
Descrizione dell'opera
Siamo probabilmente nel 394-395, a Ippona. Agostino non ancora vescovo porta a termine un commento integrale alla Lettera ai Galati, in cui esprime compiutamente il proprio pensiero.
Al tempo già circolavano nell'Occidente latino i commenti a Galati di Caio Mario Vittorino, dell'Ambrosiaster e di Girolamo. Agostino conosce questi autori e da essi riprende «spunti interpretativi, chiarimenti testuali, sollecitazioni a impegnarsi in ulteriori approfondimenti oppure a effettuare correzioni o addirittura a esprimere dissensi», entrando autorevolmente nella storia della recezione dello scritto paolino.
Circa il tema cruciale della Lettera - che cosa si debba intendere per «grazia di Dio», che implica la condizione di «non essere più sotto la Legge» - Agostino afferma che «si tratta del dono della fede, la quale, dal momento che opera per amore, non solo può sostituire la Legge, ma soprattutto può far compiere le opere da essa richieste nell'unico modo che possa davvero risultare salvifico, ossia per amore». Una formulazione perfettamente coerente con il proprio pensiero.
La rigorosa annotazione della curatrice ha il merito di collocare il testo sullo sfondo della recezione di Galati nei primi quattro secoli cristiani e soprattutto quello di delineare passo dopo passo il rapporto di questo testo con l'insieme delle opere di Agostino.
Sommario
INTRODUZIONE. Agostino commenta Galati: datazione e contesto. La recezione della Lettera ai Galati nei primi tre secoli: giudizi complessivi e utilizzazioni parziali. I Commentari alla lettera ai Galati nel IV secolo latino. La «controversia di Antiochia» (Gal 2,11-14) e la «controversia» tra Girolamo e Agostino. Il Commentario a Galati di Agostino: argumentum e struttura. IL COMMENTARIO A GALATI. Indice scritturistico. Indice delle opere di Agostino. Bibliografia.
Note sulla curatrice
FRANCESCA COCCHINI è professore ordinario di storia del cristianesimo presso l'Università «La Sapienza» di Roma. È membro di numerose associazioni e gruppi di ricerca sulla patrologia e il cristianesimo dei primi secoli. Tra le pubblicazioni ricordiamo: Commento alla lettera ai Romani di Origene, Marietti, Casale Monferrato 1985; Il Paolo di Origene. Contributo alla storia della ricezione delle epistole paoline nel III secolo, Studium, Roma 1992; Commentario alla lettera ai Romani di Teodoreto di Cirro, Borla, Roma 1998; Agostino d'Ippona. «Il nostro volere sia suo e nostro», in collaborazione con M.G. Mara, LEV, Città del Vaticano 2006; presso le EDB: Origene. Teologo esegeta per una identità cristiana (2006) e Josefa Segovia. Un ventaglio scritto (2008).
La Nota Praevia all’Adversus Nationes di Arnobio viene edita per la prima volta in lingua italiana. Essa si presenta con tale articolazione di contenuti, approfonditi minuziosamente e analizzati in contesto con le altre opere apologetiche cristiane, che fa da splendida e illuminante cornice all’opera dell’Autore africano. Anche là dove i contenuti o le spiegazioni sembrano superati da studi recenziori, la verve polemica di Le Nourry, fedelissimo all’ortodossia della Chiesa Cattolica, si associa allo stile fortemente demolitore dei miti pagani di Arnobio, facendo nascere
una letteratura ibrida pagano-cristiana, che forse non vede ancora il tempo di essere valorizzata in tutta la sua portata innovatrice, ed è vittima del pregiudizio di schemi iconografici preconcetti. Vero è che ci troviamo di fronte ad una antropologia di stampo diverso da quello platonico-cristiano, tradizionale ormai all’interno di quasi tutte le dottrine teologiche delle denominazioni cristiane, per cui taluni punti fondamentali del dire arnobiano urtano contro la suscettibilità culturale occidentale, in particolare cristiana. Ma si tratta di cultura, anche se dogmaticamente resa obbligante nel credo degli adepti. La verità potrebbe essere anche altra e una delle tante ipotesi di indagine della verità potrebbe pur essere quella di Arnobio, sincero, anzi sincerissimo discepolo di quello che c’è di più prezioso nel Cristianesimo, cioè Cristo stesso, abbracciando il Quale, si possiede tutto ciò che l’uomo deve possedere, e conoscendo il Quale, l’uomo conosce quanto è necessario conoscere, nella sua totalità e nella sua integrità. Per tale motivo questo è un libro, assieme all’opera stessa di Arnobio, destinato ad un pubblico adulto e che ha del dogma cristiano una visione storica, aperta ad altre letture possibili, se accertate, anche se non coerenti con le formulazioni di fede, che oggi sono correnti. La fede appunto è la matrice che rende ossequio alla verità cristiana, maturatasi nel tempo o nei tempi, emarginando squarci che di volta in volta sono apparsi inutili o dannosi, ma appunto perché squarci di verità talora irrompono luminosi in maniera prepotente e imprevedibile e improvvisa dal loro tenebroso letargo, obbligando l’assenso ad arricchirsi delle nuove prospettive in armonia col Pensiero fattosi Verbo o Parola vivente nei secoli. Questo è l’Arnobio, che sembra opportuno capire e rivalutare anche quanto ad argomentare apologetico. Che, sebbene nella mira polemica ci siano specialmente idoli, tuttavia tali idoli sono frutto dell’umano immaginare. Ieri come oggi come domani. La ricerca della verità tra ondate di flussi e di riflussi resta una caratteristica della finitudine umana. A tale finitudine si appella Arnobio perché l’uomo trascenda se stesso, e contemplando la sua miseria – descritta con un elenco mozzafiato di diciassette impietosi aggettivi – si apra all’Eterno. Ed è questa la chiave di lettura per comprendere l’opera arnobiana, che obiettivamente risulta essere la più corposa e massiccia apologia, superata in voluminosità e impostazione soltanto dalla Città di Dio di sant’Agostino.
