
Dopo la Prima Legge, data da Dio sul monte Sinai, il Deuteronomio si presenta come la "Seconda Legge", la nuova Legge o meglio un'attualizzazione della prima, che Mosè consegna al popolo poco prima di morire. I precetti sono orientati a regolare la vita che di lì a poco il popolo d'Israele avrebbe iniziato all'arrivo alla Terra Promessa. L'autore ripercorre alcune pagine del Libro attraverso un'analisi ricca di suggestioni, frutto di una profonda meditazione, e invita a tradurre l'amore di Dio nella vita sociale e familiare, non vincolandolo a un esclusivo compimento "giuridico" dei precetti racchiusi nella Legge. Le vicende del popolo di Israele diventano allora preziosi spunti per riflessioni che vogliono rispondere all'esigenza profonda dell'uomo di oggi di rimettere al centro la Parola e la sua capacità di incidere sulle coscienze.
Giuda Iscariota? Certo. San Pietro? Anche. Il re Davide? Pure lui. E, come loro, Esaù, Dalila, Saul e un'altra cinquantina di personaggi biblici. Uomini e donne che per motivi diversi hanno tradito genitori, fratelli, coniuge, figli, amici, il loro popolo e persino Dio. La Bibbia non racconta soltanto vicende ammirevoli, educative, consolanti: conosce l'«impasto» umano. E se riferisce quei fatti, il motivo è un altro: la misericordia, lo sguardo d'amore di Dio trasforma gli errori in occasione per la salvezza (e la santità) personale e degli altri. A conferma che nella vita si può sempre ricominciare da capo. Ogni giorno. Anzi, ogni pomeriggio. Perché proprio un venerdì pomeriggio, a un uomo che aveva sbagliato tutto, Qualcuno ha detto: «Oggi sarai con me nel paradiso». Importante è ricominciare sempre. Ricominciare è credere all'amore. Infatti, se ricominciamo, dimostriamo di credere nella potenza e grandezza dell'amore di Dio più che nella nostra debolezza. (Chiara Lubich)
Fino a pochi decenni fa i libri della Torah e dei profeti anteriori erano letti come la collezione redazionale di alcuni documenti tradizionali, denominati jahvista (J), elohista (E), deuteronomico (D) e sacerdotale (P), i primi due risalenti ai secoli X e XI a.C., gli altri due rispettivamente al 600 e all'esilio babilonese. Ma negli ultimi vent'anni lo scenario è assai mutato. In questo lasso di tempo alcuni studiosi e le loro scuole sono giunti addirittura a negare l'esistenza dei due documenti antichi (J e E), riconducendoli ai materiali databili nell'esilio e nell'immediato post-esilio. Con il presente studio l'autore intende ripercorrere il cammino della ricerca attuale e soppesare gli argomenti delle nuove teorie.
Questo volume, che riporta la traduzione integrale del Libro dei Proverbi in "kirundi", lingua ufficiale del Burundi, si propone come un esperimento positivo, ma anche come un laboratorio di ricerca e di confronto per gli ambiti di studio e d'interesse che riguardano l'evangelizzazione. L'autrice, infatti, cercando le corrispondenze e mettendo in parallelo i "proverbi biblici" e quelli "kirundi", ha evidenziato come l'esegesi di matrice occidentale resti talvolta lontana dalle problematiche e dalla sensibilità religiosa delle popolazioni africane. Alla possibilità che una esegesi inculturata si sviluppi sulla base di una corretta impostazione di metodo è legato il futuro della teologia africana.
"Una persona mi ha chiesto che vocabolario io adoperi per tradurre: nessuno. Mi servo della concordanza ebraica, libro in cui di ogni parola è segnato il passo in cui compare. Di ognuna cerco i suoi luoghi, i versi in cui si manifesta lungo tutti i libri. Da questo viaggio emerge, oltre al significato, anche una piccola biografia della parola, vita e opere di un utensile divino." (Erri De Luca)
La traduzione greca della Bibbia ebraica è, com'è noto, la prima e più importante traduzione apparsa nella cultura occidentale, il cui significato difficilmente potrebbe essere sottovalutato: senza Bibbia greca la storia europea sarebbe stata totalmente diversa, per non dire che nessun cristianesimo sarebbe mai stato possibile. Una delle novità dello studio di Tessa Rajak consiste nel mostrare come le traduzioni bibliche greche siano servite per secoli da dispositivi di sopravvivenza culturale delle comunità giudaiche, e come ciò implichi un profondo cambiamento di prospettiva che comporta di riscrivere tutto un periodo di storia culturale ebraica non di rado presentato come racconto cristiano. Ne emerge un'immagine del giudaismo della diaspora che spesso si trovò a dover cambiare atteggiamento nei confronti della cultura dominante e dei poteri imperialistici in cui via via venne a trovarsi, come del resto mostrano sia la lingua della traduzione greca della Bibbia, sia i testi che vennero a costituire la nuova raccolta biblica...
La Prima lettera ai Corinzi, così chiamata perché destinata «alla Chiesa di Dio che è a Corinto» (1Cor 1,1), è uno dei sette scritti epistolari di sicura paternità paolina insieme alla Prima lettera ai Tessalonicesi, alla Seconda lettera ai Corinzi e alle lettere ai Filippesi, a Filemone, ai Galati e ai Romani. Ciò nonostante, non sviluppa alcuni temi tipici di altre lettere paoline, come quelli che caratterizzano le lettere ai Galati e ai Romani. Questo perché i problemi sorti all'interno della Chiesa corinzia erano diversi da quelli che Paolo dovette affrontare scrivendo ad altre comunità cristiane. Seguendo i criteri della Collana (Nuova versione della Bibbia dai testi antichi), il volume offre un'ampia introduzione, il testo antico, la nuova versione italiana, le note filologiche e il commento teologico al libro. La Prima lettera ai Corinzi in una nuova traduzione, con testo antico a fronte, introduzione, annotazioni e commenti.
Questo libro rilegge uno degli episodi più straordinari della storia culturale fra Oriente e Occidente, la traduzione greca della Bibbia, la leggenda che l'ha narrata e le riscritture di questa. Una storia lunga molti secoli che ha attraversato con ostinazione culture, epoche storiche e mondi diversi e che ha segnato, a partire dal Vicino Oriente antico, il destino dell'Occidente. Battaglie culturali, ideologiche, filologiche, linguistiche ne hanno costituito la trama, nel tentativo di dare forma a un libro molteplice e ibrido e proprio per questo così simile a noi, così vicino alla nostra differenza originaria. L'autore ci parla di originali che non si trovano ma che forse non è necessario trovare. Di traduzioni che valgono come fonti e di fonti che sono contradittorie. Racconta come proprio la Bibbia, il grande codice della letteratura occidentale, sia vissuta per migliaia di anni attraverso le sue riscritture, come abbia avuto molteplici redazioni e diversi autori, diversi canoni, diversi originali. Come se il suo messaggio più profondo fosse che la verità non è immobile ma diventa vera solo nel momento in cui tocca la realtà di coloro che hanno reso le parole qualcosa di concreto, interpretandole, traducendole, comunicandole e vivendole.