
Nato a Milano nel 1882, Alberto Pirelli (padre di Leopoldo e Giovanni) guidò l'azienda di famiglia dal 1904 fino al 1965, dedicandosi allo sviluppo in Italia e all'estero dell'industria della gomma e dei cavi elettrici, oltre che di industrie tessili e chimiche: più di mezzo secolo durante il quale la Pirelli divenne un importante gruppo internazionale con quasi cento stabilimenti nel mondo. Dal 1920 al 1922 rappresentò l'Italia nell'Ufficio Internazionale del Lavoro a Ginevra e successivamente nel Comitato Economico della Lega delle Nazioni. Dal 1919 al 1939 fu il negoziatore italiano in tutte le trattative ufficiose ed ufficiali che condussero ai successivi regolamenti del problema delle riparazioni di guerra da parte della Germania, dell'Austria e dell'Ungheria. Fu nominato Ministro Plenipotenziario nel 1924 e Ministro di Stato nel 1938. Complessi furono i rapporti all'interno della famiglia, in particolare col figlio Giovanni: un continuo confronto ideologico-politico tra un figlio eretico e di sinistra e un padre illuminista, convinto che "è alla costante evoluzione della vita sociale, non alle rivoluzioni, che si deve soprattutto il progresso".
Quello che stiamo vivendo passerà alla storia d'Italia come il ventennio berlusconiano. Dopo la rivoluzione di Mani pulite e il crollo della Prima repubblica, centrata sul predominio della Democrazia cristiana, è stato infatti Silvio Bertusconi a dominare la scena politica. Abile e spregiudicato, non ha solo saputo creare un partito in pochi mesi e vincere per tre volte le elezioni - dopo due sconfitte che parevano irrimediabili. Ha soprattutto logorato e svuotato i suoi avversari politici, che non sono stati in grado di contrapporre un modello alternativo al suo. In "Vent'anni con Berlusconi" Nicola Tranfaglia ricostruisce, con la precisione documentaria dello storico e un'accesa passione civica, una fase cruciale della vita politica del nostro paese. Oltre alle strategie vincenti del Cavaliere, discute l'azione dei suoi avversari, primo fra tutti la sinistra, sempre sospesa tra due aspirazioni che alla fine si sono rivelate inconciliabili: sostituire i vecchi partiti della Prima repubblica, superandone i vizi e gli errori, e insieme mantenere aperto il dialogo con il centro-destra. Oggi è ormai opportuno tracciare anche un bilancio: partendo dai problemi e dalle emergenze che l'Italia doveva affrontare fin dal 1993; esaminando il ruolo del nostro paese nello scacchiere internazionale e in un'economia prima forzatamente globalizzata e ora affossata dal Grande Crac; e infine valutando lo stato della nostra democrazia, ieri e oggi.
"Malgrado il perseguimento della repressione antimafiosa - che ha portato all'arresto di molti capomafia come, soltanto nel 2006, Bernardo Provenzano che dal 1993 aveva preso il posto di Salvatore Riina - non si può dire affatto che la situazione sia cambiata in senso positivo. Inoltre, basta ricordare che, a livello parlamentare, soltanto uno dei partiti della sinistra si è opposto, peraltro senza fortuna, all'inclusione nella nuova Commissione parlamentare antimafia di due deputati (gli onorevoli Vito e Pomicino) condannati in maniera definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione. Non c'è insomma a oggi, pur dopo la vittoria elettorale del centrosinistra, una sensibilità comune che ponga la legalità, e quindi la lotta alla mafia, al primo posto. Di qui la sensazione, diffusa nella pubblica opinione democratica, che la lotta alla mafia sia rimasta ancora in una condizione di stallo e di vera e propria impotenza. Eppure attraversiamo, senza dubbio alcuno, un momento decisivo per il futuro del nostro paese." (Nicola Tranfaglia).
Nel 2006 Michele ha diciassette anni e si trova incastrato tra banchi di un liceo di provincia. E inquieto, il mondo è là, fuori dalla finestra. Ed è un mondo da cambiare. Ecco che nasce l'idea: partire per l'Africa per un'esperienza di volontariato. E quell'idea lo porta, negli anni, a partecipare alla nascita di un metodo di lavoro e di cooperazione straordinario che si concretizza oggi, in alcuni villaggi della Tanzania, in due scuole materne, un ospedale, una piccola azienda. Li ha "creati" la rete solidale YouAid, un'associazione "liquida" di cui Michele è stato promotore. Questa storia non è solo un'avventura straordinaria lunga dieci anni, ma anche un metodo di aiuto applicabile da tutti a qualsiasi problema, anche quelli fuori dalla nostra porta. Età di lettura: da 12 anni.
