
Se è vero che noi oggi diamo poca importanza all’ingordigia, al punto che non la consideriamo più come un peccato, e altrettanto vero che, mai come oggi, sperimentiamo quanto essa sia dannosa per la nostra salute. È parados- sale eppure reale: siamo maggiormente disposti ad accettare i disagi prove- nienti dagli abusi nel nostro rapporto con il cibo che non quelli causati da un suo retto uso, cioè le moderate rinunce e il giusto rapporto con il cibo che ci consentirebbero di intrattenere un rapporto equilibrato con il nostro corpo.
enzo Bianchi (1943) è fondatore e priore della Comunità Monastica di Bose. È autore di numerosi testi, tradotti in molte lingue, sulla spiritualità cristiana e sulla grande tradizione della Chiesa, scritti tenendo sempre conto del vasto e multiforme mondo di oggi. Collabora con «La Stampa», «Avvenire», e, in Francia, con «La Croix», «Panorama» e «La Vie». Autore di diversi libri come Il pane di ieri (Einaudi, 2008), Ogni cosa alla sua stagione (Einaudi, 2011), per le Edizioni San Paolo ha pubblicato, tra gli altri: Il Padre nostro. Compendio di tutto il Vangelo (20082), L’amore vince la morte (20082), Ascoltate il figlio amato! (2008), Perché pregare, come pregare (2009), Il Padre Nostro spiegato da Enzo Bianchi (2010), Una lotta per la vita. Conoscere e combattere i peccati capitali (20112) e Le tentazioni di Gesù Cristo (2012).
Oggi siamo spettatori di un rapporto errato, e spesso stravolto, con il cibo; e attraverso di esso notiamo una relazione ambigua sia con il proprio corpo, sia con altre dimensioni della propria vita. Le forme in cui si manifesta questa patologia sono diverse: dal cibo come puro oggetto di consumo al cibo come realtà da combattere in quanto minaccia un’idolatria del corpo; al cibo, infine, come mezzo di distruzione del proprio corpo.Tutte queste forme evidenziano una difficoltà a relazionarsi con il proprio corpo e con l’interiorità del proprio essere.
Gli antichi monaci mettevano in guardia da un subdolo pericolo, all’apparenza innocuo: quello della gola. L’ingordigia con cui ci si pone in relazione con il cibo è simbolo della pretesa di possedere in sé la vita. Solo un equilibrato discernimento dei propri bisogni (di cui il cibo è metafora) permette di giungere al dominio di sé e alla libertà interiore. La terapia del digiuno aiuta ad aprire la nostra vita ai bisogni più veri e a comprendere che la vera fame è, in fondo, una dimensione dello Spirito: è la fame di Dio.
Il libro fa parte di una serie dedicata agli otto pensieri malvagi, tutti scritti da Adalberto Piovano.
Una riflessione colta e accurata sull'ingordigia,attuale più che mai in una società che vive un rapporto conflittuale con il cibo.
Mai come oggi, soprattuto in Occidente, si è vissuto un rapporto così complicato con il cibo.
Il volume farà parte di una serie dedicata ai pensieri malvagi, caratterizzata dalla forte identità stilistica, sia a livello di contenuti che grafico.
Destinatari
Un libro che si rivolge a un pubblico eterogeneo: laci, sacerdoti, credenti e non.
Autore
Adalberto Piovano, monaco benedettino del monastero della SS.Trinità a Dumenza (VA), ha conseguito i suoi studi teologici all’Abbazia di Praglia, specializzandosi poi all’Istituto Orientale di Roma e ottenendo la licenza in Scienze Ecclesiatiche Orientali (Teologia dogmaticopatristica). Ha pubblicato su opere collettive e su riviste vari contributi e saggi soprattutto sul monachesimo e sulla spiritualità russa. Ha curato circa 300 voci su santi russi nei due volumi Bibliotheca Sanctorum Orientalium, Roma (Città Nuova).
Cento frasi e brevi meditazioni che aiutano il lettore a capire il segreto e il fascino della piu eterea e impalpabile delle arti: la musica.
