
Attraverso la parola di Dio ascoltata ogni giorno, la verità, l'amore e la luce di Cristo, presenti nella sacra Scrittura, nutrono la vita della comunità cristiana e di ogni credente, donandogli gioia e pace, speranza e coraggio. L'ascolto della tradizione spirituale ortodossa invita a riflettere sul modo in cui la lettura della Scrittura, fatta attraverso lo Spirito e nella chiesa, sia il vero fondamento di ogni autentica spiritualità cristiana.
All’inizio del secolo scorso la pubblicazione di un libro dell’eremita Ilarion – Sulle montagne del Caucaso – scatenò dibattiti infuocati tra i monaci russi del Monte Athos e un’ampia discussione nella stessa società russa prerivoluzionaria. Condannate dalle autorità della Chiesa russa e all’origine dell’espulsione di centinaia di monaci russi dall’Athos, le tesi attorno al Nome di Dio contenute in quell’opera appartengono invece – come dimostrano con profondità teologica, acume critico e afflato spirituale queste pagine – al patrimonio aureo della letteratura spirituale ortodossa, assieme ai più noti Racconti di un pellegrino russo.
Ilarion Alfeev, vescovo di Vienna e Austria per i russi ortodossi, esperto di patristica, è dottore in filosofia all’Università di Oxford e in teologia all’Institut Saint-Serge di Parigi. Membro della Commissione teologica sinodale del Patriarcato ortodosso russo, è vescovo ausiliare di Mosca incaricato dei rapporti con gli organismi europei a Bruxelles.
L’itinerario di un monaco
alla scoperta dell’infinita misericordia di Dio
Isacco il Siro (vii secolo), nato in un villaggio dell’attuale Qatar, morì nel monastero di Rabban Shabur (nel Kurdistan settentrionale) dove aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita anacoretica, interrotta solo per alcuni mesi trascorsi come vescovo della diocesi di Ninive (da qui l’altro nome con il quale è conosciuto: Isacco di Ninive, città che sorgeva nei pressi dell’attuale Mossul in Iraq). Queste pagine ripercorrono con sapiente maestria il contesto della sua vita e della sua opera, quel mondo spirituale nel quale si è formato e al quale ha apportato il contributo di una mente e un cuore “secondo Dio”, capaci di cantare la misericordia di Dio e il suo amore che abbraccia tutte le creature fino a trionfare sulla morte e sul peccato. Di Isacco di Ninive le nostre Edizioni hanno già pubblicato i Discorsi spirituali, a cura di Paolo Bettiolo, i Discorsi ascetici, a cura di Sabino Chialà, e l’antologia Un’umile speranza.
Ilarion Alfeev, vescovo di Vienna e Austria per i russi ortodossi, esperto di patristica, è dottore in filosofia all’Università di Oxford e in teologia all’Institut Saint-Serge di Parigi. Membro della Commissione teologica sinodale del Patriarcato ortodosso russo, è vescovo ausiliare di Mosca incaricato dei rapporti con gli organismi europei a Bruxelles.
Alfano I fu monaco in Santa Sofia a Benevento, quindi a Montecassino; divenne abate del monastero di San Benedetto a Salerno e poi arcivescovo della città nel 1058. Personaggio eclettico, fu uno dei maggiori esponenti tra gli intellettuali benedettini del medioevo: scrittore versatile e colto, produsse pregevoli Inni, in qualche punto ispirati ad una notevole conoscenza di Orazio. Fu anche medico esperto, membro della Scuola Medica Salernitana, ed è proprio alla sua notevole conoscenza in questo campo che si deve la traduzione dal greco dell'opera di Nemesio, "Premnon Physicon" o "De natura hominis". Nel presente volume, oltre all'ampia introduzione che permette di comprendere appieno lo spessore culturale di Alfano I e di contestualizzare la composizione della sua opera nel panorama culturale dell'epoca, l'edizione critica del "De natura hominis" si arricchisce della collazione di un nuovo manoscritto, il codice Harley lat. 3969, superando quindi per completezza ed integrità, le edizioni precedenti, dalla prima, pubblicata da Holzinger nel 1887, fino all'ultima, presentata dal Burkhard nel 1917.
Dopo il successo internazionale di "Milioni di farfalle", Eben Alexander è stato contattato da moltissime persone che erano state toccate personalmente dalla sua storia e che a loro volta avevano esperienze analoghe da condividere. Esperienze di vita oltre la vita, visioni di un altro mondo pieno di pace e amore incondizionato. "La mappa del Paradiso" parte da queste testimonianze e le unisce a quelle di colleghi scienziati e grandi saggi di ogni tempo, per mostrarci con sorprendente chiarezza una nuova, sconvolgente prospettiva sull'Aldilà. Il neurochirurgo che con la sua testimonianza di vita oltre la vita ha convinto anche i lettori più scettici dà in queste pagine un potente messaggio di speranza, e ci porta a vedere quale grande destino è riservato alle nostre anime, ben oltre la piccola e limitata esperienza terrena.
