
Le parole di Mattei hanno sempre mantenuto una dimensione che superava l'individuo, riuscendo a coinvolgere un pubblico molto ampio e diversificato composto da dipendenti d'azienda, giornalisti, autorità politiche, operatori economici e comunità locali. Con i suoi discorsi, Mattei riusciva a trasmettere il punto di vista dell'impresa e a mobilitare il sostegno di tutte le forze indispensabili al successo. Questo volume riunisce oltre 200 discorsi, molti inediti, molti apparsi sulla pubblicistica dell'epoca, grazie al contributo dell'archivio storico Eni. Dalle parole di capo partigiano a quelle pronunciate nei giorni successivi alla tormentata fine della guerra civile in Italia, quando si rifiutò di liquidare le attività dell'Agip per garantire al Paese un'impresa energetica nazionale, questa raccolta svela la complessità di un uomo capace di vivere con la stessa passione la politica e il mondo dell'industria. Come dirigente d'azienda, Mattei ha compiuto scelte diverse da quelle di quasi tutti i suoi contemporanei, trasformandosi nel simbolo di un modo nuovo di pensare l'Italia, ancora oggi attualissimo per la capacità di visione strategica e per la volontà permanente di innovazione. Prefazione di Paolo Mieli.
Negli Stati Uniti, patria del management, è celebrato come un innovatore alla maniera di Steve Jobs. In Italia, da cui è partito adolescente per tornare a capo dell'industria più rappresentativa del Paese, è un personaggio discusso al centro di alcune delle questioni politiche ed economiche più calde: un mito per alcuni, un provocatore per altri. Tra queste posizioni opposte - e probabilmente estreme - il libro presenta la visione del mondo di Sergio Marchionne attraverso la sua viva voce, senza interpretazioni ma con una ricerca attenta degli aspetti più caratteristici della sua storia, del suo modo di pensare e di agire in azienda e della sua leadership, affinché ciascuno possa valutare "in presa diretta" lo stile manageriale che lo contraddistingue: spesso inconsueto, a volte ingombrante, ma sempre schietto. Il testo è costruito attorno ai nuclei concettuali sui quali si sviluppa il "Marchionne-pensiero": le connessioni tra meritocrazia, leadership, competitività; l'eccellenza e l'innovazione; la creatività e il reengineering organizzativo, la globalizzazione e la nazionalità. E ancora: la cultura e l'identità aziendale; la rappresentanza dei lavoratori e degli imprenditori; le politiche nazionali ed europee, fino al rapporto tra economia finanziaria ed economia reale e gli effetti attuali della crisi. Un ritratto vivido e inconsueto. Un "alfabeto" utile per tutti coloro - ammiratori o critici - che vogliono farsi un'opinione personale sul manager italiano più internazionale.
Carlo Goldoni con le “Memorie italiane” racconta, in uno splendido “romanzo di formazione”, la sua vita, dal 1707 al 1742, insieme alle «leggiere notizie» sulla riforma della commedia italiana. Le “Memorie, scritte a puntate, come un feuilleton, appaiono nelle singole prefazioni ai diciassette tomi dell’edizione Pasquali, e sono corredate ciascuna da una illustrazione che rappresenta «un qualche pezzo della sua vita». Nasce così - precedendo i futuri “Mémoires”scritti in francese a Parigi - la stringata e briosa autobiografia di un intellettuale borghese nella Venezia del Settecento, corredata anche da una sorta di «disegni animati» che l’accompagnano, come a “muovere”, daccanto, una terza autobiografia per immagini. “Il teatro comico”, commedia scritta e rappresentata nel 1750, non è nient’altro che la riforma della commedia dell’Arte, recitata sul palcoscenico dagli stessi attori, una mattina, durante le prove.
Agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso il ghebì, il palazzo del nobile Nasibù Zamanuel, svetta sontuoso nel centro di Addis Abeba. Nella vita del degiac, tutto sembra tingersi di prodigioso e fiabesco: da come ha impalmato la giovanissima Atzede Mariam Babitcheff dopo una gara sfrenata nell'ippodromo di Janehoymeda, a come l'ha condotta in pellegrinaggio in cima al monte Managhescià, dove il santo eremita abba Wolde Mariam ha predetto alla sposa la nascita di ben cinque figli. Un giorno di ottobre del 1935, tuttavia, la bella fiaba termina bruscamente. Per ordine di Benito Mussolini, le forze armate italiane invadono l'Etiopia da nord al sud, senza alcuna dichiarazione di guerra. Il degiac Nasibù combatte valorosamente per difendere la sua terra, ma le forze sono però troppo impari e il conflitto segna la fine dell'impero etiopico e dello splendore dei Nasibù, che nei mesi successivi sono costretti all'esilio. A più di sessant'anni dagli avvenimenti, Martha Nasibù, figlia del degiac Nasibù, racconta l'incredibile vicenda della sua famiglia esiliata in Italia sul finire del 1936 e tenuta al confino sino all'agosto del 1944.
Rachele. Storia lombarda del 1848, scritto in francese da Cristina di Belgiojoso e qui presentato per la prima volta in traduzione italiana, è il romanzo di un “amore rivoluzionario” che ruota intorno alle vicende di una famiglia di contadini nel periodo dei moti di Milano.
La principessa compose il breve romanzo all’indomani dei suoi cinquanta anni, dopo il ritorno a Milano dall’esilio orientale, successivo alle burrascose vicende della Repubblica romana (1849) che l’avevano vista protagonista in qualità di direttrice degli Ospedali militari.
La storia si svolge in una fattoria della Lombardia in pieno Risorgimento e porta all’attenzione dei lettori una serie di tematiche care all’autrice e proprie di quegli anni attraversati da fortissime tensioni politiche e sociali: la mentalità della famiglia patriarcale, la condizione femminile, il pensiero cattolico, l’impegno dei patrioti e la condizione dei rifugiati.
In anni recenti si è assistito a un moltiplicarsi di studi e contributi importanti sulla complessa personalità di Cristina di Belgiojoso, ormai liberata dall’etichetta di donna fatale e bizzarra: in questo processo di risarcimento e di restituzione storico-critica si colloca l’edizione italiana di Rachele.
"In ogni pagina di questo libro c'è il modo di essere donna (di Natalia Ginzburg): un modo spesso dolente ma sempre pratico e quasi brusco, in mezzo ai dolori e alle gioie della vita... Tra i capitoli del volume si ricorda 'Ritratto d'un amico', certo la più bella cosa che sia stata scritta sull'uomo Cesare Pavese. E le pagine scritte subito dopo la guerra, che riportano con una forza più che mai struggente il senso dell'esperienza d'anni terribili (e sanno pur farlo, serbando, come 'Le scarpe rotte', un quasi miracoloso senso del comico). Poi, le prove (come 'Silenzio' e 'Le piccole virtù') d'una Natalia Ginzburg moralista, dove una partecipazione acuta ai mali del secolo sembra nascere dalla matrice d'un calore familiare. E soprattutto, perfetto capitolo d'una autobiografia in chiave obiettiva e ironica, 'Lui e io', in cui la contrapposizione dei caratteri si trasforma, da spunto di commedia, nel più affettuoso poema della vita coniugale." (Italo Calvino) L'edizione è corredata dal saggio di Domenico Scarpa "Le strade di Natalia Ginzburg" e da un apparato comprendente le Notizie sul testo, un'antologia della critica, una bibliografia e una cronologia della vita e delle opere. Prefazione di Adriano Sofri.
L'incredibile odissea di una giovane ragazza di vent'anni nell'inferno della Shoah e nel cuore del Terzo Reich per ritrovare Julius, l'uomo che ama. Un viaggio lungo 3.300 chilometri, da Zagabria a Budapest, da Dachau a Norimberga, sfidando la polizia segreta, gli eserciti, la delazione, le frontiere, i bombardamenti. La determinazione di Olga nell'inseguire il suo uomo per un amore che ha ben pochi ricordi concreti - un bacio sulle labbra, qualche serata all'Opera, poco di più - non si arresta di fronte a nulla. A nessun impedimento. A nessuna beffa del destino. Nemmeno ai cancelli di Buchenwald, il campo dell'orrore.
