
Il volume si concentra sull’attualizzazione della Parola, sul richiamo dell’autentico spirito cristiano e sul senso liturgico di questo tempo forte, proponendo anche un invito alla preghiera dei fedeli da celebrare nelle comunità, nelle famiglie e nei gruppi biblici e nelle varie assemblee liturgiche. Il richiamo ad alcuni testimoni ha lo scopo di mettere in discussione la nostra fede, il modo con il quale viviamo i valori del Vangelo e facciamo nostro il realismo dell’incarnazione.
l’autore
Edoardo Scognamiglio, dottore in teologia e in filosofia, insegna Teologia dogmatica presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (Napoli) e si occupa di dialogo interreligioso e dell’islam presso la Pontificia Università Urbaniana. Presso il Convento San Francesco in Maddaloni (Caserta) dirige il Centro Studi Francescani per il Dialogo interreligioso e le Culture. Collabora a molte iniziative editoriali, a riviste e giornali, ed è tra i massimi esperti dell’opera letteraria di Kahlil Gibran. Tra le sue numerose pubblicazioni a carattere scientifico ricordiamo: Catholica. Cum ecclesia et cum mundo (Messaggero, 2004); Henri-Louis Bergson. Anima e corpo (Messaggero, 2005); Volti dell’islam post-moderno (PUU, 2006); Il volto dell’uomo. Saggio di antropologia trinitaria, in due volumi (San Paolo, 2006-2007).
Queste meditazioni di carattere biblico e teologico sulVangelo di Giovanni sono ispirate da un principio caro alla tradizione giovannea e alla stessa rivelazione giudaico-cristiana: tutto ciò che è luce si manifesta.
Poiché ilVerbo è da sempre presso il Padre e la luce splende nelle tenebre, nessuno è in grado di fermare la forza rivelatrice e liberante della luce che resta e permane nella sua dinamicità e storicità. La luce è ciò che resta: è Dio fatto carne, l’Emmanuele.
Se è vero che Dio è luce, e in lui non ci sono tenebre, lo spazio di questa luce è Gesù Cristo, impenetrabile luce dalla quale non ci resta che lasciarci toccare e illuminare.
L'autore
Edoardo Scognamiglio, teologo e filosofo, insegna Teologia dogmatica presso la Pontificia FacoltàTeologica dell’Italia Meridionale (Napoli) e Dialogo interreligioso e Introduzione all’islam presso la Pontificia Università Urbaniana (Città del Vaticano). È consultore del Santo Padre per il Pontificio Consiglio della Famiglia. Dirige la rivista di teologia «Asprenas» e il Centro Studi Francescani per il Dialogo interreligioso e le Culture a Maddaloni (Caserta). È ministro provinciale dei Frati Minori Conventuali di Napoli e Basilicata. Ha pubblicato numerosi saggi di filosofia, teologia, storia delle religioni e letteratura. Attualmente, si dedica alla meditazione della Parola di Dio mediante la condivisione della Lectio divina con gruppi di giovani, di adulti e di consacrati.
È la prima riflessione, in forma di lectio divina, in preparazione al IV Convegno ecclesiale di Verona. E' un sussidio (sia per i vescovi sia per ogni cristiano) per approfondire, con spirito critico, alcuni dei temi importanti come:- l'educazione alla speranza- la liberazione dalle false speranze- la necessità del discernimento- la proposta di un cristianesimo estensivo, di una Chiesa che è, primariamente, dei laici ed è in cammino. Il volume di E. Scognamiglio evidenzia inoltre non solo le debolezze e i limiti dell'annunzio, ma sollecita anche due esigenze: 1) lasciarsi provocare dalla Parola meditata, per un approccio più profetico, intuitivo, critico, veritiero, alla realtà della Chiesa del terzo millennio; 2) sentire i bisogni, i desideri del mondo e le aspettative, nonché i rischi, i limiti, i peccati, insiti nella realtà sociale dell'uomo postmoderno. Attraverso la lectio, provare a sentire cum ecclesia e cum mundo!Annunziare il Cristo risorto significa, innanzi tutto, viverlo, sperimentare la sua presenza vivente.
