
Mi chiamo Stella, ho 22 anni e sono disabile dalla nascita per problemi alle gambe. Due anni fa in corso all’ennesimo ricovero in ospedale, il più lungo da quando sono nata, ho conosciuto un ambiente nuovo e alcune persone che mi hanno iniziato ad un percorso di crescita e sviluppo interiore ancora in corso.
In quel momento è nato in me un bisogno irresistibile di dare una forma ai miei sentimenti, a quello che stavo vivendo. Da qui crebbe in me la passione per la poesia, con la speranza di toccare i cuori non solamente delle persone che mi sono state accanto durante l’elaborazione dei versi e di me stessa, ma le anime di chiunque abbia una mente aperta e un cuore pronto a ricevere le emozioni più diverse e profonde per sentirle dentro e riempirsene.
Non siamo esseri umani in cerca di un'esperienza spirituale ma esseri spirituali in cerca di un'esperienza umana. A partire da questa convinzione Pippo Franco rilegge la sua avventura esistenziale e artistica in una chiave originale, capace di andare al di là dei semplici avvenimenti autobiografici l'infanzia, le prime esperienze professionali, il successo in teatro e in televisione - e di approdare attraverso la filigrana della fede oltre i confini della vita. A guidare questo percorso è la presenza dello Spirito, una forza che sostiene e trasforma la vita quotidiana con doni speciali che definiscono la missione terrena di ogni persona. Avvenimenti eclatanti, coincidenze, miracoli, incontri sono gli ingredienti dell'esperienza di un uomo e di un artista che non si è lasciato intimidire dal soprannaturale, ma ha deciso di indagarlo, scoprendo come sia possibile entrare in contatto con quelle voci e quelle presenze che in maniera misteriosa e coinvolgente ci parlano dell'aldilà. Sono voci che suggeriscono una speranza: la morte non è l'ultima parola, ma una porta che si apre sull'infinito.
Apparso sin dagli esordi come un innovatore assoluto al pubblico abituato alla tradizione operistica italiana del direttore nascosto nel buio della fossa orchestrale, misuratosi tanto col melodramma che col repertorio sinfonico, Muti accompagna il lettore in un itinerario entusiasmante fra conservatori, sale di prove e teatri, sul palco e fra le quinte, offrendo episodi noti e inediti con protagonisti straordinari della musica degli ultimi cinquant'anni: da von Karajan a Sviatoslav Richter, da Carlos Kleiber a Placido Domingo. Al tempo stesso il maestro si sofferma sulla musica amata e vissuta, rivela le sue predilezioni e i dilemmi che ha dovuto affrontare, si interroga sul ruolo del direttore: semplice guida per i professori d'orchestra o vero regista del melodramma? Così questo libro non solo regala ai tanti fan la storia di uno dei più amati direttori d'orchestra del mondo, ma svela il segreto di uno stile interpretativo di inaudita espressività. Uno stile che ha mutato nel grande pubblico la percezione della musica. Arricchisce il volume un inserto di fotografie inedite tirate fuori dai cassetti di casa Muti.
"L'unica donna di genio che abbia mai incontrato" affermò, perentoria, Coco Chanel (la quale volle occuparsi personalmente della sua toilette mortuaria). Del resto, era stata proprio Misia a intuire nella taciturna modista di provincia un diamante allo stato grezzo - giacché era appunto questo il suo grande talento: fiutare il talento negli altri. Fu così che la "bella pantera imperiosa e sanguinaria" (Eugène Morand), con il suo "viso dolce e crudele di gatta rosa" (Jean Cocteau), accompagnò e protesse (per poi, a volte, disfarsene con noncuranza) pittori, musicisti, scenografi, ballerini e coreografi negli anni leggendari dell'avanguardia parigina, quando le scoperte dell'arte erano anche eventi mondani e gli eventi mondani lanciavano un nuovo stile di vita. Di quell'epoca Misia fu l'incontrastata sovrana: Mallarmé le dedicò un ventaglio, Renoir la pregava di scoprire un po' il seno mentre la dipingeva (ma lei si fece ritrarre nuda solo da Bonnard: per ripicca nei confronti del secondo marito che la tradiva con una giovane attrice), Diaghilev (da lei definito "domatore e mago") ricorreva tempestosamente al suo aiuto, Proust rispondeva ai suoi rimproveri, e Ravel le dedicò "Le Cygne" e "La Valse". Come ha scritto Mario Praz, per lei la vita "era essenzialmente libertà, eterno fluire, divino imprevisto". Queste memorie sono il romanzo di un'esistenza cosmopolita, piena di amori e di furori, e l'evocazione di un'epoca che ha acquistato i tratti del favoloso. Saggio di Claude Arnaud.
