
Agli inizi del XX secolo, Freud iniziò a esaminare le dinamiche familiari a partire dal complesso di Edipo. Sulla base di questa impostazione, molti terapeuti hanno continuato per decenni a leggere e interpretare le relazioni primarie, finché un impetuoso vento di cambiamento non ha scompaginato le carte in tavola. Rapidamente, si sono aperti scenari nuovi in cui gli schemi culturali precedenti non bastavano più. La famiglia di oggi, infatti, non è più quella che Freud aveva descritto. Nel cuore della famiglia allargata non c'è più un solo Edipo, ma molti, con diverse connotazioni, con «richieste» profonde che vanno a complicare il quadro iniziale. In queste pagine l'autore, alla luce della sua lunga esperienza clinica, affronta le grandi sfide che attendono i terapeuti e le madri, i padri, i bambini e gli adolescenti di oggi, cercando di indicare alcune possibili soluzioni non solo per «sopravvivere» a questo cambiamento epocale, ma anche per aspirare ad una nuova serenità. Che ne è dell'Edipo, disperso nel caos affettivo della famiglia allargata? Cosa fare e, soprattutto, cosa non fare?
Il filo conduttore del volume è il concetto di diaspora all'interno della quale i cristiani sono chiamati a vivere nella società laica e secolare. Non più la diaspora territoriale, ma la diaspora globale dello spazio pubblico che intacca il fondamento interno della fede religiosa, rende irrilevanti le supplenze che in passato assolvevano le Chiese, rende nudi i cristiani del loro fondamento. Per tali ragioni i cristiani alimentano altrove - quali le comunità diasporiche - la loro diversità evangelica. In questa visione di difesa della diaspora nello spazio pubblico secolare sta la difesa della diversità e durata del messaggio evangelico. In chiave esistenziale la diaspora è sempre una condizione di mezzo verso il futuro e per tale ragione è percepita come abitata da pericoli e da demoni. Come nei luoghi misteriosi dell'infanzia, ognuno pensa solo di uscirne, anziché di potervi soggiornare stabilmente. Potrebbe essere invece che la diaspora sia la condizione normale della vita, in cui si nasce, si vive e si muore. La diaspora però non più quale spazio territoriale, ma antropologico da comprendere e vivere. A questo servono le «strutture di plausibilità», dentro le quali il singolo credente trova conferma alla sua identità e vince la dissonanza cognitiva del mondo contrastante. Il libro è dedicato alle molteplici esperienze della diaspora territoriale, e ora antropologica, considerata quale risorsa e pericolo per i cristiani nello spazio pubblico laico che si organizza «come se Dio non ci fosse». In tale prospettiva la diaspora è un altro e nuovo spazio di sperimentazione, di trasformazione, di passaggio al futuro, di inclusione o di esclusione. Una vocazione perdurante alla diaspora. Nel racconto della storia la diaspora è stata un prototipo biblico. Nulla di nuovo per i primi cristiani descritti nella Lettera a Diogneto. La diaspora fu per loro la vocazione a vivere nel mondo, senza essere del mondo. «Questo libro mi lascia in cuore la sensazione di essere di fronte a un mare di possibilità. Non tanto un mondo che finisce, ma un mondo che nasce. È il tempo di sognare nuove forme di Chiesa per essere ancora capaci di esprimere la vitalità sempre sorprendente del Vangelo». (dalla Postfazione di Mons. Derio Olivero)
Il confronto con l’Altro permette a ciascuno di noi di sentire il vero «se stesso». Ogni essere umano è una mescolanza di insiemi, instabile quando cambia l’insieme di cui fa parte. Originalità e adattamento, convinzioni e confronto, assimilazione e scambio caratterizzano ognuno di noi.
Alla luce della sua lunga esperienza nel campo della psicoanalisi e della psicoterapia, in queste pagine Lino G. Grandi «dialoga» con il protagonista del pirandelliano Uno, nessuno, centomila, considerato come una sorta di prototipo di ogni essere umano che accetta di confrontarsi dialetticamente con l’Altro: un confronto che consente di uscire finalmente da se stessi e di accogliere la complessità della vita rinunciando alle proprie convinzioni egocentriche. Fra domande e tentativi di ricerca intorno ai grandi temi dell’esistenza, ne emerge una gamma di riflessioni sulla miseria e sulla nobiltà dell’uomo, declinate anche sul versante del potere, delle relazioni interpersonali e della ricerca di senso.
