
IL LIBRO E`INDIRIZZATO AD UN AMPIA GAMMA DI PERSONE INTERESSATE ALLA BIBBIA E CHE VOGLIONO COMPRENDERE LE QUESTIONI DEL NUOVO TESTAMENTO RIGUARDANTI L IDENTITA DI GESU`E IL PERCHH DI UN DIBATTITO.
Ambiguo e contraddittorio almeno quanto scettico e disperato, Qohelet sembra scoraggiare ogni tentativo di commento, a maggior ragione tradizionale, soprattutto se volto alla ricerca di una precisa coerenza interna che ne difenda l'autorevolezza testuale. Il carattere provocatorio di questo libro biblico così spesso incompreso e svalutato nonché la sua saggezza non di rado iconoclasta sembrano piuttosto invitare allo scontro critico e all' opposizione, nel tentativo di arginarne gli elementi più problematici. Per William P. Brown, tuttavia, un commento fedele all'essenza di "Qohelet" deve porsi lungo una sottile linea di dialogo tra una spiegazione del testo che non debba necessariamente difenderlo e una critica che non lo rifiuti in toto, lasciando che esso diventi fonte di interrogativi che stimolano la riflessione esistenziale e teologica.
Con questo libro Bruce affrontava, verso la metà del secolo scorso, un argomento che è ancora oggi scottante: possiamo fidarci del Nuovo Testamento? Non è forse stato smentito? Gli studiosi non hanno forse dimostrato che fu redatto solo molto tardi? E' questo il genere di insinuazioni ripetuto spesso dai mass-media. Ma un accurato studio storico, del tipo in cui F.F. Bruce eccelleva, dà una risposta chiara, completa e minuziosa. Sì, possiamo fidarci del Nuovo Testamento. E ci sono prove migliori per il Nuovo Testamento che per qualsiasi libro antico.
Contenuto
In che modo i libri della Bibbia sono stati riconosciuti come documenti della rivelazione divina? Chi ha deciso quale struttura il canone dovesse avere? Quali criteri influenzarono tali decisioni?
Dopo circa diciannove secoli il canone della Scrittura rimane un argomento dibattuto. Protestanti, cattolici e ortodossi hanno collezioni di testi che divergono tra loro seppur di poco. Lutero, una delle figure preminenti della Riforma, avanzò dei dubbi sull’inclusione della Lettera di Giacomo. Nel corso degli anni gli studiosi hanno poi sollevato numerose altre questioni riguardanti il canone. Molti cristiani oggi, mentre confessano l’autorità di tutte le Scritture, sembrano fare affidamento solo su pochi libri e temi particolari ignorando completamente il resto.
In questo significativo studio, Bruce, grazie alla conoscenza derivatagli da anni di riflessione e interpretazione biblica, risponde a queste domande e dissipa la confusione che circonda il canone delle Scritture. Sebbene molte cose siano cambiate dalla sua prima pubblicazione, questo libro rimane una pietra miliare nella critica biblica.
Il canone delle Scritture è stato premiato nel 1990 con due Christianity Today Awards e nel 1989 con il ECPA Christian Book Award.
F.F. Bruce, studioso neotestamentario di fama mondiale scomparso verso la fine del ‘900. Profes- sore di critica ed esegesi biblica presso la University of Manchester in Inghilterra. Fu autore di moltissimi libri e commentari. In italiano le Edizioni GBU hanno pubblicato il suo Commentario alla Lettera ai Romani e Possiamo fidarci del Nuovo Testamento?.
Se i racconti biblici sull'attività di Gesù sono fedeli alla realtà dei fatti, nei resoconti storici del tempo dovrebbe esservene traccia: quali prove vi sono, dunque, nei documenti non canonici o non cristiani dell'esistenza storica dell'uomo chiamato Gesù di Nazareth? Come venne visto dai contemporanei, ebrei di ogni tendenza, romani e pagani in genere? Frederick F. Bruce approfondisce la nostra conoscenza di Gesù studiandone in dettaglio le tracce nelle fonti più diverse: ebraiche, pagane, apocrife e islamiche, con particolare riferimento a Giuseppe Flavio, ai manoscritti del Mar Morto, al Vangelo di Tommaso e al Corano. Grande attenzione è inoltre dedicata ai detti di Gesù non inclusi nei Vangeli canonici e alle prove legate alle scoperte archeologiche.
Questo libro affronta un tema che ancora oggi risulta scottante: possiamo fidarci dei documenti del Nuovo Testamento?