Pochi scrittori possono vantare la popolarità e il fascino durevole di Tolkien. I suoi romanzi hanno venduto fino ad oggi oltre 160 milioni di copie, e a loro si deve tanto l'origine quanto la fortuna di un intero genere narrativo, la fantasy eroica. In questo volume Michael White ci conduce alle radici dell'immaginario di Tolkien: l'infanzia tra Sudafrica e Inghilterra, la prematura scomparsa dei genitori, la carriera accademica a Oxford, l'amore per Edith Bratt e l'amicizia con C. S. Lewis.
E' il libro del Premio Carlo Porta 2012 (48° edizione) che tradizionalmente si svolge in novembre ed è, come i precedenti volumi di Giovanna Ferrante, un compagno di viaggio tra le vie della Milano dell'800, con i suoi personaggi, le avventure, gli amori, i sogni da realizzare.
Giuseppe Bottai fu tra i pochi leader fascisti ad avere un lucido ed organico progetto politico e a ritenere che tale progetto potesse realizzarsi soltanto dotando il fascismo di un ampio e denso apparato culturale. Il ''cantiere'' di cui in questo volume si parla e' l'Ateneo pisano, che dal 1928 divenne la sede di uno dei piu' interessanti esperimenti della rivoluzione totalitaria propugnata da Bottai: cambiare i canoni dell'economia e della politica tradizionali per realizzare il corporativismo, inteso come dottrina originale in grado di modificare radicalmente la societa' italiana.
Nell'Iran degli ayatollah che hanno vietato la musica, un bambino di sei anni sogna di passeggiare felice nell'orangerie di un castello tedesco in compagnia di Johann Sebastian Bach. A sentirglielo ricordare, chiunque direbbe che è un predestinato. E in effetti, quel bambino oggi ha trentasei anni, ha studiato al conservatorio in Italia, vive in Germania e si chiama Ramin Bahrami. È cioè uno dei più talentuosi pianisti sulla scena internazionale e tra i maggiori interpreti contemporanei di Bach: le sue incisioni discografiche, dall'"Arte della fuga" alle "Variazioni Goldberg", hanno sorprendentemente scalato le classifiche mondiali dei dischi più venduti. In questo libro Bahrami per la prima volta si racconta e i suoi ricordi fluiscono sciolti, a partire dall'infanzia, prima dorata e poi drammaticamente segnata dalle vicissitudini famigliari legate alla salita al potere di Khomeini e alla guerra Iran-Iraq. In un paese in fiamme, Ramin bambino assiste sgomento all'arresto del padre, e trema sotto le bombe e i razzi che cadono su Teheran. Ma ha un suo modo pervincere la paura che gli attanaglia l'anima: suona. E suona Bach. Scopre così che quella musica rappresenta per lui un'ancora di salvezza, uno scudo contro la follia e l'orrore che lo circondano. Poi un giorno ascolta Glenn Gould eseguire la Toccata della Sesta partita in mi minore del suo idolo. È una folgorazione, che farà nascere in lui la volontà di dedicarsi anima e corpo alla musica di Bach.