"Nel segno della fiducia. Il valore della vita umana al cospetto di errori ed incertezze", è un romanzo autobiografico, il racconto di una fase particolarmente tribolata dell'esistenza dell'autore. Illustrata per invogliare ciascun lettore, a riflettere, non con l'incedere distratto dell'uomo stordito dal senso comune, ma con passo animato da quella stessa fiduciosa speranza cui egli è approdato. L'autore vorrebbe che il lettore, chiudendo il libro, vivesse, con lui, "la quiete dopo la tempesta", fiducioso di poter sempre trovare una via d'uscita, anche quando tutto sembra perduto.
L’idea d’invecchiare scatena infinite ansie e preoccupazioni. Sulla vecchiaia pesa la sentenza di essere un tempo di regressione, carente di aspettative e di progetti e abitata irrimediabilmente dall’amarezza e dalla nostalgia. Queste ansie scatenano una frenesia di viaggi, trattamenti cosmetici e ringiovanenti, frequenza ad associazioni, corsi, laboratori, conferenze, “università della terza età”. Tutto ciò conduce spesso a una vita vuota e stordita nel consumo e nell’esteriorità. Tuttavia, di fronte a questo immaginario sociale che fagocita, emerge il linguaggio biblico che ci sfida con le sue immagini di crescita e di fecondità: “Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi” (Sal 92). L’autrice accompagna passo passo a riconoscere nella vecchiaia, al pari delle altre età della vita, un potenziale da mettere a frutto. Come valorizzarlo a partire dalla spiritualità biblica è il suo obiettivo: accettandone i limiti, senza però rassegnarcisi, ma anzi recuperandone la bellezza, attraverso la capacità di progettualità, la focalizzazione sull’essenzialità, l’apertura alla spiritualità, l’attenzione alla dimensione trascendente, nonché la valorizzazione di risorse come il tempo e di aspetti come la capacità di ascolto… Ogni capitolo ha una struttura fissa: inizia con la proposta di un tema, poi stimola alla riflessione riportando brevi brani di autori contemporanei; inoltre invita alla contemplazione presentando diverse figure bibliche; inine offre testimonianze, racconti, poesie per favorire il dialogo.
Punti forti
Il merito di trattare con ricchezza il tema della vecchiaia, mettendone in luce gli aspetti positivi: ad esempio viene fatto l’elogio della lentezza e della debolezza. l La trattazione è in chiave spirituale e biblica. l Stile scorrevole, capace di unire alla gradevolezza una grande capacità di profondità e comunicazione.
Destinatari
Il testo si rivolge a tutti coloro che appartengono a questa fascia d’età. O a quanti si occupano di persone “adulte-anziane”.
Autrice Dolores Aleixandre, religiosa del Sacro Cuore di Gesù, è una teologa spagnola e, fino alla pensione, docente di Sacra Scrittura. Autrice di numerosi testi, collabora con riviste e tiene corsi e conferenze su temi biblici e di spiritualità.
Mi viene da pensare che in questa freschezza [biblica] rientri il prendere le distanze dal caos dei modelli culturali dominanti e il renderci responsabili dell’elaborazione di un modello cristiano dell’invecchiamento. (L’autrice)
Un libro per la meditazione personale o comunitaria. Contiene alcuni capitoli sul significato della Quaresima e sulle sue dimensioni spirituali e presenta orientamenti catechetici e suggerimenti pastorali per la Settimana Santa.
Una tesi molto fortunata negli studi sul monachesimo sostiene che il tratto rilevante di questo modo di vivere sia la varietà, talmente ricca da renderne impossibile una storia unitaria. Questo libro vuole dimostrare il contrario: la storia della vita monastica fra tarda antichità ed epoca carolingia è sostanzialmente uniforme. Il monaco vive sempre in ville tardoantiche trasformate in monasteri, è alle prese con la difficile pratica della moderazione ed è guidato dalla norma universale della divisione del lavoro. Il testo illustra la vita monastica, il suo spazio d’azione, la lingua d’uso, le regole e gli esercizi ma anche i rapporti con le gerarchie ecclesiastiche e col potere civile, dal momento che i monaci, al contrario degli asceti, con i quali vengono spesso confusi, non sono in fuga dal mondo.
Non si può vivere senza regola
Nonostante la tarda antichità, e in particolare il V-VI secolo, sia considerata l’epoca d’oro della legislazione monastica sotto forma di regole, la maggior parte dei primi monaci d’Occidente non vive “sotto una regola”. Lo si può dedurre dalla ricorrente volontà degli autori di questi testi di sottolineare la diversità del vivere monastico e al contempo di intensificare gli sforzi per definire, regolare e controllare in modo sicuro l’attività monastica. La Regola del Maestro, ad esempio, che dedica una lunga discussione iniziale al problema dei monaci girovaghi, sopravvive in soli tre manoscritti e non sembra essere così capillarmente diffusa e conosciuta nel continente europeo nel periodo qui preso in considerazione. In generale, i manoscritti contenenti regole monastiche sono una quantità minima, in modo particolare fra VIII e IX secolo.
