
Le centurie di Nostradamus, quartine in rima, sono raccolte in un’opera intitolata Centuries et prophéties, datata 1555. Sono in tutto dieci centurie contenenti cento quartine, a eccezione della settima che ne contiene ottantatré. In questo libro l’autrice fornisce un’interpretazione della prima centuria e di una parte della seconda.
A differenza delle centinaia di pubblicazioni già presenti, questo libro è decodificato in modo consequenziale, una quartina dopo l'altra. Non si tratta infatti di dare un significato alle quartine, come sino ad ora è stato fatto, ma sono le quartine che seguono il libro di storia. Perché quello che per Nostradamus era il futuro, per noi ora è in buona parte storia passata e contemporanea, fino all’attuale pandemia e alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Il sondaggio registra quel che la gente pensa quando non pensa", sostiene Fishkin, noto politologo americano, ed è necessario invertire questa tendenza. Per questo Fishkin ha elaborato il metodo del "deliberative polling" (sondaggio deliberativo) che consente di ottenere opinioni più ponderate. L'idea di Fishkin, sostiene Giuliano Amato che firma l'introduzione, è quella di "compiere il passaggio da un'opinione grezza ad una informata e consapevole" dato che fino ad oggi i sondaggi sono stati una "raccolta di pareri fatta su un'informazione inesistente".
I manifesto di fondazione del futurismo, pubblicato su "Le Figaro" il 20 febbraio 1909 (quest'anno ne ricorre il centenario), si concludeva con le parole: "La nostra sfida alle stelle". Quel grido vitalistico incarna bene l'entusiasmo tragico del futurismo per la modernità, percepita come un'epoca di lotta e di espansione della potenza dell'uomo, lanciato alla "conquista del divino". Movimento prevalentemente artistico, il futurismo aveva l'ambizione di realizzare una rivoluzione totale che investisse ogni aspetto della vita dall'arte al costume - per creare l'italiano nuovo e, diversamente da altre avanguardie del primo Novecento, ebbe da subito una vocazione politica decisamente orientata in senso nazionalista. I futuristi esaltavano la violenza e la "guerra come igiene del mondo"; furono accesamente interventisti; nel 1918 fondarono un partito e un anno più tardi, con Mussolini, diedero vita ai Fasci di combattimento; parteciparono con D'Annunzio all'avventura di Fiume; simpatizzarono per il bolscevismo; si proponevano di abbattere la monarchia e scacciare il papa dall'Italia.
"ASSISTIAMO A UN RITORNO DELLA CORTINA DI FERRO QUALE SIMBOLO DEL CONFLITTO TRA EST E OVEST, SOLO CHE ORA E' PIU A EST. IL MONDO EUROPEO - GIA' DIVISO E SPACCATO DAL COVID-19, CHE HA RIATTUALIZZATO I CONFINI EUROPEI DA TEMPO DIMENTICATI - SI TROVA DI NUOVO IN UNA SITUAZIONE DI TENSIONE TRA EST E OVEST PER LA QUALE NON E PREPARATO.
L'invasione russa dell'Ucraina è soltanto il risultato di una decisione irrazionale e imprevedibile di Putin, o non è piuttosto l’effetto a distanza di un'eredita autoritaria che non ha mai smesso di influire sulla storia degli Stati post-sovietici? Sergej Lebedev cerca di dare una risposta analitica e storicamente consapevole a queste domande oggi inaggirabili, sottolineando come in Russia "l’apparato simbolico sovietico stia vivendo una rinascita postmoderna" che vede la sacralizzazione del passato militarista e la criminalizzazione del dissenso. La nostalgia per una mai esistita età dell’oro e lo spettro di un futuro che ha in sé "il germe della decomposizione, la malattia del liberalismo, il virus dei diritti umani" Sono dunque le armi che il regime autoritario di Putin si accinge a usare per ricostruire i fasti di un'Unione Sovietica che non è davvero scomparsa.
Sergej Lebedev
(Mosca, 1981)
Giornalista, geologo e scrittore, i suoi libri sono tradotti in oltre 20 lingue. "Il confine dell'oblio" (Keller, 2018), che gli ha aperto le porte del successo internazionale, è il suo primo romanzo tradotto in italiano, seguito da "Gente d'agosto" (Keller, 2022). Il New York Review of Books l'ha definito "il miglior scrittore russo dell’ultima generazione".