In sette capitoli l’autore, tematizzando sull’«apostolo» e il suo impegno, prende in esame alcuni versetti della lettera (tre di 2Tm 1, due di 2Tm 2, uno di 2Tm 3 e uno di 2Tm 4). Questa lectio divinaintende aiutare a capire non solo che la Chiesa vive della Parola, ma anche che il Vangelo si intreccia con la storia degli esseri umani ed è in grado di affrontare le sfide di ogni epoca,nonché di illuminare la vita dei cristiani che si mettono in ascolto sincero e umile di essa. «Lo Spirito Santo, che guida la Chiesa alla verità tutta intera (cfr. Gv 16,13),fa comprendere il vero senso della Parola di Dio,portando finalmente all’incontro svelato con il Verbo stesso,il Figlio di Dio,Gesù di Nazareth, rivelatore del Padre. Lo Spirito è l’anima e l’esegeta della Sacra Scrittura, della Parola di Dio messa per iscritto sotto la sua ispirazione». (Edoardo Scognamiglio)
AUTORE Edoardo Scognamiglio, frate minore con-ventuale,ha conseguito il dottorato in teologiae la laurea in filosofia. È docente di Dialogointerreligioso e Islam alla Pontificia UniversitàUrbaniana e di Teologia dogmatica presso laPontificia Facoltà Teologica dell’ItaliaMeridionale di Napoli.Attualmente è direttoredella rivista di teologia Asprenas e del CentroStudi Francescani per il Dialogo interreligiosoe le culture a Maddaloni (CE). Con PaolineEditoriale Libri: La Trinità nella passione delmondo.Approccio storico-critico,narrativo e simbo-lico(Milano 2000); Il volto di Dio nelle religioni.Una indagine storica,filosofica e teologica(Milano2001); Testimoni del Risorto. Lectio divina sullaprima Lettera di Pietro(Milano 2006); Il ritornodel Signore. Lectio divina sulla seconda Lettera diPietro(Milano 2007).
"Chi segue me avrà la vita eterna": di che vita si parla? Oltre le incrostazioni spiritualistiche e pietistiche che hanno ridotto il cristianesimo ad una sorta di polizza assicurativa, un premio nell’aldilà e un bel niente nell’aldiqua, l’autore di questo brillante saggio conduce il lettore all’apprendimento dell’ABC del credente e del cristianesimo a tutti coloro che non hanno ancora spento il proprio interesse profondo per una vita piena e autentica. Un libro sul cristianesimo per chi sta cercando e non si accontenta delle risposte preconfezionate.
Per tutti coloro che non hanno pregiudizi e vogliono superare i luoghi comuni sul cristianesimo.
Giovanni Scoto Eriugena, un irlandese, fu tra 1'846 e 1'870 al centro della vita intellettuale alla corte di Carlo il Calvo, "l'imperatore filosofo". Tradusse dal greco il corpus di Dionigi l'Areopagita, Gregorio di Nissa e Massimo il Confessore; rinnovando la terminologia filosofica d'Occidente. Scrisse il de divina praedestinatione e il Periphyseon. Fuse la tradizione platonica col cristianesimo, così che il platonismo diventò, in lui, la forma naturale della rivelazione cristiana; e incarnò gli sviluppi più arditi della teologia negativa. Egli ricerca il Primo Principio, che fonda l'Essere e sta al di sopra dell'Essere: tenebra che irradia luce. "Tutto ciò che si comprende e si sente non è altro che apparizione del non apparente, manifestazione dell'occulto, affermazione della negazione, comprensione dell'incomprensibile, parola dell'ineffabile, accesso dell'inaccessibile." Il mondo nel quale viviamo è un paradosso vivente. Da un lato, è divino: "questa pietra e questo legno per me sono luce"; non c'è frammento di realtà, per quanto umile e insignificante, che non partecipi dell'eterno raggio divino. Al tempo stesso, il mondo è radicalmente altro da Dio: opacità, caduta, ombra, separazione. Quanto all'umanità, il suo rappresentante più alto, Giovanni evangelista, è superiore alle gerarchie angeliche: come un'aquila spirituale vola con le ah veloci della più inaccessibile teologia, sollevandosi sopra ciò che può essere compreso dall'intelligenza, fino a spingersi all'interno di ciò che trascende ogni significato. Scritta probabilmente tra 1'805 e l'870 e molto diffusa nel Medioevo, L'Omelia sul Prologo di Giovanni è uno dei capolavori della lingua latina: un testo filosofico-poetico che ha la concentrazione degli scritti presocratici e taoisti; una piccola gemma radiosa, che raccoglie in sé i misteri della teologia trinitaria, della creazione, della natura, dell'eterno e del tempo, e della via mistica a Dio.
Indice - Sommario
Introduzione
Abbreviazioni bibliografiche
TESTO E TRADUZIONE
Nota al testo
Omelia di Giovanni Scoto
COMMENTO
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
La civiltà carolingia. Restaurazione politica e restaurazione culturale.