Giovanni Battista de La Salle ha contribuito, in maniera determinante, a dare risposte alla carenza di educazione «per i figli degli artigiani e dei poveri» in Francia, tra la fine del ‘600 e l’inizio del ’700, acquisendo un posto indiscusso nella storia dell’educazione cristiana. La persona e l’opera del de La Salle possono rappresentare anche per gli educatori di oggi, spesso demotivati e scoraggiati, un punto di riferimento dal quale ripartire per una risposta orientata cristianamente, di fronte all’allarme educativo che si leva da più parti nella società contemporanea. Di qui la proposta “Opzione” de La Salle rivolta agli insegnanti e ai genitori del nostro tempo.
San Giovanni Battista de La Salle, dichiarato Patrono speciale degli educatori cristiani da Papa Pio XII il 15 maggio 1950, rappresenta per gli educatori del nostro tempo un orientamento sicuro.
Il perdono racchiude molti significati e può essere guardato da varie prospettive. Questo libro si accosta ad esso col particolare sguardo della psicoanalisi che, oltre ad essere un metodo di cura, è anche un modo originale di pensare l’essere umano e la sua mente. Visto in questa ottica, il perdono di sé e dell’altro risulta figlio della comprensione, cioè di quello sguardo caldo e umano che non si accontenta di agguantare il colpevole per inchiodarlo alla sua colpa, ma va a scandagliare nelle pieghe della vita delle persone (compresa la nostra) per cogliere le ragioni profonde e spesso inconsce dei loro gesti. Perdonare non significa azzerare la responsabilità e la colpa per rendere tutti buoni e innocenti, ma semplicemente «umanizzare il colpevole», cioè vederlo nella sua dimensione umana restituendogli la sua storia, la sua malattia, i suoi traumi, chiunque esso sia, noi o gli altri.
Non ci si può imporre di perdonare perché «fa bene alla salute», perché «bisogna darci un taglio». Nell’ottica psicoanalitica il perdono, quando riesce, scaturisce spontaneamente come conclusione di un lungo e faticoso viaggio attraverso le parti più nascoste di sé e degli altri. Per questo è stato scritto che il perdono è «un dono dell’analisi».
Queste pagine rappresentano dunque un contributo a vivere la comprensione, la benevolenza e la misericordia nei confronti degli altri ma anche di noi stessi, perché anche noi abbiamo bisogno di perdonarci per il male che ci siamo procurati e per il dolore che abbiamo causato ad altri, magari inconsapevolmente.
Per più di quarant’anni ho raccolto nella stessa stanza di analisi le sofferenze delle vittime ma anche dei carnefici, tutti alla ricerca di aiuto per guarire le ferite subite e fare i conti con quelle inferte a creature innocenti e inermi, compreso a se stessi. Sarà a loro che spesso lascerò la parola durante il libro, ma soprattutto nella terza parte in cui troveranno posto i percorsi analitici di otto persone con cui ho condiviso per anni la sofferenza e la fatica.
Quando uscì nel 1997, Homo videns di Giovanni Sartori suscitò un ampio dibattito sull'onda delle preoccupazioni causate dalla nuova configurazione del sistema mediatico. La televisione aveva realizzato il suo processo di egemonizzazione del contesto comunicativo, mettendo in secondo piano o ai margini gli altri media. Si parlava di videocrazia, di un'invasività della presenza dell'immagine televisiva in grado di condizionare o addirittura cancellare ogni altra esperienza. La radicalità della tesi sartoriana ha suscitato consensi e critiche, ma ancora oggi, a oltre vent'anni di distanza, Homo videns offre spunti di riflessione sui principi a cui le tecniche e le pratiche giornalistiche si ispirano e sulle ricadute che producono sulla società. Da tempo, il grande strumento di comunicazione in grado di incidere sull'opinione pubblica non è più la televisione, ma la Rete. Le riflessioni di Sartori si possono tuttavia estendere ai media che l'hanno sostituita in quel ruolo egemone e pervasivo? Per verificarlo, le analisi esposte in Homo videns sono state qui sottoposte alla rilettura di prestigiosi giornalisti e intellettuali (Luciano Fontana, Peter Gomez, Giuseppe Laterza, Venanzio Postiglione, Barbara Stefanelli, Sergio Romano), che in queste pagine fanno luce sui rapporti tra media e società contemporanea.
Insulti, minacce, urla, mistificazioni: il linguaggio e gli scritti sono oggi dominati dalla superficialità e dalla prevaricazione, dai rapporti lavorativi a quelli familiari passando per la politica e la scuola. Dobbiamo riflettere sulla «grandezza della parola», perché torni a essere il cuore di comunicazioni vere, profonde, significative.