Questo piccolo libro, scritto verso la metà del XX secolo continua a essere l’introduzione più accurata ai problemi e alle certezze relative al Nuovo Testamento.
La Bibbia non è un testo lontano e incomprensibile, ma la testimonianza viva e attuale del particolarissimo rapporto che lega Dio e l’uomo. Spesso si distorce la Bibbia considerandola come un libro di sole risposte, una “coperta di sicurezza”, un “amuleto portafortuna”, una “sacra reliquia” su cui giurare. Altre volte si cerca in essa una soluzione ai nostri dilemmi morali e spirituali o una sorta di “codice di buona condotta”. Lungi dall’essere tutto questo, la Bibbia rivela il volto disarmante di un Dio che manda in frantumi ogni nostra idea religiosa e ci interpella nelle fibre più intime della nostra identità di uomini e di credenti, per entrare in relazione con noi. AUTORE
Walter Brueggemann, è docente emerito di Antico Testamento al Columbia Theological Seminary di Decatur, in Georgia. Autore di molti libri sulle Scritture e su argomenti correlati, è particolarmente conosciuto in America, in Europa e in Israele per le sue conferenze e ricerche di alto livello. Tra i testi tradotti in lingua italiana ricordiamo: Introduzione all’Antico Testamento (Claudiana 2005), La spiritualità dei Salmi (Queriniana 2004), Genesi (Claudiana 2002).
«Dopo Eichrodt e von Rad, la Teologia dell'Antico Testamento del biblista nordamericano Walter Brueggemann è destinata a diventare una pietra miliare nel campo della Teologia dell'Antico Testamento». Rolf Rendtorff (professore emerito di Antico Testamento, Università di Heidelberg)
Dalla quarta di copertina:
In questo libro straordinario, Walter Brueggemann porta la discussione di teologia dell'Antico Testamento oltre i modelli dominanti delle precedenti generazioni. Il biblista nordamericano mette a fuoco la metafora e l'immagine del processo giudiziario per osservare la sostanza teologica dell'Antico Testamento come una serie di affermazioni sostenute da Jahweh, il Dio d'Israele. Questo offre un contesto che presta attenzione al pluralismo di ogni dimensione del processo interpretativo e suggerisce collegamenti alla pluralità di voci del nostro tempo. L’interesse per il processo e l'interazione spiega i tre termini del sottotitolo:
- Testimonianza: il carattere di denuncia teologica dell'Antico Testamento deve farsi strada nel contraddittorio;
- Dibattimento: ci sono offerte concorrenti di verità, come in ogni caso legale;
- Perorazione: il ruolo della testimonianza è perorare una rappresentazione della verità che è fortemente in contrasto con altre versioni della realtà.
Brueggemann mette a fuoco il processo di asserzione teologica, l'enunciazione piuttosto che le questioni storiche, e cerca di vedere l'interpretazione ebraica e cristiana come operazioni parallele. Egli considera seriamente la “deludente" testimonianza resa a Dio, come pure le positive affermazioni di Israele a favore di Dio.
Recensioni:
Scrivere un libro dedicato alla teologia dell’AT richiede indubbiamente coraggio, data la quantità di elementi che vanno tenuti in considerazione e la mole bibliografica che occorre padroneggiare. L’A. richiama all’inizio le opere «classiche» di W. Eichrodt e di G. von Rad, ritenendo che non si possa oggi semplicemente ripetere quei modelli, che pure hanno svolto un ruolo fondamentale. Di fatto il contesto attuale è caratterizzato, a tutti i livelli, dal pluralismo, che ha evidenti ripercussioni anche sul modo di pensare la teologia biblica. Consapevole di questa realtà, l’A. dichiara che la teologia biblica, per essere fedele all’attuale contesto interpretativo attento al pluralismo, «deve mettere a fuoco non questioni contenutistiche o tematiche, ma i processi, le procedure e il potenziale interattivo della comunità contemporanea al testo» (p. 6).