"Dopo che Gesù Cristo, Dio e signore nostro [...] è tornato gloriosamente e trionfalmente alla sede della maestà paterna, per sconfiggere in tutta la terra le cupe tenebre dell'ignoranza, ha ripartito per tutto il mondo i luminari innumerevoli dei santi dottori, risplendenti della luce della predicazione evangelica: affinché, come il cielo si orna di stelle fulgenti, che però sono illuminate tutte da un unico sole, così anche i vasti spazi terrestri risplendessero di santi dottori, illuminati tuttavia dall'eterno sole, destinati, per la preveggenza della divina grazia, a rischiarare le cieche tenebre dell'ignoranza con lo splendore della vera fede e con il glorioso nome di Cristo."*
In questa luce di cosmica Aufklärung, in cui l'ignoranza e l'orrore delle sue tenebre sono il nemico più potente della parola evangelica, il maestro e creatore della nuova civiltà carolingia, Alcuino di York, colloca l'incontro storicamente decisivo del sovrano franco Clodoveo e del santo Vedasto. Al di là del valore topico di certe immagini, le ricorrenti metafore della luce, che nell'opera di Alcuino annunciano le speranze di una spirituale rinascita, affidata al magistero dei santi, esprimono forse la consapevolezza storica che il mondo cristiano, e quindi - nella prospettiva altomedievale - l'umanità intera, hanno attraversato un oscuro passaggio, una zona di rischio. A questa oscurità Alcuino contrappone, con sincero entusiasmo, i valori infine recuperati della eruditio e della sapientia cristiana, quella continuità di linguaggio che soltanto la scrittura può trasmettere: nella costruzione del regno di Dio nel mondo, come si esprime un autore contemporaneo, il liturgista Amalario di Metz, le strutture sono costituite dai maestri e dagli allievi, come una pietra sull'altra, in ordine ascendente.
Se, come è stato osservato, la caratteristica più peculiare dell'alto Medioevo è quella di essere un'età senza scuola, il rischio che l'Occidente romano-barbarico sembra aver corso fra il VII e l'VIII secolo è soprattutto quello della perdita della scrittura, di quelle arti della parola e del discorso che erano state uno dei fondamenti della civiltà antica. Mentre l'aspirazione più profonda e radicale della tradizione cristiana, quella di costruire un uomo totalmente nuovo, libero dai condizionamenti della cultura profana, aveva finito per coincidere con il più affascinante e solenne dei fenomeni storici, la progressiva degradazione di un grande insieme come l'Impero d'Occidente, il rischio era stato quello di una non rimediabile perdita della stessa parola divina, del verbo cristiano consegnato per sempre a una scrittura sacralizzata, e all'ormai ricchissimo patrimonio esegetico, che ne aveva elaborato i complessi strumenti di interpretazione.
La volontà di continuità sarà espressa però dalla cultura ecclesiastica nella forma storicamente più decisiva, attraverso quella restaurazione dell'istituzione imperiale, che condizionerà comunque lo sviluppo dell'Europa del Medioevo. Restaurazione determinata e condizionata a sua volta da un insieme complesso di fenomeni: in primo luogo dal fenomeno macroscopico della ricostituzione, ad opera della dinastia dei Pipinidi, di un grande dominio territoriale al centro dell'Europa, dall'interesse della Chiesa e della cristianità occidentale di conservare quella unità, che in effetti solo l'eccezionale personalità politica di Carlo sarà
in grado di garantire, con le sue conquiste militari, con la sua geniale e tenace opera di recupero culturale. Oggetto di questo recupero, attraverso precise disposizioni legislative, è prima di tutto il fondamentale strumento intellettuale della lingua latina, chiave d'accesso a tutto il patrimonio della cultura scritta, il cui apprendimento e uso appare indispensabile per formare una gerarchia ecclesiastica in grado di svolgere le sue funzioni. I formulari delle Interrogationes responsionis, che ci tramandano lo schema di una sorta di esame annuale, a cui i vescovi avrebbero dovuto sottoporre i primi elementi della gerarchia, i parroci, costituiscono lo strumento attraverso il quale l'autorità sovrana si preoccupa di controllare la conoscenza della pratica liturgica, e possibilmente la comprensione del suo significato. Le formule ricorrenti, legere et intelligere, scire et intelligere, nascere et intelligere, sembrano, quasi paradossalmente, ricalcare il linguaggio della corrispondenza di una raffinata personalità intellettuale come Alcuino, che si adopera a diffondere, nella sua vasta cerchia di amici e di allievi, la pratica di un cristianesimo colto, nutrito di lettura e di meditazione.
