, tra cui Creatura di sabbia, 1987; L’amicizia, 1994; Corrotto, 1994; L’ultimo amore è sempre il primo?, 1995; Nadia, 1996; Il razzismo spiegato a mia figlia, 1998, giunto alla quarantottesima edizione (e ripubblicato nel 2010 in una nuova edizione accresciuta); L’estrema solitudine, 1999; L’albergo dei poveri, 1999; La scuola o la scarpa, 2000; Il libro del buio, 2001 (International IMPAC Dublin Literary Award 2004); L’Islam spiegato ai nostri figli, 2001 (ripubblicato nel 2010 in una nuova edizione accresciuta); Jenin, 2002; Amori stregati, 2003; L’ultimo amico, 2004; “La fatalità della bellezza”, in Amin Maalouf, Tahar Ben Jelloun, Hanif Kureishi, Notte senza fine, 2004; Non capisco il mondo arabo, 2006; Partire, 2007; L’uomo che amava troppo le donne, 2010.
Un ritratto intimo e coinvolgente dei Bonaparte, che scava nel rapporto conflittuale tra Napoleone e il suo amato fratello Lucien. Lucien era il più dotato dei due fratelli Bonaparte, e non solo ha aiutato Napoleone ad acquisire potere, ma aveva una sua personale - e promettente - carriera politica. Era un romantico, un idealista e un antimonarchico, ma il suo amore per Alexandrine, la donna che ha sposato, a dispetto delle obiezioni di Napoleone, l'ha portato a perdere la stima e l'appoggio del fratello. In questo libro, attingendo a un enorme serbatoio di documenti inediti, gli autori descrivono l'Imperatore Napoleone e la sua famiglia nei loro momenti più intimi e vulnerabili. Il rapporto turbolento tra Napoleone e suo fratello Lucien, di cui l'Imperatore diceva "di tutti i miei fratelli, lui era il più dotato, e quello che mi ha ferito di più", diventa il punto di partenza per illustrare non solo le sanguinose lotte per il potere, l'idealismo romantico e la corruzione che caratterizzano l'Europa del XIX secolo, ma anche l'ascesa e la caduta dell'Impero francese.
Un grande testimone del Novecento ripercorre cinquant'anni di vita culturale italiana. La rilettura intensa delle poesie del padre poeta Attilio, la collaborazione con il fratello Bernardo, gli incontri con grandi artisti e intellettuali: Zavattini, Soldati, Benigni, Fellini, Caproni e Pasolini. Ne emerge un racconto emozionato e lucido, in cui la memoria personale si intreccia con quella del paese, i miti della propria infanzia incontrano i miti di generazioni di italiani. Sempre con instancabile verve polemica: contro l'appiattimento sul presente e la mancanza di prospettiva storica cui la televisione e la cultura di massa ci hanno abituati a partire dagli anni ottanta.
Gli ultimi anni hanno visto il ritorno silenzioso dello spirito conservatore: non solo in politica, ma anche nella vita quotidiana gli uomini dell'Occidente sembrano dividersi in due categorie: i conservatori e quelli che si apprestano a diventarlo. Tutti cercano di conservare quello che hanno: la propria bellezza, il proprio corpo, la propria prestanza, il proprio status. Il tempo è il nemico per eccellenza ed è sempre più diffusa una passione nostalgica che ci fa idealizzare quel che apparteneva al passato, nel più sentito scetticismo per il futuro e spesso nella delusione per il presente. Non tutto è male, però, in questa tendenza conservativa, anzi: il passato è da sempre un bene prezioso e forse il '900 ci aveva fatto trascurare le nostre origini e la nostra storia.
Due amici: Alberto (Moravia), un ex bambino prodigio che fin da giovane ha dato un contributo fondamentale alla storia della letteratura europea, e il giovane narratore A. Insieme hanno scritto un libro a quattro mani in cui A. interroga Alberto sulla sua vita. Dopo questa esperienza le interviste sono diventate per A. un modo di vivere e di avere rapporti umani parallelo al suo lavoro di scrittore. Dopo l'inattesa scomparsa di Alberto, vissuta come un tradimento, A. incontrerà per caso Indro (Montanelli), maestro incontrastato del giornalismo che si pone per lui come un nuovo punto di riferimento assoluto. Sul confronto tra questi due grandi personaggi si gioca il destino psicologico e morale di A.
Cosa è davvero importante nella vita? Cosa rende le nostre esistenze realmente degne di essere vissute fino all'ultimo istante? Arno Geiger affronta queste domande in filigrana al racconto di suo padre August. Un padre che sta progressivamente perdendo i propri ricordi, e il cui orientamento nella vita quotidiana e negli affetti vacilla sempre più. Come se una luce si stesse spegnendo nella sua mente e, negli intervalli di buio, un genio maligno si divertisse a cambiare la disposizione degli oggetti nello spazio e delle persone nel tempo. "Qui tra noi c'è qualcosa che mi ha portato ad aprirmi al mondo. E per così dire il contrario di quello che dicono di solito della malattia di Alzheimer, e cioè che tronca i rapporti. A volte si stringono rapporti, annota Arno. La scoperta che suo padre August è affetto dall'Alzheimer è, infatti, l'occasione, l'ultima, per conoscerlo di nuovo, forse per la prima volta: senza schermi e infingimenti, con un amore mai avvertito prima così forte, acceso dalla percezione di un lento abbandono; è l'occasione per riscoprire dettagli sepolti dell'infanzia e della storia della propria famiglia, persino segreti, nascosti in un diario scritto e lasciato in una soffitta; è la possibilità di confrontarsi con i silenzi di un uomo e con le improvvise e fulminanti combinazioni di una mente che ha smesso di funzionare secondo i criteri correnti e che procede per conto proprio, per associazioni iperboliche ispirate da una logica tortuosa, labirintica...
