
«Questo libro-non libro si è venuto a formare come quaderno d’appunti poco alla volta, durante i giorni di silenzio che mi concedevo due volte all’anno in un Foyer de Charité in Valle d’Aosta»: così dice l’Autrice che, abbracciando un arco di tempo che va dal 1996 al 2007, raccoglie e propone i suoi pensieri semiseri e disordinati sull’esperienza di esistere, di guardare il mondo, di vivere e di prepararsi a morire, interrogandosi sul senso della propria vita. Riflette sul tempo, gli incontri, lo stupore...
Una sorta di testamento spirituale di un pellegrino in transito sul sentiero della vita, il cui percorso è disseminato di interrogativi, dubbi, inquietanti domande su un possibile trascendente, su Dio.
Gli appunti sono inframezzati da flash autobiografici, tratti da quell’archivio inesauribile rappresentato dalla memoria: una traccia fra i miliardi di tracce possibili lasciate nel mondo
da ogni singola vita di pellegrino in transito.
L'autrice
Alba Marcoli, psicologa clinica di formazione analitica, ha avuto una lunga esperienza sia nel campo dell’insegnamento che della psicoterapia. Si occupa da anni di disagio minorile e di problemi della famiglia. Presso Mondadori ha pubblicato II bambino nascosto (1993), II bambino arrabbiato (1996), Il bambino perduto e ritrovato (1999), Passaggi di vita (2003), Il bambino lasciato solo (2007), E le mamme chi le aiuta? (2009), La rabbia delle mamme (2011).
Ogni Natale, dal 1983 al 1994, padre Lanfranco Serrini, in qualità di Ministro generale dei Frati Minori Conventuali, ha scritto una lunga lettera ai suoi fratelli. Dalle pagine emerge tutta la profonda umiltà e l'intensa spiritualità di questo grande uomo, che ha saputo fare del proprio ministero un dono perfetto per Dio e per i fratelli. Le lettere sono indirizzate ai frati, ma il loro messaggio è così attuale e universale che chiunque potrà leggerle, meditarle nel proprio cuore e metterle in pratica nella propria vita. Il ministero di padre Lanfranco aveva queste caratteristiche: insegnava a tutta la fraternità, guardava al cammino salvifico e missionario di tutto l'Ordine, in comunione e in ascolto filiale della Chiesa, ma questa visione globale non distraeva il suo cuore e il suo sguardo dal fratello, dal singolo fratello; padre Lanfranco era attento alla fatica quotidiana di tutti, di fronte alla quale sapeva dire a ciascuno, con la forza dello Spirito: "Coraggio!". E con questo invito donava carità fraterna, comprensione, accoglienza, insegnamento, sostegno, luce e vita. Comunione, fraternità, accoglienza e spirito di servizio sono solo alcuni dei temi su cui padre Lanfranco riflette e porta a riflettere in queste lettere. Facciamo tesoro delle sue parole.
All'epistolario - una delle rare scritture femminili di quell'eta', unico carteggio medievale tra due donne - segue la Visione dello Specchio, singolare racconto di un sogno di Santa Chiara.
Maurice Béjart, uno dei protagonisti della scena del ’900, scrive a un giovane danzatore: che cos’è la danza? quali sono i suoi strumenti? che cosa distingue un semplice esecutore da un interprete?
La sbarra, lo specchio, il palcoscenico, il pavimento definiscono il contesto di un’arte specifica, ma il discorso supera questo ambito circoscritto e investe la dimensione dell’essere.
Gli esercizi alla sbarra, che sono la base del lavoro quotidiano, rappresentano molto più che la ripetizione infinita di passi e movimenti: sono una presa di coscienza. La sala danza diventa allora un luogo di meditazione e preghiera, dove si ritrova il contatto con l’Assoluto.
Il rapporto con lo specchio, prima, e quello con il pubblico di fronte al palcoscenico, poi, rimandano alla consapevolezza di sé, alla perfetta capacità di giudizio dell’occhio interiore, alla differenza che un osservatore percepisce fra chi ha interiorizzato i movimenti e le coreografie al punto da farli propri e in qualche modo ricrearli e chi ha imparato bene ogni cosa ma appare freddo e anonimo nell’esecuzione.
Al di là della sala danza e del palcoscenico si delinea un altro percorso, che riguarda l’Uomo. La danza come la vita, o forse, meglio, la vita come la danza, diventa una ricerca inesausta e infinita, dove le domande trovano poche risposte definitive e anzi sollecitano nuove indagini e riflessioni. Trovare cercando e cercare trovando. Una volta iniziato, questo percorso non può fermarsi: ogni traguardo diviene infatti un punto di partenza: «In fondo, forse è proprio questo essere vivi».
