
Cosa non è l'umiltà? Cos'è l'umiltà? L'autore aiuta il lettore a rispondere a queste domande esplorando, in modo filosofico, la virtù dell'umiltà, a partire dalla sua etimologia. L'umiltà è una virtù che gioca un ruolo decisivo nelle tradizioni monastiche medievali, ma che non si fa vedere, non è predominante nella cultura e nella società di oggi. È un valore che possiede una versione religiosa, ma anche una versione laica, in quanto non ha bisogno di essere riconosciuta dalla fede. È sufficiente prendere coscienza dei propri limiti, della propria fragilità, e quindi aprirsi al concetto di dono.
Il dono della sapienza non ha nulla a che vedere con il pallido conformismo di cui talvolta è circondata la fede cristiana. La sapienza di Dio è audace, creativa e persino un po' "folle". Ci conduce nell'emozionante avventura del vangelo, che non consiste nel proclamare certezze né dare risposte preconfezionate, ma nel correre il rischio di amare, di credere e di sperare.
Marco il Monaco, noto anche come Marco l'Asceta o Marco l'Eremita, è vissuto probabilmente in Asia Minore tra IV e V secolo. Rimasto in ombra rispetto ad altri grandi autori del suo tempo, ha rivestito tuttavia un ruolo cruciale nel quadro della tradizione spirituale e monastica antica, di cui è stato un importante anello di trasmissione. In tutta la sua variegata opera, qui raccolta e tradotta integralmente in italiano, traspare quello che per il suo autore è l'unico fine della vita cristiana: riscoprire, custodire e vivere in pienezza la grazia del battesimo, rispondendo al dono di Dio attraverso una fede attiva che manifesti i frutti dello Spirito. Le parole di Marco sono un prezioso invito a ritrovare il cammino dell'interiorità, per abitare le "stanze più interne" del proprio cuore. Allo stesso tempo egli ci invita a riconoscere che siamo parte di una grandiosa realtà, il mondo creato da Dio, in cui, a ogni livello, tutto è connesso con tutto, ben al di là della coscienza che possiamo averne su un piano razionale e visibile. Questa traduzione integrale delle sue opere mira a far apprezzare a un pubblico più vasto un autore fino a poco tempo fa quasi ignoto in occidente, e che pur a distanza di secoli ha ancora molto da dire ai cristiani di oggi.
La "Pacem in terris", scritta da papa Giovanni XXIII nel 1963, è un appello alla pace rivolto al mondo che in quegli anni si trovava sull'orlo di una guerra nucleare. Un'enciclica che si rivolge a ogni uomo e donna di buona volontà, che riconosce la pace come un "anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi", e la delinea non semplicemente come assenza di guerra, ma come il risultato di un processo educativo, spirituale, economico e politico. A 60 anni dalla promulgazione dell'enciclica, un'introduzione a un testo oggi di estrema attualità. La pace è promessa già ora, possibile se ciascuno vi anela e la costruisce.
La fede, perché? Perché diciamo "io credo"? Veniamo al mondo e abitiamo in una "casa" alla ricerca di un senso, custodi di una promessa. Alla fonte della nostra fede vi è un'originaria fiducia richiesta dalla vita che sfocia nell'affidamento, nella fede, in Gesù. Brevi meditazioni, quasi confessioni, che portano a immergerci in quelli che sono elementi originari della dimensione spirituale. Possibili direzioni per continuare a riprendere il cammino di ricerca e scoperta del senso profondo nascosto in ogni esistenza, promessa irrevocabile a ogni uomo e a ogni donna.
Il Dio rivelato da Gesù Cristo è molto diverso da quella specie di idolo che ogni essere umano è tentato di fabbricarsi. Ha dell'inaudito, e le parabole sono una porta d'accesso privilegiata per cogliere l'originalità del messaggio evangelico riguardo a tutto ciò che si può immaginare di Dio. Queste storie narrate da Gesù non si rivolgono solo a dei credenti "praticanti"; esse possono ancora raggiungere e toccare uomini e donne che, pur trovandosi sulla soglia o alla periferia della chiesa, restano aperti al dono di un Dio sempre sorprendente. L'autore lo mostra rileggendo otto parabole a partire da uno sguardo diverso, che aiuta ad allargare gli orizzonti della nostra fede e della nostra umanità.