Prima di procedere però nell’analisi, egli premette una lunga ricostruzione del cammino percorso dalla teologia biblica dalle origini a oggi. Tale ricostruzione è divisa in due parti: dalle origini alla fine di un periodo generatore e la situazione contemporanea. La fine del primo periodo si può individuare nel 1970, anno in cui viene pubblicato l’ultimo grande libro di von Rad (La sapienza in Israele), nonché un testo di B. Childs (Biblical Theology in Crisis) nel quale l’A. richiamò l’attenzione su una mutata situazione nella teologia dell’AT. In ogni caso, il periodo compreso tra il 1970 e il 1990 presentò due sviluppi importanti nello studio dell’AT. Il primo fu il rifiuto del modo di fare teologia dell’AT di von Rad e un ritorno al lavoro storico-critico con la sua tipica sospensione di ogni interpretazione teologica (p. 66). In secondo luogo, in quegli anni sono sorti vari metodi che hanno influenzato la successiva fase del lavoro scientifico. Tra questi metodi l’A. richiama l’attenzione soprattutto sull’analisi sociologica (N. Gottwald) e sulla critica retorica.
Nel secondo capitolo dedicato alla retrospettiva storica, prendendo m considerazione la situazione contemporanea, bisogna di nuovo prendere atto del pluralismo che domina l’esegesi attuale. Ciò significa che diverse interpretazioni entrano in conflitto e si scontrano. L’A. indica quattro interpreti contemporanei di teologia dell’AT, che adottano le più visibili opzioni metodologiche presenti oggi, B. Childs, J. D. Levenson, J. Barr e R. Rendtorff, sintetizzando brevemente le rispettive posizioni. Al termine di questa panoramica, alcune questioni emergono come centrali: innanzitutto, la critica storica va ridimensionata, perché il suo orizzonte ermeneutico appare troppo pesantemente condizionato da pregiudizi di natura ideologica. In secondo luogo, è necessario studiare l’AT, per quanto possibile, nella sua autonomia dalla teologia dogmatica o dalla chiesa. La teologia sistematica non tollera il carattere polifonico del testo biblico, mentre è necessario mantenere l’interpretazione aperta alla poliedricità del testo biblico. «È il lavoro di un serio interprete teologico della Bibbia quello di prestare rigorosa e accurata attenzione a ciò che è nel testo, senza riguardo a come è coerente con la consuetudine teologica della chiesa» (p. 149). Va inoltre mantenuta la giudaicità del testo biblico, scoprendo anche quale contributo l’AT può offrire al modo di trattare alcune questioni oggi cruciali (l’etica, la dimensione morale del potere ecc.).
Nelle parti che seguono, l’A. elabora la sua proposta teologica centrata sul modello della testimonianza. L’oggetto primario di una teologia dell’AT è Dio e, di conseguenza, molto importante è il modo in cui si parla di Dio. Tutte le questioni relative alla storicità del testo vengono ad essere messe tra parentesi. Infatti la domanda che guida la ricerca è: «Che cosa è detto?», non: «Che cosa è accaduto?». La categoria più ampia sotto la quale si può considerare il parlare di Israele su Dio è quella della testimonianza che viene resa, idealmente, in un tribunale, a fronte di alcuni che contestano l’assunto al quale si rende testimonianza. Tale testimonianza è presentata partendo dall’analisi di verbi, titoli di Dio, metafore applicate a Lui ecc., ricavando cioè a partire dai testi una sorta di grammatica della fede. La fede di Israele non si basa su una generica nozione di Dio, ma sulla testimonianza di ciò che Israele ha visto e ricevuto da Lui.
Nella seconda parte del volume si prende in esame la controtestimonianza d’Israele. La testimonianza propone un Dio che ordina il mondo e gli da vita, ma l’esperienza vissuta sembra contestare questo assunto. E ciò è oggetto di studio in questa seconda parte che sviluppa i temi del nascondimento, dell’ambiguità e della negatività di Dio. Nella terza parte, a nostro giudizio, il discorso non progredisce dal punto di vista teorico, ma viene arricchito quanto già presentato nella prima parte relativa alla testimonianza d’Israele. Il titolo di questa terza parte, infatti, è «La testimonianza spontanea d’Israele». Anche la quarta parte non ci sembra così integrata nello sviluppo del discorso, perché di fatto si allontana dalla metafora dominante delle prime due parti, sulla quale l’A. ha giustamente richiamato l’attenzione. Ora lo studio si concentra su «La testimonianza concreta di Israele» analizzando alcuni luoghi emblematici, come la Torah, il re, il profeta, il culto, il saggio, forme tutte di mediazione della relazione con Dio. Infine, la quinta e ultima parte è dedicata a una sintesi teologica di quanto emerso dall’analisi precedente, con una certa attenzione anche all’attualità.
In conclusione, si tratta di un volume ampio, ricco e impegnativo, a tutti i livelli.
D. Scaiola, in La civiltà cattolica 155 (2/2004) 99-100