"Paradiso e inferno sono le due modalità di rapporto con il reale: il regno di significazione pura e lo scacco della ricerca suprema". (A. Marchetti)
Una rilettura del messaggio" dantesco alla luce della storia e della fede contemporanee. " L'opera di Tonino Caputo non e nata come una semplice presunzione di voler elaborare una nuova edizione del testo dantesco, ma piuttosto come una rilettura del messaggio" dantesco alla luce della storia e della fede contemporanee. Se e vero che il principio ispiratore dell'Alighieri che ha animato l'intera opera, che per questo e denominata Divina Commedia, e stato il Mistero dell'Incarnazione del Dio fattosi storia per l'uomo, allora questo stesso principio travalica l'uomo e la storia di un tempo particolare e continua ad agire nell'oggi di tutti i tempi. Occorre, quindi, saper avere occhi, cuore e fede per leggere attentamente questa presenza che e attualizzazione. Con questo scopo va dunque approfondito il modo, direi quanto mai singolare e nuovo, con cui l'autore propone la rilettura dell'opera medioevale al lettore d'oggi"
C'è tanta gente triste, spesso a buon diritto; eppure sappiamo che anche nel mezzo di una guerra possono esserci persone capaci di comunicare gioia ed è altrettanto certo che in momenti buoni e favorevoli ci sono persone tanto negative da riuscire a togliere l'entusiasmo a chiunque. Fernàndez propone in queste pagine alcune vie per cacciare dalla nostra vita la tristezza inutile e la negatività, tornando a scegliere la gioia.
Parole – quelle dettate da sorella Maria nella quiete dell’eremo come quelle vergate nella notte della canonica di Bozzolo – che raccolgono con parresia e discrezione attese e turbamenti di una generazione di cristiani che aveva come desiderio più intimo quello di far rifulgere in tutto il suo splendore il vangelo di Gesù Cristo. Presentiamo in queste pagine la corrispondenza completa tra due protagonisti della storia della chiesa del Novecento: don Primo Mazzolari, instancabile predicatore del vangelo, e sorella Maria di Campello, la Minore, attenta ed eloquente testimone nel silenzio del suo eremo. Questa raccolta aggiunge un tassello preziosissimo alla conoscenza della testimonianza dell’eremo francescano di Campello e nel contempo presenta un aspetto meno noto dell’infaticabile predicatore di Bozzolo. In una stagione culturale ed ecclesiale come quella odierna è motivo di rendimento di grazie poter riscoprire che quando ci si nutre del vangelo è possibile parlarsi da cuore a cuore anche da lontano, perché nei giorni di frastuono e di inutile chiacchiericcio “si preferisce tacere e ascoltare le voci buone e care che ci parlano in segreto”.
(dalla “Prefazione” di fr. Enzo Bianchi, priore di Bose)
Il rapporto tra liturgia e pietà popolare è venuto alla ribalta della riflessione teologico-liturgica e pastorale in seguito alla riforma liturgica, che nella sua attuazione ha ridimensionato le varie espressioni di pietà popolare. La problematica è stata esasperata dal fenomeno della secolarizzazione che in nome della scienza e della tecnica ha fatto piazza pulita di tutte le forme della pietà popolare. Negli ultimi decenni si è fatta strada una riflessione che studia la pietà popolare in se stessa come universale e ineliminabile dato antropologico che rivendica la sua autonomia e il suo valore catechetico, spirituale, teologico e missionario e si interroga sulle legittime istanze che essa pone alla liturgia.
Perché Gesù Cristo mi appare sempre più come un nodo decisivo della mia esistenza, la pietra dello scandalo che diventa pietra angolare, la rottura della linearità del tempo con l’improvvisa irruzione dell’impensato? Ripercorrendo gli strati della mia vita, in questo Incontro con Gesù ho vissuto un’esperienza che non può trovare risposte né sul terreno della filosofia speculativa, né su quello della teologia e della mistica, poiché la domanda su chi sia Gesù non è mai pienamente colmabile.
La storia umana non può essere "salvata" - nel senso della compresione del significato di ciò che accade - senza che il divino innervi intimamente le vicende terrene degli uomini e delle donne in carne ed ossa. Ecco perchè sono stata affettivamente colpito dal Vangelo di Gesù Cristo. La nascita di Cristo è, infatti, una rottura epocale rispetto al tradizionale modo di vedere il rapporto tra divino e umano: il Verbo incarnato, figlio dell'uomo e figlio di Dio, nato da donna, con una maternità affettiva, rappresenta una novità assoluta nel grande dramma della storia umana.
Prefazione di Francesco Ventorino
GLI AUTORI
PIETRO BARCELLONA (Catania, 1936) è docente di Filosofia del Diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Catania. È stato membro del Consiglio Superiore della Magistratura e in seguito deputato e membro della Commissione giustizia della Camera. È autore di molte pubblicazioni.