Aperto oppositore della politica di Putin, vive in Germania.
Se gli anni Ottanta e Novanta hanno significato enormi cambiamenti nell'Europa centrale e orientale, hanno allo stesso tempo stimolato speranze di un futuro migliore per le nazioni coinvolte nei processi di democratizzazione. Dalla prospettiva del giorno d'oggi, è evidente che questi processi sono ancora in pieno svolgimento. Prova ne sia la diffusa nostalgia per il passato recente, che getta ombre sulla realtà politica e sulle attuali condizioni sociali ed economiche. A questa si va ad aggiungere il rimpianto per i vecchi tempi: il passato è divenuto oggetto di disputa, ma sempre più anche di nostalgia. Questa antologia mostra le diverse facce di questo fenomeno, che negli ultimi anni ha coinvolto la sfera politica, sociale, culturale e artistica.
Gli snodi tematici del diritto e della politica, assi portanti della riflessione e della pratica di Bobbio, nei saggi di sei studiosi di prestigio.
In questa autobiografia - scritta nel 1993, quando sciolse la DC e fondò il nuovo Partito Popolare - Mino Martinazzoli, uno dei protagonisti della storia italiana degli ultimi decenni, si racconta con la sobrietà che ne ha sempre caratterizzato lo stile. Il romanzo di formazione, intimo e non svelato, si intreccia con la riflessione "inattuale" sulle ragioni possibili della politica, che «se vuol pretendere di governare con giustizia, equilibrio ed efficienza, deve fare i conti con i propri limiti, con la propria modestia: deve evitare il troppo di politica».
La democrazia che abbiamo ricevuto dai nostri padri, e che a molti sembrava una forma definitiva e perfetta, è in sofferenza. Nell'intero Occidente, ma soprattutto in Italia, sono in crisi gli elementi essenziali del suo funzionamento: i partiti, le assemblee elettive, l'idea stessa della rappresentanza. La paura dell'ignoto e un malinteso senso del politicamente corretto ci impediscono di riconoscere che tutti i sistemi politici sono storicamente determinati, e che nessuno di essi - nemmeno il più fortunato può essere considerato come la fine della storia. La democrazia rappresentativa, nel modello che abbiamo conosciuto finora, è figlia delle rivoluzioni politiche ed economiche del Settecento e porta scritto sulla fronte le sue origini. Rispetto ad allora, oggi tutto è cambiato: socialità, lavoro, tecnologie, informazione. È difficile immaginare che questa grande trasformazione non si rifletta sulle istituzioni della politica, anche le più essenziali. È venuto perciò il momento di ripensare a fondo il rapporto cruciale fra popolo e sovranità, da cui dipende il nostro futuro. Nessuno ha la ricetta pronta, ma questo libro invita a riflettere con coraggio, a percorrere vie inesplorate, aperte su un modo nuovo di concepire la cittadinanza e su un uso diverso del suffragio universale, reso possibile dalla tecnica: non solo per delegare, ma per decidere.
«Al dibattito odierno a noi sembra mancare il filo, la trama, il contesto che legano il passato all'avvenire. Soprattutto quando si riforma, bisogna trasmettere lo spirito della Costituzione». Dopo un lungo silenzio, le riforme costituzionali sono tornate sulla scena della politica. Accade perché è un dibattito ineludibile, cominciato subito dopo la Costituente. Questa volta, però, il contesto è inedito, sia sul piano interno che internazionale. Data la delicatezza del momento, gli autori si collocano volutamente al di fuori dallo scontro ideologico e cercano di fornire le basi fondamentali a una discussione che deve essere ben posta: attenta ai bisogni di riforma che emergono dai mutamenti in atto, ma senza mai trascurare la perdurante vitalità della nostra Carta e la sua ispirazione originaria.