Nazionalista e cosmopolita. Pacifista e bellicista. Elitista e populista. Scrittore politico dalla prosa essenziale e romanziere dall'immaginazione barocca. Mitomane, esibizionista, gelido dandy che flirta con fascismo, marxismo e anarchia, attratto di volta in volta dall'Italia di Mussolini, dall'Urss di Stalin, dalla Cina di Mao e dall'imperialismo americano. Seduttore inveterato, esibizionista, "camaleonte" pronto a servire (e a servirsi di) ogni potere. Tutto e il contrario di tutto, in apparenza, Curzio Suckert detto Malaparte (1898-1957) sfidò solitario le convenzioni della sua epoca. Oggi questa biografia di Maurizio Serra - basata su un'ampia documentazione, su corrispondenze e testimonianze anche inedite - ci restituisce le sfaccettature di una vicenda umana e letteraria che non può ridursi ai luoghi comuni che ne hanno imprigionato la memoria. Emerge così la modernità di un Malaparte visionario interprete della decadenza europea, che non smette di stupire perché aveva, potente e inconfessato, il gusto dello scacco: "Malaparte o le disavventure di Narciso".
Cresciuto in una famiglia di umili origini, sovrastato da un padre autoritario, Anton Cechov ha avuto un'infanzia che ha profondamente segnato la sua vita e condizionato la sua intera produzione letteraria. Un'infanzia "senza infanzia", come disse lui stesso, vissuta nella consapevolezza di una condizione miserabile e nel terrore della violenza. In una lettera a un amico scrisse: "Mio padre cominciò a educarmi, o più semplicemente a picchiarmi, quando non avevo ancora cinque anni. Ogni mattina, al risveglio, il mio primo pensiero era: oggi sarò picchiato?". Eppure, nel mondo angusto e nuvoloso della sua giovinezza, il piccolo Anton seppe trovare le sue briciole di felicità, "come una pianta che attiri a sé dal terreno più ingrato il nutrimento che le consente di sopravvivere", e nelle sue opere ricorderà Quegli anni come il tempo perduto dell'innocenza, come il momento in cui il sublime e il misero furono capaci di andare assieme. Irene Némirovsky è sempre stata affascinata dalla figura di Cechov, morto un anno prima della sua nascita. L'autore di "Zio Vanja" fu per lei un riferimento costante, una sorta di padre intellettuale a cui ha dedicato questa straordinaria biografia romanzata. Per la prima volta tradotto in italiano, "La vita di Cechov" è un viaggio nella letteratura russa, nella vita privata di uno dei più importanti scrittori dell'Ottocento e al tempo stesso la testimonianza dell'incontro tra due anime, così stranamente, inspiegabilmente vicine.
"Sono nata a Roma, in una villetta rosa, dietro piazza Cola di Rienzo, a circa trecento metri dalla casa dove vivo tuttora. Mentre nascevo, nella camera volava insistentemente un moscone. Mio padre, Federico Wertmüller, nonostante fosse uno spirito laico, non portato alla parapsicologia, pensò che un oggetto di dubbia consistenza e di dubbia provenienza come l'anima di un defunto si fosse materializzato in quell'insetto, e che si trattasse di suo suocero, il cavalier Arcangelo Santamaria Maurizio, morto lo stesso mese, in attesa di trasmigrare nella nuova Arcangelina (cioè la sottoscritta), non appena fosse stata deposta nella culla con un dito in bocca e un ciuffetto di capelli arruffati." Non poteva che cominciare così, all'insegna di un ricordo bizzarro quanto surreale, la vita di Arcangela Felice Assunta Job Wertmüller von Elgg Esapañol von Brauchich, per tutti Lina Wertmüller. Esagitata e rompiscatole fin da bambina, ma già con una grande carica di simpatia, scopre giovanissima la passione per il teatro e in poco tempo, dopo essersi iscritta all'Accademia di Pietro Scharoff e aver collaborato con i migliori registi teatrali, da Giorgio De Lullo alla mitica coppia Garinei&Giovannini, diventa un vero e proprio "topolino da palcoscenico", allestendo scenografie, scrivendo copioni, pièce, commedie musicali. Sarà però il cinema a conquistarla e a renderla famosa in tutto il mondo.
