
La quarta rivoluzione industriale è già qui. L'innovazione tecnologica e la velocità sempre maggiore con cui si verifica il cambiamento comportano una trasformazione radicale del nostro mondo conosciuto. Robotica avanzata, Intelligenza artificiale, big data, blockchain sono solo alcuni dei fattori che, combinati e integrati tra loro, stanno incidendo sulla sfera del lavoro, sulla società nel suo complesso, sulla vita quotidiana di ognuno di noi. Come reagire? Non certo, sostiene Marco Bentivogli, col catastrofismo dei tecnofobi, di chi predica che «le macchine» semplicemente cancelleranno occupazione e che l'innovazione debba essere fermata. Serve, al contrario, un cambio di paradigma, di prospettiva e di senso; è necessario «anticipare, pensare e progettare la trasformazione», fare in modo che il nuovo che nasce compensi e superi ciò che muore. È possibile, e dove si sono prese le giuste misure si è riusciti a portare crescita economica, benessere, e a far aumentare l'occupazione, migliorare la qualità del lavoro e la sostenibilità ambientale dei modelli produttivi. L'industria 4.0, di cui questo libro offre una guida pratica, è un'occasione che un Paese come l'Italia non può e non deve lasciarsi sfuggire. Occorre ripartire, e subito, da un approccio competente e positivo all'innovazione tecnologica, da un rilancio dell'istruzione scolastica e della formazione in ambiente di lavoro; da nuovi corpi intermedi, come il sindacato «smart», che sappiano guidare e orientare il mutamento in corso. Le forze politiche, in particolare quelle che si dichiarano progressiste, hanno il dovere di abbandonare il velleitarismo di chi vuole «fermare il progresso con le mani», di guarire dalla miopia e dall'afonia con cui partecipano al discorso pubblico, di parlare di futuro delle persone e non di paure. È l'unica strada percorribile per interrompere il degrado civile del Paese e sconfiggere le ricette populiste.
La storia della nascita dell'alpinismo è raccontata secondo uno schema che si ripete uguale da due secoli. All'origine ci sarebbe la grande scoperta razionalista delle Alpi quali laboratorio della natura: una rivoluzione che avrebbe schiuso all'uomo territori inesplorati che le rozze popolazioni alpine popolavano di superstizioni. La passione settecentesca per l'alta montagna avrebbe quindi aperto la strada alla conquista cittadina delle cime e all'invenzione dell'alpinismo. "Controstoria dell'alpinismo" rovescia questo modo di guardare alle Alpi e alla storia della frequentazione delle terre alte. Ricostruendo decine di salite compiute tra Sei e Ottocento da cacciatori, raccoglitori di cristalli, artigiani, garzoni di monasteri, notabili di villaggi e religiosi, il libro documenta come l'alpinismo trovi le sue radici nella cultura e nella società alpina e i suoi 'inventori' nelle popolazioni che hanno abitato le nostre Alpi. La storia dell'alpinismo ne risulta riscritta dalle basi e tutti i suoi eventi fondatori assumono così una luce completamente diversa. A partire dall'assalto con scale e pioli al Mont Aiguille nel 1492 o dalla salita di Petrarca al Ventoux che è servita come archetipo alla rimozione dei montanari dalla storia dell'alpinismo.
Argomento centrale di questo volume è il controtransfert, vale a dire l'insieme degli atteggiamenti e sentimenti, consci o inconsci, dell'analista riguardo al suo paziente. Secondo l'autore l'analista deve riconoscere con onestà e umiltà i pensieri, le fantasie e le emozioni, anche i più personali, che vengono suscitati in lui dal rapporto con un determinato paziente, come derivanti in massima parte dalla storia di vita del paziente stesso. Il volume prende in esame i diversi processi psicodinamici caratteristici dei pazienti borderline, schizoidi, narcisisti o gravemente nevrotici, e ripropone intuizioni teoriche dell'autore quali il concetto di simbiosi e l'immagine del "paziente come terapeuta del suo analista".
Nella vita di Antonio Colucci entrano un giorno, ospiti scomode e inattese, le pale eoliche. Nel suo mondo arcaico quelle pale si muovono senza un perché. Del resto è una ricchezza improvvisa e sconosciuta apparsa nel Sud dell'Italia, dove le pianure non danno da vivere. Ai sindaci il vento piace perché rappresenta una piccola pensione sociale collettiva. Pochi soldi, ma cash, ora che le casse sono vuote. E grazie a quegli industriali che fittano terreni (e coscienze) c'è una fatica in meno da fare: pensare, organizzarsi, cercare il partner, produrre in proprio. È troppo complicato, troppo impegnativo sviluppare un'economia locale fondata sull'energia sostenibile e rinnovabile. Meglio appaltare tutto in cambio di un obolo. Lo Stato ha semplicemente abdicato al suo dovere. Senza mai indicare, valutare, ammettere o respingere, proporre e magari mitigare l'impatto ambientale, dire no qualche volta alle pale. No, qui no. Lì invece sì. Senza cura per il bene di tutti, senza amore per il territorio. Lo Stato ha semplicemente chiuso gli occhi davanti al più grande scandalo di questo inizio secolo. Antonello Caporale, attraverso alcune storie esemplari, in cui si alternano duri toni di denuncia e accenti lirici, ci propone una ricostruzione lontana da ogni forzatura ideologica, dove le vicende dell'eolico finiscono per rivelare la malattia endemica dell'Italia e più ancora il destino a cui è condannato il Sud: bruciare la propria ricchezza senza nemmeno averla riconosciuta.