L'AUTORE
Maurice Béjart (1927-2007), importante danzatore e coreografo francese, ha fondato nel 1960 il Ballet du XXe Siècle, da cui si è separato dopo più di trent’anni per costituire il Béjart Ballet Lausanne. Nel 1999 è stato insignito del premio Kyoto.
Nella notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996, sette dei nove monaci trappisti che formavano la comunità del monastero di Tibhirine, vicino alla città di Médéa, a sud di Algeri, furono rapiti da un commando armato. Il 30 maggio furono ritrovate le teste decapitate, non i loro corpi. Sulle circostanze della loro tragica morte non è mai stata fatta piena luce.
Frère Christian de Chergé era il priore della comunità. Per attuare la sua vocazione di monaco evangelicamente solidale con i Musulmani dal 1972 al 1974 egli studiò a Roma presso il Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica. Qui fu suo professore Maurice Borrmans. L’amicizia spirituale e la consonanza intellettuale germinate in quegli anni sono all’origine delle 74 lettere che Christian indirizzò al suo ‘ex’-Professore. La prima già nel 1974, appena raggiunta l’Algeria, l’ultima solo qualche mese prima del martirio.
Pubblicate dall’editrice Bayard nel 2015 a cura dello stesso M. Borrmans, le lettere vengono ora proposte in traduzione italiana. Si tratta di una corrispondenza ventennale del tutto eccezionale: il lettore diviene l’amico fraterno al quale Christian partecipa, emotivamente e lucidamente, il suo itinerario di uomo di preghiera che cerca e onora il dialogo con gli uomini di preghiera dell’Islam; lo stesso lettore diviene così testimone della fecondità di una profezia difficile, generosa e coraggiosa.
Un trattatello teologico che fa rivivere la coraggiosa lotta di Atanasio, il grande vescovo di Alessandria, in difesa della dottrina cattolica.
Prendendo occasione da ordinazioni diaconali, sacerdotali ed episcopali di vari amici, l'Autore svolge, nella forma agile e scorrevole di lettere", una vera e propria teologia del sacramento dell'Ordine e del ministero ordinato. " il libro propone una raccolta fatta tra le molte lettere che l'autore ha scritto a giovan i studenti di teologia, suoi studenti, nella pontificia facolta teologica della sardegna. La raccolta si articola in due parti e un'appendice. La prima parte e`forma ta dalle lettere per l'ordina zione presbiterale o per il suo anniversario; esse sono raggruppate in tre sezioni che sviluppano il tema augurale, il rapporto tra la festa liturgica in cui viene celebrata l'ord cerdozio. La seconda pa tti all'episcopato e una lett era per l'anniversario della consacrazione episcopale. In appendice l'autore rip orta le lettere rivolte al presbitero francesco manzo, che lo battezzr. Dall'insie me appare una concezione del sacerdozio cattolico, delineata sul fondamento dei testi della liturgia di ordinazione, dei testi dei conciliii, dei tesi di scrittori antichi, e anche di passi poetici e letterari, una visione specificamente sacerdotale-sacramentale.
Il volume raccoglie una selezione di oltre 330 lettere, perlopiù inedite, scritte da Chiara Lubich negli anni della Seconda guerra mondiale, del Secondo dopoguerra e della lenta ricostruzione politica, economica e morale dell'Italia. In un Paese e in un mondo lacerato, Chiara Lubich annuncia e diffonde, attraverso questa corrispondenza, la sua fede indefettibile nell'unità spirituale e sociale alla quale forma tantissime persone: i familiari, il primissimo gruppo di ragazze e giovani che si coinvolgono nella sua "divina avventura", personalità civili e religiose. Il genere letterario epistolare dà la possibilità di rivelare le parte più personale di Chiara e di esprimere i suoi pensieri nel modo più immediato ed efficace.
Maria Lataste era una giovane contadina che non aveva nemmeno potuto andare a scuola; a leggere e scrivere le aveva insegnato la mamma tra un lavoro e l’altro nei campi. Dopo la prima Comunione cominciò a innamorarsi ogni giorno di più di Gesù Eucaristia e per volontà del Signore scelse di entrare nella Società del Sacro Cuore: aveva diciannove anni quando egli le disse che non avrebbe raggiunto i ventisei. Dal 1840 al 1943, per circa tre anni, ebbe continue visioni di Gesù. In questo epistolario sono raccolte le lettere che Maria scrisse al suo direttore spirituale.