Negoziare con i terroristi è eticamente sbagliato. Ma non tutto ciò che è eticamente giusto è politicamente efficace. Già a partire dai primi attentati anarchici alla fine dell'Ottocento, gli Stati di tutto il mondo si sono trovati ad affrontare la questione, scegliendo in genere la linea della fermezza. Eppure, a ogni nuova ondata terroristica, l'interrogativo riappare, oltre le frontiere e gli steccati ideologici. C'è chi - come Israele - respinge ogni ipotesi di negoziato; chi - come l'Italia - in molti casi ha scelto di trattare (è il caso del dialogo con i terroristi mediorientali e del sequestro Cirillo) e si è rifiutato di farlo in altri (i rapimenti di Aldo Moro e del generale Dozier). E chi - come gli USA - in pubblico si è sempre mantenuto fedele alla linea dettata da Reagan, secondo la quale si nega ogni possibile concessione ai terroristi, salvo poi aprire trattative riservate. Insomma, al di là delle rituali dichiarazioni di condanna, le risposte sono state le più diverse. In realtà, con i terroristi si tratta e anche piuttosto spesso. Dal terrorismo anarchico fino a Gaza, questo libro spiega come e, soprattutto, perché.
Nel marzo 2013, Michela Marzano entra per la prima volta alla Camera in qualità di deputata. Non ha mai fatto politica, non conosce nessuno: è una filosofa chiamata dal Partito Democratico con l'intenzione di portare in Parlamento una persona con competenze specifiche. Pensa alla responsabilità che tutti i neoeletti si sono assunti davanti al Paese di essere integri, onesti, decorosi. Pensa ai problemi dell'Italia, alla crisi economica, alle diseguaglianze sociali, alla mancanza di diritti per le minoranze. Pensa a tutto quello che vorrebbe e dovrebbe fare, a tutto quello per cui vorrebbe e potrebbe battersi, a tutto quello che non accetterebbe. Le bastano poche settimane per cominciare a respirare tutto il malessere della politica. Con crescente smarrimento, capisce che alla Camera i princìpi e le idee valgono poco. In politica contano soprattutto i voti che ti porti dietro, le appartenenze e le conoscenze. E poi sono troppi i cortigiani; troppi gli arroganti e gli ambiziosi pronti a dimenticare velocemente le ragioni per le quali all'inizio avevano deciso di impegnarsi. A Michela Marzano non interessano lamentele e disfattismi. Di libri sulla delusione di chi sbarca per la prima volta in politica ce ne sono già tanti. Il suo è diverso: è, al tempo stesso, una testimonianza e un saggio filosofico, un atto di resistenza e un ritratto della politica italiana contemporanea... Con e-book scaricabile fino al 30-06-2015.
«Il ritorno del frastuono osceno delle bombe così vicino a noi, nell'Ucraina aggredita, la guerra riesplosa in Medio Oriente, insieme con i tanti conflitti dimenticati nel mondo, sono motivo di grande preoccupazione, di un'angoscia che, per chi porta ancora nel corpo e nell'anima gli incubi del secolo scorso, è forse ancora più acuta». La senatrice a vita Liliana Segre, dopo un trentennio speso a testimoniare ciò che è stato, consegnando ai giovani un messaggio di pace, non può che soffrire per quanto accade oggi nel mondo. Eppure, così come ha scelto finora di impegnarsi e di non tacere, nonostante dal 2019 viva sotto scorta, continua anche oggi, in questo momento così delicato, a riflettere sul presente e a raccontare il passato. Perché dagli errori di ieri si possa imparare, scongiurando nuovi rischi. Nell'intervista inedita che apre questo libro, parla della sorte di israeliani e palestinesi, esprime sconforto per le vittime innocenti dell'una e dell'altra parte, confessa di sperare ancora nella soluzione «due popoli, due Stati». E non mancano i timori per il destino dell'Ucraina, così come per le tensioni autoritarie e gli altri conflitti che attraversano il mondo. Completa il volume una scelta delle rubriche, degli interventi e dei discorsi pubblici più significativi. Ciò che ne nasce, a ottant'anni dalla fine del Secondo conflitto mondiale e dalla liberazione di Liliana Segre dai lager nazisti, è una riflessione di altissimo profilo su guerra, pace e democrazia. Ma anche un accorato appello a lasciare ai bambini di oggi un mondo migliore, pacificato, contro ogni spirito di vendetta.