"... il lettore potrà domandarsi quanto c'è di vero. L'epoca di Costantino è curiosamente oscura. La maggior parte delle date e dei fatti che le enciclopedie danno per sicuri, a una verifica attenta si rivelano inconsistenti. La vita di sant'Elena comincia e finisce tra congetture e leggende. Possiamo dare per certo che ebbe da Costanzo Cloro il figlio Costantino; che costui la proclamò imperatrice; che si trovava a Roma nel 326, quando Crispo, Liciniano e Fausta vennero assassinati; che poco dopo andò a Gerusalemme ed ebbe parte nella costruzione delle chiese a Betlemme e sul Monte degli Olivi." (Evelyn Waugh, "Elena. La madre dell'imperatore", 1950)
Questo libro è il percorso di una vita. Nato da un profondo rispetto della natura, del suo equilibrio e della sua grazia, rievoca grandi avvenimenti della Storia e piccole vicende personali, in un flusso scandito dall'alternarsi delle stagioni. Nella memoria dell'autore ogni cosa ha lo stesso spazio, la stessa dignità; ogni frammento trova la giusta collocazione all'interno di un quadro che Rigoni Stern, "uomo di montagna", dipinge dei colori più vivi. Accanto alla campagna di Russia e alla drammatica esperienza del Lager riemergono così episodi apparentemente marginali, che tuttavia danno il senso di una vita: dai suoi giochi di ragazzo alle prime battute di caccia, da una visita alla Reggia di Versailles al "bel gallo" regalato all'amico Vittorini, che però, a mangiarlo, si rivela "selvatico e coriaceo"... E poi ancora antichi riti e vecchie tradizioni, uomini e affetti di altre epoche, alberi e animali destinati ad annunciare il nuovo clima e la nuova stagione, luoghi e paesaggi forse dimenticati ma sempre carichi di storia e di ricordi: su tutto lo sguardo, a volte divertito a volte malinconico, dell'autore, testimone del suo tempo e di un passato che continua a riaffiorare.
"Sono un disordinato assolutamente refrattario al lavoro di team e animato da uno spirito d'indipendenza che spesso sconfina nella riottosità: non conosco remore di cautela e di diplomazia; non credo che riuscirei a imporre la disciplina per il semplice motivo che non l'ho mai rispettata io stesso." Così scriveva Indro Montanelli in una lettera del 1967, pochi anni prima di fondare "il Giornale". Per tutta la vita il grande giornalista ha tenuto una fitta corrispondenza, pubblica e privata, con i protagonisti della politica, della cultura e del giornalismo, da Andreotti a Cossiga, a Nenni e Pertini, da Buzzati a Prezzolini, a Longanesi e Guareschi, ma anche con la prima moglie, gli amici, i familiari. Dalla lettera al suo professore di liceo, in cui un Montanelli ventenne rivela le sue aspirazioni di giornalista, a quelle inviate ai genitori dal fronte africano nel 1935 e dal carcere nel 1944. E naturalmente i lunghi anni al "Corriere", quelli al "Giornale" fino allo scontro con Berlusconi. Questi testi inediti ci rivelano il lato più intimo di Montanelli, ricostruendone l'intera parabola esistenziale attraverso la sua viva voce. Il risultato è un'autobiografia postuma che completa le note dei suoi diari, offrendo ai lettori il ritratto di un uomo che a novant'anni dichiara "So di avere scritto sull'acqua. Ma ciò non mi ha impedito di continuare a scrivere, impegnandomi tutto in quello che scrivo".
"Sono nata sotto il segno felice del disordine." È l'incipit di una vita, quella di Miriam Mafai, che avrebbe conosciuto molti colpi di scena, in decenni tormentati della storia europea: le persecuzioni razziali, la guerra mondiale, la Resistenza, la parabola grandiosa e tragica del comunismo fino allo sgretolarsi di quella potente illusione. Miriam era nata in una famiglia di artisti: pittore il padre. Mario Mafai, pittrice e scultrice la madre, Antonietta Raphaël, ebrea fuggita dai pogrom della Lituania e giunta in Italia dall'Inghilterra. Visse gli anni terribili dei bombardamenti a Genova e dell'occupazione nazista a Roma, durante la quale assieme alla sorella distribuiva clandestinamente "l'Unità". Nel dopoguerra la passione fortissima prima civile e solo in un secondo tempo politica che ispirò molti della sua generazione la portò a proseguire la militanza come funzionaria del Pci in Abruzzo e assessore comunale a Pescara. Poi gli eventi del 1956, le rivelazioni del XX Congresso del Pcus, l'invasione dell'Ungheria, e il suo trasferimento a Parigi, per cominciare una nuova pagina della sua esistenza. Purtroppo, questo appassionante racconto di una donna e di un secolo si interrompe qui. L'autobiografia che per anni Miriam si era rifiutata di scrivere, e a cui aveva messo mano solo negli ultimi tempi, con impegno crescente e incalzata dalla malattia, non sarà mai terminata. La morte le ha impedito di narrarci la sua seconda vita, quella da giornalista.