8 gennaio 1994: Silvio Berlusconi, che da qualche mese ha deciso di invadere l'arena politica, irrompe nell'assemblea dei redattori del "Giornale". È il culmine del durissimo scontro con Indro Montanelli, che a quel punto è costretto ad abbandonare il quotidiano che egli stesso ha fondato vent'anni prima. Partendo da questo episodio, dai suoi retroscena, dai suoi risvolti e dalle sue conseguenze, Marco Travaglio ricostruisce il tormentato rapporto tra il grande giornalista e quello che fu per diversi anni il suo editore, attraversando così un periodo chiave della recente storia italiana cruciale soprattutto per i rapporti tra l'informazione e il potere politico-economico. Con la prefazione di Enzo Biagi e un nuovo saggio introduttivo dell'autore.
Da anni, con puntiglio quotidiano, Marco Travaglio ci racconta quello che succede in Italia, e quello che siamo diventati, e diventiamo giorno per giorno. In apparenza, documenta le beghe e gli scandali del Palazzo, ma in realtà parla sempre di noi: perché i nostri potenti, se non sono lo specchio del paese, in ogni caso possono fare tutto questo perché - in fondo - lo permettiamo. Le ruberie sfacciate e gli strilli da rissa, le bugie continue e clamorose, le bande, le cricche e le cosche, il disprezzo della legge e degli altri, infischiarsene della logica perché è più importante il tornaconto immediato, l'oltraggio alla povera gente e ai cittadini tutti: è questo il teatrino che Marco Travaglio si è assunto il compito di seguire e registrare. "BerlusMonti" raccoglie I corsivi di Marco Travaglio apparsi sul "Fatto" nell'ultimo anno e mezzo ed è un viaggio lucido e istruttivo nell'Italia di questi anni, quello del farsesco logoramento del potere berlusconiano e dell'apertura di un "nuovo corso" che forse è molto meno nuovo di quel che sembra.
Per capire l'Italia di questi anni, il lavoro di Marco Travaglio è indispensabile e prezioso. Travaglio osserva il nostro paese partendo da alcuni semplici postulati, che dovrebbero essere condivisi e messi in pratica da tutti. Per esempio, non dobbiamo dire una cosa e fare l'opposto. Se cambiamo idea da un giorno all'altro, è opportuno spiegare perché. Bisogna rispettare la legge e le sentenze dei giudici: chi commette reati dev'essere condannato e scontare la pena, possibilmente non in parlamento. La libertà d'opinione dev'essere salvaguardata e l'informazione dev'essere libera, affinché possa esistere un confronto democratico. Non dobbiamo dimenticare il nostro passato – e nemmeno il passato prossimo di chi ci governa.
Non è molto, dovrebbero essere principi ugualmente condivisi dalla destra e dalla sinistra, ma in questa Italia è fin troppo. Se qualcuno osa raccontare come queste semplici regole non vengono rispettate, viene immediatamente additato come un pericoloso sovversivo, espulso o maneggiato con enorme cautela da tutti i media. È sufficiente mettere in fila frasi e fatti, ed escono pagine esilaranti e tragiche sulla destra e sulla sinistra, sulla guerra per bande che sta devastando e depredando il paese. Basta avere il coraggio di dire quel che si pensa e si vede, un archivio efficiente, una penna affilata, insomma, quello che ha fatto di Marco Travaglio un testimone eccezionale e uno scrittore irresistibile.
«Si parte dal marzo del 2007: governava, traballando, Romano Prodi. Si arriva al settembre del 2008: sgoverna, anzi risgoverna Silvio Berlusconi. Qualcuno mi rimprovera di ricorrere troppo spesso a soprannomi, ma è una questione igienico-sanitaria: non ce la faccio più a chiamarlo col suo nome. Però ritengo che sia ancora utile occuparsene, descriverlo per quello che è…
Questa è soprattutto la storia tragicomica del suicidio politico, culturale, esistenziale, forse generazionale di una classe dirigente, quella che ora si fa chiamare Partito democratico e Sinistra Arcobaleno, o qualcosa del genere, e che ha riconsegnato per la terza volta il paese a una barzelletta ambulante. Una classe dirigente al cui confronto Fantozzi e Tafazzi sono due vincenti… ma che ha deciso – bontà sua – di autoconfermarsi al vertice dei rispettivi partiti, in vista di nuove, appassionanti disfatte.»