Quale idea avevano i discepoli di Gesù? Gli atti, i gesti, i miracoli che Gesù ha compiuto, che senso avevano per i seguaci di quel Maestro? I vangeli non sono libri nè di saggezza né di morale, ma essenzialmente racconti della vita e della morte di Gesù. Tuttavia questi libri, scritti da cristiani, sono affidabili? Raccontano davvero le azioni di Gesù, la sua vera storia? Pagina dopo pagina l'autore dimostra che la "religione" dei discepoli non li ha aiutati a comprendere il messaggio di Gesù e nemmeno la sua persona. Forse è proprio a partire dai nostri fraintendimenti che, come i discepoli, anche noi oggi abbiamo l'occasione di convertire la nostra comprensione di Dio, non a partire dalle nostre idee religiose ma dalla narrazione dell'umanità di Gesù.
E se Maria, confondendo il Risorto con uno che coltiva la terra, avesse detto la verità? Del resto, chissà quante volte avrà sentito il suo Maestro insegnare a partire dalla terra. Senza volgere effettivamente gli occhi alla legge della terra perfino l'obbedienza alla legge di Mosè e alla stessa legge del vangelo rischierebbe di essere praticata con la schiena troppo rigida, incapace di piegarsi verso l'origine. Se Gesù, perfino da risorto, non stacca gli occhi dalla terra, abbiamo solidissimi motivi per continuare a sperare.
A partire dal silenzio, sostrato indispensabile per ogni parola autentica ed efficace, l'autore traccia un ispirante percorso in cui la parola di Dio si intreccia con la saggezza espressa da uomini e donne di diverse generazioni e differenti contesti. Da esso potremo trarre spunti utili per avere il coraggio di prendere parola, pronti a darla a chi la chiede e a trasmetterla alle nuove generazioni, sempre attenti e alla ricerca costante della "parola di giustizia".
Un pastore protestante e un vescovo cattolico condividono in questo vibrante dialogo epistolare un'urgente preoccupazione comune: che il vangelo non sia tenuto prigioniero dalle istituzioni che lo annunciano. Due uomini di fede che si scoprono "fratelli di spirito" tratteggiano, in un'appassionata condivisione ecumenica, un'autentica comunione che li porta a osare una parola audace, insieme critica e costruttiva, per una chiesa al servizio del mondo, che si lascia sconcertare dagli incontri e dalle sfide attuali. "Se desideri una chiesa rinnovata, capace di camminare con passione e umiltà insieme alle donne e gli uomini di oggi; se sogni chiese e religioni in dialogo per rinnovare il loro modo di essere 'comunità generative' per la società; se sogni chiese 'in uscita', appassionate dell'umano; se credi alla serietà del dialogo... questo è proprio un libro che fa al caso tuo" (dalla "Prefazione" di Derio Olivero).
La figura di Gesù è di grande attualità, Gesù è "di moda". La ricerca del Gesù storico è ormai ampiamente aperta e consente di focalizzarne alcuni aspetti. L'autore mette in evidenza due aspetti: la sua pratica di guarigione e la sua adesione al giudaismo. Quest'ultima è particolarmente importante in quanto mette in discussione le regole di purità: l'amore per l'altro, infatti, ha la precedenza su ogni altra considerazione legale. Pubblichiamo qui la traduzione dell'articolo "Écrire une Vie de Jésus aujourd'hui", apparso sulla rivista Études 4259 (2019).
Il Dio che si rivela è anche un Dio che si nasconde. Tuttavia, la sua presenza nascosta non è assenza, è appunto quella di un volto familiare che si nasconde, o di uno sguardo amorevole che si sottrae. La presenza elusiva di Dio è una metafora biblica della rivelazione. Il Dio di Israele è un Dio che si rivela e si nasconde, perché nel nascondimento mette alla prova la nostra speranza. La presenza di Dio è elusiva non perché egli sia abitualmente nascosto, ma perché la sua presenza intermittente è un segnale di libertà.