Se resta ancora problematica la definizione in termini di "rinascita" di questo decisivo momento storico-culturale, caratterizzato piuttosto da un'evidente volontà di restaurazione, di continuità con il passato "costantiniano", cristiano-imperiale, evidente e determinante appare il consapevole disegno dei sovrani, soprattutto di Carlo Magno, di organizzare le strutture amministrative del regnum utilizzando le istituzioni ecclesiastiche, valendosi di quel contributo dell'episcopato e della sua grande tradizione, che aveva costituito uno degli elementi di forza del potere dei Franchi.
Troppe volte distinguiamo la storia sacra dalla storia umana. È un po' il vizio di sempre: distinguere in modo manicheo il sacro dal profano, il buono dal cattivo. E invece Dio si è fatto carne, e non in modo poetico. Si è fatto carne e ossa, è entrato nel tempo e ha permesso allo scorrere degli anni, alle esperienze di cambiarlo. Paradossale storia di un Dio che i Vangeli raccontano, che Matteo racconta. Paradossale storia di un Dio che sceglie di entrare a far parte di genealogie umane, connotate dall'umano anche negativamente. È così che Matteo inizia il suo Vangelo. Don Paolo Scquizzato allora attraversa tutto il Vangelo secondo Matteo, commentandone oltre 40 brani, pagine scelte appunto, in modo breve ed efficace, facendo emergere l'umanità di cui le pagine evangeliche sono cariche, le molte conversioni che il Vangelo chiede, la pienezza a cui l'adesione al Vangelo può aprire.
Sfogli le prime pagine e a colpire quasi fossero veloci pennellate sono personaggi e paesaggi che popolano le pagine del Vangelo di Marco. Veloci, dirette, sintetiche. Perché così è Marco. Capace di andare al cuore di tutto senza troppi giri di parole. Il deserto, Giovanni, il Regno, il nuovo del Vangelo... Tutto viene decisamente incontro al lettore che da quelle pagine si voglia, onestamente e silenziosamente, lasciare raggiungere. A parlare è l'inedito. A voler essere ascoltato è l'inaudito. Don Paolo Scquizzato allora attraversa tutto il Vangelo secondo Marco, commentandone oltre 50 brani, pagine scelte appunto, in modo breve ed efficace, facendo emergere quell'in-audito capace di parlare e chiamare.
Commentando il Vangelo secondo Luca, don Paolo Scquizzato chiude la trilogia delle sue pagine scelte. Scelte per offrire all'uomo e alla donna credente una feritoia da cui scoprire la parola di Dio, Dio e se stessi. Con le sue pennellate decise seppur sfumate l'Autore attraversa tutto il Vangelo di Luca, commentandone oltre 60 brani, pagine scelte appunto, facendo emergere come fosse un filo rosso l'invito alla trasformazione e, più precisamente, a quel lasciarsi trasformare da Colui che ci abita, dal Divino che, riempiendo vuoti e ombre, ci rende manifestazione della sua stessa vita. L'incontro con la Parola non ci chiede di cambiare, di diventare più buoni, ma di lasciarci abbracciare dalla Vita per diventare semi di vita nella storia.
Lontano da una pretesa esegetica e quindi scientifica, le pagine di questo libro desiderano essere semplicemente riflessioni sull'umano vivere cercando di guardare lontano, ma indietro, attingendo cioè alla sapienza degli autori ispirati della Bibbia nella consapevolezza che, grazie a loro e in particolare al primo Libro, si può giungere al principio delle cose, e quindi di noi stessi e così alle cose di Dio.
Lasciarsi "semplicemente" raggiungere: questo è la salvezza.
Paolo Scquizzato appartiene alla comunità dei sacerdoti del Cottolengo e si dedica alla predicazione e alla formazione spirituale in particolare del laicato; dirige la Casa di spiritualità «Mater Unitatis» di Druento (To).
Se non c'è epoca che non pensi di doversi liberare di qualche male, per Giuliano imperatore, passato alla storia come apostata, questo male è il cristianesimo. Ricostruendo il passato di Roma mediante le categorie di puro e impuro, Giuliano delinea una storia di decadenza nella quale si rivela il volto autentico del cristianesimo: sia il perdono concesso col battesimo sia il culto dei martiri mostrano fino a che punto i cristiani si sono spinti sulla strada dell'impurità, e nella purificazione dell'impero sta per Giuliano il compito di cui è stato investito dagli dei. Nello studio di Giorgio Scrofani si illustra per quali vie la nozione di purità rituale e di purezza morale agisca in Giuliano in funzione di un'identità che resiste alla combattività cristiana per mantenere inviolata quella che per l'imperatore ne è l'essenza stessa: l'ellenismo. Su questo terreno, sul possesso dell'eredità dei greci, si confrontano cristiani e non cristiani.