Di questa anarchia c’è traccia nella Vita di Martino, dove la vita del santo è contrapposta a quella dei semianacoreti. La stessa critica si legge nei Dialoghi, dove Sulpicio dice di pregare incessantemente nella sua stanza mentre gli altri, gli ospiti, continuano a parlare. È pertanto quantomeno azzardato affermare che la vita secondo una regola sia un tratto comune dei monaci tardoantichi e altomedievali d’Occidente. Si noti poi che, nella biografi a dello stesso padre della sistematizzazione regolare, Benedetto di Aniane, pare essere del tutto accettabile che, ancora fra VIII e IX secolo, ci siano uomini straordinari che ignorino questa forma di vita. Ardone racconta infatti che lo stesso Benedetto, intrapresa una pratica ascetica particolarmente dura, entra in contatto con due uomini valorosi, Attilio e Nebridio, i quali non conoscevano la possibilità di vivere sottoposti al controllo di una regola; nonostante questo, è lo stesso Benedetto a cercarli, soprattutto ogniqualvolta sente sorgere la tentazione. Nebridio non conosce regola, ma Benedetto non esita a ricorrere al suo aiuto e ai suoi consigli quando si sente vacillare. Benedetto, pertanto, scopre quasi per caso la possibilità di una vita regularis e, nonostante cerchi di uniformarsi alla regola del primo Benedetto, non disdegna la compagnia di uomini considerati di straordinaria santità. Anche Colombano, nonostante sia un “legislatore”, si chiede perché avvengano atti di insubordinazione da parte di alcuni che, infiammati dal desiderio di una vita più perfetta, lasciano la comunità e il giogo dell’abate per il deserto.
La prima condanna dei monaci che lasciano illecitamente il monastero è però più antica e si legge negli atti del Concilio di Calcedonia del 451. Il canone 4 decreta che tutti i monaci devono restare nel luogo dove hanno fatto la loro rinuncia al mondo e da qui non possono allontanarsi se non su indicazione del vescovo sotto la cui giurisdizione cade il monastero. Il canone 23 aggiunge: coloro che agiscono di propria iniziativa e interferiscono con la politica episcopale aggirandosi liberamente in città saranno perseguiti. Tutto questo è ribadito dalle disposizioni spurie aggiunte ai canoni del Concilio di Nicea del 325: chi lascia il monastero e va a vivere in città o in un villaggio come un laico, non può continuare a portare l’abito monastico, poiché tale azione getterebbe discredito sul buon nome dei “veri” monaci. Se a farlo è una donna, poi, la sua reputazione è definitivamente compromessa (Concilio di Ippona del 393). Qualche decennio dopo, al fuggitivo viene negata la comunione e l’accesso alla comunità dei fedeli (Concilio di Arles del 443).
Questa lunga lista di divieti prova quanto il monaco fuggitivo sia diffuso nella società tardoantica e medievale, sia a Oriente che a Occidente, e solo il meccanismo di razionalizzazione normativa consente di individuare, sanzionare e perseguire colui che non lo accetta, definendo il suo agire come deviante. Si noti il fronte comune fra potere civile e potere religioso sancito a Calcedonia: confinato nel suo monastero e sottomesso al vescovo, il monaco non deve turbare l’ordine e pertanto ogni atto di insubordinazione può essere rubricato come sedizione. La città mondana gli è interdetta.
«Beati i puri di cuore perché essi vedranno dio» (Mt 5,8), dice Gesù. Ma che significa? Evagrio, un cristiano originario del Ponto (ora Turchia settentrionale) che vive nella seconda metà del IV secolo della nostra era, è fra coloro che prendono sul serio questo monito. Perché possa realizzarsi servono due azioni, coordinate l'una all'altra: allontanarsi dal consorzio umano e raggiungere l'impassibilità (apatheia), ossia l'interruzione delle affezioni. Questo è possibile solo affrancando l'essere umano dal vortice dei pensieri, delle parole e delle opere proprie del mondo. Il raggiungimento di questa condizione, con la descrizione di tutte le difficoltà da superare e i passaggi da seguire, è l'oggetto degli scritti di Evagrio, volti a mostrare in modo patente all'"uomo di mondo" (kosmikos) la necessità di lasciarsi alle spalle la consueta forma di vita. Solo affidandosi a un nuovo protocollo esistenziale è possibile giungere alla comprensione antropologica dell'animale umano e alla purità di cuore. Questo è il compito del monachos, ossia del cristiano capace di servirsi della therapeia che permette all'essere umano di vedere con occhi nuovi (ossia conoscere) se stesso, l'ambiente nel quale è posizionato e, alla fine, dio.