(Dalla Premessa di Marco Travaglio)
Per chi suona la banana racconta con graffiante puntiglio e feroce amore per la verità i dodici mesi finali dell’Unione Brancaleone e i primi sei del Berlusconi III. Con cadenza pressoché quotidiana, Travaglio registra fatti e dichiarazioni del teatrino politico-mediatico, richiama i suoi protagonisti alle loro dichiarazioni (dove troppo spesso latitano coerenza e logica), denuncia storture e stupidaggini. È la pratica di un giornalismo che ha come linee guida la libertà e l’indipendenza – e infatti gli strali colpiscono imparzialmente a destra e a sinistra. Si tratta in primo luogo di informare, dando spazio anche alle notizie che un’informazione addomesticata cerca di far sparire, riportando alla memoria il passato e creando nessi illuminanti tra fatti e frasi in apparenza distanti. Un giornalismo di questo genere assume così un compito di controllo e verifica nei confronti dei Palazzi, un ruolo fondamentale per il buon funzionamento di ogni democrazia.
Per chi suona la banana, come gli altri libri di Marco Travaglio, finisce dunque per portare alla luce alcune delle dinamiche profonde – e a volte desolanti – della recente storia patria. Solo da qui, tuttavia, solo acquisendo consapevolezza di difetti e storture, è possibile iniziare a cambiare, immaginare un paese e una politica diversi. Chi preferisce il pessimismo all’utopia può invece provare a ipotizzare, partendo da queste pagine, la prossima tappa del degrado.
Ma intanto questo paese e questa politica, così come li racconta Travaglio, sono spesso (purtroppo!) più divertenti delle gag di molti cabarettisti.
In copertina: Disegno di Vauro, 2008
"Che un miliardario con aereo privato, mass media privati, partito privato e cimitero privato pretenda anche una giustizia privata è perfettamente nella logica."
Michele Serra
Corrompere giudici e testimoni, falsificare bilanci, frodare il fisco. E non essere processati. Sedici anni di leggi prêt-à-porter (1994-2010) ad personam, ma anche ad personas, “ad aziendam”, “ad mafiam” e “ad castam” per pochi potenti illustri.
Dai decreti Conso e Biondi dopo Tangentopoli alla Bicamerale (“Il piano di rinascita democratica? Me lo stanno copiando con la bozza Boato”, esultava Licio Gelli). Per continuare con le leggi sul falso in bilancio, le rogatorie, le intercettazioni, con le norme pro Sofri e Dell’Utri, pro Sismi e Telecom, e con i condoni fiscali ed edilizi, con l’indulto del centrosinistra, con i lodi Schifani e Alfano, gli illegittimi impedimenti e il processo breve che fulmina gli scandali Mills, Cirio, Parmalat, Fiorani, Unipol, Calciopoli e le truffe della clinica Santa Rita. Tutti salvi.
Sedici anni per tornare a Tangentopoli e a Mafiopoli, cancellando Mani pulite e la Primavera di Palermo, e beatificando Craxi, corrotto e latitante.
Marco Travaglio, editorialista e cofondatore de “Il Fatto Quotidiano”, collaboratore
fisso di Annozero, ha scritto fra l’altro "Mani sporche" (con G. Barbacetto e P. Gomez), "Se li conosci li eviti" (con Gomez), "Italia Annozero" (con Vauro e B. Borromeo), "Bavaglio" e "Papi" (con P. Gomez e M. Lillo), tutti editi da Chiarelettere. Per Editori Riuniti ha pubblicato una nuova edizione de "L'odore dei soldi" (con E. Veltri). Di grande successo il suo tour teatrale con "Promemoria" (Libro e dvd, Promomusic). Da poco in libreria il dvd "Democrazya 2009" (Casaleggio Associati). Cura anche un blog, voglioscendere.it, con Gomez e Pino Corrias.