Molte volte pensiamo di sapere cosa significhi amare, ascoltare, comprendere noi stessi e l'altro e che il difetto stia semplicemente nella poca volontà di porre in atto quello che si conosce e si sa essere giusto. Invece, in molti casi, pur partendo con le migliori intenzioni, confezioniamo interventi, parole e atteggiamenti poco comunicativi se intendiamo la comunicazione come quell'arte fondamentale di saper tessere buone relazioni quotidiane. Questo testo vuole essere una guida lungo l'affascinante sentiero della comunicazione autentica. Come tutte le arti, infatti, la comunicazione richiede di imparare le "tecniche del mestiere", almeno per rendersi conto di quanto il proprio stile comunicativo sia effettivamente capace di generare relazioni autentiche. Prendendo avvio dalla presentazione delle regole generali che presiedono alla comunicazione umana e dei modi migliori perché questa possa avvenire, il percorso qui tracciato si inoltra poi, attraverso l'Analisi Transazionale, in noi stessi per sapere cosa succede nel momento in cui siamo impegnati a dialogare e a relazionarci con gli altri; si conclude, infine, trattando dell'autostima e dell'assertività, condizioni imprescindibili per la riuscita della comunicazione stessa. A tutti l'augurio di un entusiasmante viaggio per i sentieri meravigliosi, seppur a volte impervi, delle relazioni umane.
Questo non è un manuale, ma uno scritto composto da semplici riflessioni riferite a esperienze di vita reale, raccolte nell'attività di sportello d'ascolto in scuole dell'infanzia, primarie e secondarie e nell'attività clinica presso un centro di psicoterapia. Incontri fugaci ma sempre intensi e profondi, con genitori e insegnanti, qualche volta anche con bambini e adolescenti. Incontri che talora hanno fatto la differenza, trasformando quello che sembrava un groviglio complicato in un legame più saldo e sicuro. I quattro fili dell'educazione proposti in queste pagine vogliono aiutare chi sta svolgendo il difficile e meraviglioso compito di essere vicino a bambini e ragazzi in formazione. Sono fili colorati e distinti, che a volte si attorcigliano. Spesso ci può sembrare di perdere il bandolo della matassa, ma nel momento in cui riusciamo a ritrovarlo, scopriamo di essere genitori e insegnanti unici e insuperabili, proprio quelli che i nostri bambini e ragazzi ci chiedono di essere.
L'arrivo di un figlio è certamente uno degli eventi più forti e determinanti per la coppia. Il ruolo genitoriale, con nuove responsabilità e impegni, può metterne a dura prova l'equilibrio. Come tornare ad essere quelli che eravamo, come rientrare in possesso del nostro amore? È urgente fare i conti con questa nuova realtà, che ora ha un nome, un volto, bisogni ed esigenze da soddisfare. Le richieste dei figli, la necessità di uno spazio per la coppia, le aspettative, l'interferenza delle famiglie di origine e degli amici, il sonno rubato, sono solamente alcuni dei temi che gli autori propongono per favorire un momento di riflessione tra i due neo genitori. È il nuovo senso della nostra vita, e lo sarà per sempre. Dobbiamo riscoprire un altro modo di volerci bene, rinegoziare le nostre promesse, per assaggiare questo meraviglioso pezzetto di felicità.
Il viaggio è un tema universale: è ricerca, trasformazione e educazione all'incontro; è storia di un movimento dal noto verso l'ignoto e di un ritorno al noto con una consapevolezza nuova. Per le donne ha rappresentato un momento di ricostruzione del percorso accidentato e non lineare che le ha condotte all'emancipazione. Fra i testi delle 320 autrici presenti nel fondo librario «Gino Doria» della Biblioteca Nazionale di Napoli - dalle poetesse del '500 alle saggiste e romanziere degli anni '70 del Novecento - si trovano anche trentatré scritti di donne che documentano tour, soggiorni o brevi permanenze in Italia tra il XVIII ed il XX secolo. Provengono da tutta Europa e dall'America e usano diversi generi letterari e storiografici: lettere, diari e memorie, reportages e guide turistiche. Grazie al viaggio conoscono altre culture e affermano la propria libertà nel pensare e nel comportarsi; osservano, descrivono usi e costumi locali, ricostruiscono vicende storiche del loro tempo e affrontano questioni politiche. Qual è il rapporto tra storia e finzione nelle loro ricostruzioni? Esiste una specificità di genere del Gran Tour femminile? Il libro cerca una risposta a queste domande raccontando le loro vite, i loro viaggi, la loro epoca e i contesti in cui si sono imbattute.