Nel 1936 Dale Carnegie pubblicava "Come trattare gli altri e farseli amici", oggi la realtà è molto cambiata, le relazioni personali corrono alla velocità della rete e ogni giorno entriamo potenzialmente in contatto con migliaia di persone. Ma gli insegnamenti di Dale Carnegie continuano a essere attuali: i mezzi sono cambiati - comunichiamo con Facebook, Twitter, e-mail ed sms più che di persona - la chiave del successo rimane la capacità di ottenere la fiducia degli altri. In un'era dominata dalla promozione di se stessi, concentrarsi sui bisogni altrui può fare la differenza, e questo libro svela i segreti dei professionisti nella comunicazione on line. Con piccoli e semplici accorgimenti, ognuno di noi può imparare a lasciare una migliore impressione di sé, trasformando un'e-mail in un dialogo prolifico, scegliendo con cura gli argomenti per un post o sorprendendo l'interlocutore con un messaggio appropriato. Se è vero che l'era digitale ha trasformato la comunicazione in business, la sfida per la leadership si consuma oggi più che mai sul terreno dei rapporti personali. E quale successo non inizia con una relazione
Carlo Verdone si racconta per la prima volta in un flusso di ricordi ricco, sorprendente, tenero ed esilarante. Si parte dalla giovinezza e dal vissuto nella mitica casa paterna, grande protagonista del libro: l'incontro con Vittorio De Sica, il rapporto con i genitori e i fratelli, gli scherzi (tanti, fulminanti), le prime esperienze sentimentali ma anche i drammi famigliari. E poi il cinema: i primi passi al Centro Sperimentale sotto la guida di Roberto Rossellini, la genesi dei film, i retroscena, gli aneddoti più inediti e divertenti, il rapporto con gli attori. Quindi le amicizie che hanno segnato la sua vita: Sergio Leone, Federico Fellini e Massimo Troisi. E senza tralasciare il grande amore di Carlo per la musica: i primi concerti di Beatles e Who, gli incontri con David Bowie, David Gilmour e Led Zeppelin. Un libro per scoprire un "privato" inedito e i molteplici aspetti di un regista, attore, autore che ha ammaliato, divertito, fatto riflettere generazioni di italiani. Un artista che - attraverso la sua trentennale carriera - ha tracciato un formidabile, lucido, disincantato e talvolta spietato ritratto del nostro paese.
Efratia, la madre di Amos Gitai, nasce all'inizio del '900 ai piedi del Monte Carmelo ma presto lascia Israele, per andare a studiare in Europa, in Austria. Da lì, va in Germania, dove resta fino a quando i discorsi di Hitler non iniziano a spaventarla, facendola tornare in Israele. Nel frattempo sposa l'architetto Munio Weinraub-Gitai e ha due figli; un altro muore. Per reagire al dolore, dopo pochi anni decide di tornare in Europa per studiare psicologia. Amos, che ha 10 anni, viene spedito in un kibbutz. Nelle lettere che gli scrive, si rivolge a lui come fosse un adulto, parlandogli dei suoi problemi e chiedendogli il permesso di restare lontano. Nelle sue risposte, Amos le racconta la vita nel kibbutz e quanto lei gli manchi. Attraverso le lettere che Efratia scrive al figlio e al marito, il ritratto di una donna autonoma, ribelle, insofferente verso ogni forma di dipendenza - perfino la dipendenza dai suoi affetti più cari.
Come è possibile affermare il proprio punto di vista o la propria volontà in maniera efficace, senza offendere la suscettibilità altrui e senza creare situazioni di tensione o di aggressività? Essere sicuri di sé e avere le idee chiare non significa infatti essere prepotenti: al contrario, la capacità di affermare la propria opinione va di pari passo con la capacità di ascoltare le opinioni altrui e più in generale con la capacità di mantenersi curiosi, cioè aperti a nuove idee e nuovi punti di vista... In questo libro, Dale Carnegie offre consigli pratici, suggerimenti operativi, esercizi di verifica quotidiani, specificando i singoli passi di un percorso che conduce contemporaneamente al successo e alla serenità
Questo libro è stato scritto all'inizio degli anni '70 ma gli eventi e le opinioni di cui parla mantengono un interesse del tutto attuale. Il telegiornale, i discorsi dei politici, la sentenza Braibanti, i testi degli autori a proprie spese, il linguaggio pubblicitario, i miti ciclici persuasione di massa, il sottobosco della stampa devozionale, i feticci artistici, il Kitsch quotidiano, l'industria della cultura di destra, il fumetto fasciste), le follie del militarismo, l'ipocrisia moderata, lo squallore dell etica e dell'estetica piccolo-borghese, le illusioni degli intellettuali, la presenza della contestazione giovanile, la tolleranza repressiva, la repressione tollerante e le repressioni selvagge, l'Italia degli anni '60 nelle pieghe del suo costume quotidiano e nei richiami alle tare intemporali dell'Italia di sempre, questi e cento altri aspetti della nostra quotidianità vista in controluce costituiscono l'oggetto di quella curiosità scettica e dissacratoria con cui Umberto Eco ha condotto il suo discorso "militante" sulle colonne dell'Espresso, in particolare, e di altre riviste o giornali.