In filosofia il dialogo dovrebbe costituire una modalità privilegiata di indagine razionale, costringe i due interlocutori a fare i conti con obiezioni e critiche cui si è altrimenti tentati di sfuggire. Dia-logos, argomento contro argomento: nessuna diplomazia, il confronto razionale è semmai controversia, scontro, polemica (polemos, cioè guerra!). Questo fra Paolo Flores d'Arcais e Maurizio Ferraris è durato dieci anni, e affronta tutti i temi cruciali della filosofia, dal ruolo della scienza alla possibilità di fondare un'etica, dal rischio del nichilismo al rapporto tra ideologie e scienze umane, dalla "esplosione" della biologia darwiniana alla rivoluzione del web. Un confronto serrato, fatto di dieci lettere/saggi, che costringe il lettore a sottoporre a critica convinzioni consolidate, e diventare partecipe della controversia.
Lo psichiatra R. D. Laing per sei anni ha riportato in un diario le conversazioni con i suoi due figli. Queste si sono svolte a partire dal termine della prima infanzia, quando ancora i bimbi non possedevano un linguaggio completamente articolato. Secondo Laing dai bambini si possono apprendere, allo stesso tempo, nozioni sull'infanzia e sull'età adulta, ed è quasi certo che, come il contatto con gli adulti forma lo sviluppo dei bambini, così il rapporto inverso influisce sulla "crescita dei grandi". Con una prefazione di Stefano Mistura.
Da tempo sociologi, linguisti e psicologi ritengono che l'interazione verbale costituisca un campo di indagine privilegiato per studiare i rapporti tra individuo e mondo sociale: il volume intende fare il punto su questo insieme di ricerche, fornendo un'introduzione aggiornata. Nella prima parte vengono discusse diverse prospettive di analisi della conversazione, come l'etnometodologia, la sociologia dell'interazione, la teoria degli atti linguistici, la pragmatica interculturale. Si tratta di un testo a carattere introduttivo-manualistico, che si rivolge in particolare a studenti di corsi di comunicazione, psicologia, sociologia e linguistica.
Nel 1933 Osip Mandel'stam, poeta in disgrazia, «emigrato interno» in procinto di diventare carne da lager, «arde di Dante», e studia l'italiano servendosi della Divina Commedia. In Crimea durante la primavera scrive "Conversazione su Dante", ma quando tenta di pubblicarlo incontra una serie di rifiuti. Di certo il saggio non ha nulla a che vedere con il realismo socialista, né corrisponde al canone degli studi danteschi. Affrancando il «sommo poeta» italiano da secoli di retorica scolastica, Mandel'stam ragiona su ciò che presiede alla nascita della sua poesia: in primo luogo, la metamorfosi. Tutto, nella Commedia, è in movimento, e per il vero lettore, «esecutore creativo», leggere Dante significa rifiutarsi di restare incatenati a un presente che a sua volta è saldamente ancorato al passato: «Pronunciando la parola "sole" compiamo un lunghissimo viaggio al quale siamo talmente abituati che ormai viaggiamo dormendo. La poesia... ci sveglia di soprassalto a metà parola - parola che ci sembra molto più lunga di quanto credessimo -, e in quel momento ricordiamo che parlare è sempre essere in cammino». Unico poiché sembra comprendere tutti i linguaggi, quello di Dante evoca il mondo con irripetibile potenza, e la Conversazione di Mandel'stam, tripudio di luminose intuizioni, costrutti arditi e metafore inusitate (biologiche, musicali, meteorologiche, tessili), in una prosa continuamente attraversata da squarci di poesia, scorge e mette in luce i tratti più moderni, addirittura sperimentali, del suo poetare.
Allo scandaglio del testo della Divina Commedia e della figura poetica di Dante si uniscono le riflessioni sulla poesia, la scrittura, la fruizione e l'interpretazione. Stile e tono di questa "conversazione" sono lontani da quelli della lezione accademica o della monografia seriosa; si tratta piuttosto, come afferma Mandel'stam stesso "di immaginare un dotto giardiniere che accompagni gli ospiti per la sua tenuta e dia loro spiegazioni sostando tra le aiuole, oppure uno zoologo dilettante che accolga vecchi amici nel suo allevamento". La nuova traduzione di questo saggio del 1933 è condotta sul testo definitivo, pubblicato a Mosca nel 1990.
In questo saggio Neale Donald Walsch instaura un dialogo apparentemente impossibile fra Dio e l'uomo, un "incontro" toccante, sincero e venato di un sottile umorismo, che non elude i temi cruciali su cui né la ragione né la fede hanno ancora dato una risposta definitiva. Chi siamo? Esiste un aldilà? Perché c'è il dolore? Un libro per tutti coloro che si sono impegnati nella ricerca della verità con cuore sincero, spinti da un anelito dell'anima e con una mentalità aperta; un libro che potrebbe essere definito "l'ultima parola di Dio sulle cose".