Scalfaro, nel suo lunghissimo e non sempre agevole cammino politico, ha incarnato e difeso i valori della Costituzione, il suo fondamento antifascista, l’unità e l’indivisibilità del Paese, la moralità della politica. Ma, suo malgrado, la sua lezione non ha unito, ha diviso. La sua coerenza, il suo attaccamento alla Carta Costituzionale, persino il suo essere, insieme, cattolicissimo e difensore della laicità dello Stato, sono diventati pietra di scandalo. Nessun altro presidente della Repubblica - con l’eccezione, forse, di Francesco Cossiga - è stato in vita così amato e detestato. Nessun altro, post mortem, ha subìto un trattamento così ruvido da una parte considerevole della classe politica e degli organi di stampa a questa vicina: quasi che la sua lunga vicenda politica, contrassegnata da una tensione morale continua, non fosse un itinerario umano costellato di vittorie e sconfitte, di slanci e di esitazioni, di forza e di debolezze, ma un concentrato di errori, colpe e incoerenze.
Questo libro non vuole essere un’apologia di Scalfaro. Ma un primo parziale tentativo di collocare la figura dell’ex presidente della Repubblica nel suo tempo. Con l’intima certezza che, cessati i clamori della cronaca e dispersi i fumi acri della lotta politica contingente, la storia renderà giustizia a quest’uomo probo, restituendogli per intero il ruolo fondamentale che ha esercitato in più di sessant’anni di vita repubblicana.
L'Autore
Giovanni Grasso (Roma 1962) giornalista parlamentare e storico. Laureato in Lettere moderne alla Sapienza di Roma, dopo aver lavorato alla «Discussione» e al servizio politico-parlamentare dell’Agenzia Giornalistica Italia è in forze dal 1989 alla redazione romana di «Avvenire» come notista politico. Tra il 1996 e il 2001 è stato capo dell’ufficio stampa del Senato della Repubblica. Con la formazione del governo Monti, ha assunto l’incarico di portavoce del ministro della Cooperazione Internazionale e dell’Integrazione Andrea Riccardi. Studioso del movimento cattolico in Italia, ha pubblicato diversi libri (tra cui il Carteggio Sturzo-Rosselli e il Carteggio Sturzo-Salvemini). Autore televisivo, ha realizzato documentari per Rai3 “La Grande Storia” e “Correva l’anno”, tra cui “Piersanti Mattarella, la buona battaglia” (2010), “Donne nella Chiesa:Chiara Lubich,Natuzza Evolo,Annalena Tonelli” (2011), e “Aldo Capitini, la pace in marcia” (2011). È socio ordinario del PEN Club Italia. Per le Edizioni San Paolo ha pubblicato Scalfaro. L’uomo, il presidente, il cristiano (2012).
Come i "commentari" accompagnano in Oriente i testi dell'antica saggezza spirituale, Gloria Germani, indologa, accompagna in questo libro i testi di Tiziano Terzani, inserendone l'incessante ricerca volta a dare un senso alle cose e alla vita in una prospettiva storica e filosofica di ampio respiro. Facendo dialogare saperi spesso a torto considerati in antitesi, come il pensiero orientale da un lato e la tradizione mistico-filosofica occidentale dall'altro, l'autrice mostra come l'anelito a una non violenza che abbracci anche il rapporto tra uomo e natura sia l'unica strada percorribile. Solo liberandoci dai dettami imposti dal nostro modo di vedere le cose e rinunciando a ogni conflittualità può avvenire quella lenta, silenziosa ma inesorabile rivoluzione ulteriore che Terzani ha perseguito e infine realizzato. L'auspicio di Tiziano-Anam, "il Senzanome", a osservare questo nostro mondo come dall'alto di una montagna, con la distanza necessaria per comprenderlo e riscoprirne l'intima bellezza, è quindi un invito reale e concreto per provare a cambiarlo veramente. Grazie all'unica rivoluzione possibile: quella che decidiamo di far avvenire dentro di noi.