L'opera apologetica di Arnobio il Vecchio trova un primo sigillo di singolarità nella
sua particolare collocazione cronologica se è vero – come sembra ormai difficilmente negabile – che l’Adversus Nationes vide la luce mentre infuriava l’estrema e violenta “reazione pagana” promossa da Diocleziano.
Il celebrato retore di Sicca ebbe così modo di registrare sia la brutale e alla fine inane istanza restauratrice e tradizionalistica della costruzione tetrarchica, sia la fatalità della prossima legittimazione del cristianesimo.
Naturalmente, la posizione isolata di Arnobio nell’ambito delle tensioni e dei dibattiti della Chiesa precostantiniana e prenicena, le circostanze straordinarie che 1’autore stesso volle porre a radice della propria conversione, hanno sovente orientato gli interpreti a considerare il pessimismo della grande apologia come il frutto di una disperazione assolutamente biografica, esistenziale, malamente trascinata verso uno spicciativo e risolvente accesso ai sicuri approdi della salvezza cristiana. La stessa esiguità di notizie su Arnobio, sui suoi contatti e principalmente sul suo itinerario
culturale precedente la conversione, ne hanno rimpicciolito il profilo di testimone del tempo.
Al contrario, questo retore così singolare sia nel proporsi non come un intellettuale di sintesi ma di rottura, sia nello stringere una verità che conosce imperfettamente, rappresenta in modo assai realistico quel processo di massiccia trasmigrazione verso
il cristianesimo che si è abituati a seguire solo attraverso le parabole esemplari e conclusive di protagonisti pienamente coscienti delle implicazioni insite nelle loro scelte: Clemente di Alessandria o Agostino, per fare due nomi e indicare, all’ingrosso, due estremi temporali.
E in una prospettiva più concentrata sull’approfondimento dell’itinerario missionario e pastorale della Chiesa, illustra con significativa chiarezza le ragioni seminali di una cultura mai completamente cristianizzata e dunque il ciclico emergere, in essa, di tensioni antagonistiche rispetto alla Fede.
Tutto ciò è tanto più vero proprio perché la periclitante teologia arnobiana, laddove quasi paolinamente propone una distanza incolmabile tra l’infinita grandezza di Dio e la miseria della condizione umana, in realtà finisce quasi fatalmente, a motivo di
un’iterata e ‘comoda’ opzione apofatica, col determinare una frattura non ricomposta tra gli ordini della Grazia e della natura.
Il volume presenta la traduzione latina del De anima di Aristotele condotta e commentata da san Tommaso d’Aquino, con testo a fronte in italiano. La cura e la traduzione di questo libro è stata condotta da un gruppo di studiosi provenienti dalle Facoltà di Filosofia italiane, statali ed ecclesiastiche, riuniti nel Progetto Tommaso e impegnati da anni nella lettura e nell’esame puntuale delle opere tommasiane, in lingua originale.
Opera della maturità dell’Aquinate (scritta tra il 1268 e il 1270), la Sentencia de anima mostra un Tommaso che sviluppa le teorie metafisiche e antropologiche dell’aristotelismo in modo personale ed originale. La traduzione critica qui pubblicata è dotata di ricchi apparati di introduzioni, lessico e indici, ed è destinata a segnare una tappa importante nella bibliografia tomistica.
L'Autore
Tommaso D’Aquino, profondo indagatore della psiche umana, autore di una originale sintesi di fede e ragione, a confronto con Aristotele, e unanimemente considerato uno dei più grandi pensatori dell’antichità.
Da uno degli autori più fecondi dei primi secoli cristiani, un'opera di grande originalità, ricchezza e complessità. Secondo di quattro volumi.
Il Liber testimoniorum – una raccolta di passi esegetici provenienti dalla produzione di papa Gregorio Magno – risale al periodo compreso tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo. Si tratta di un’opera che ha conosciuto una straordinaria fortuna nel Medioevo ed è stata oggetto di numerose imitazioni nei secoli successivi. Un documento unico per conoscere il funzionamento dell’amministrazione della Chiesa di Roma, le attività ampie e diversificate, l’assistenza tecnica al pontefice per la redazione dei documenti.
Falsi vangeli, false lettere, false apocalissi, anche fra i libri del Nuovo Testamento, impiegati come armi per affermare alcune convinzioni religiose o per contrastarne altre. In questo nuovo volume Bart D. Ehrman ci conduce in un viaggio nei primi quattro secoli dell'era cristiana, mettendo in luce un altro aspetto di quella "battaglia per le Sacre Scritture" di cui aveva già delineato i contorni nei Cristianesimi perduti: la pratica della contraffazione. Una storia di fede, dunque, ma soprattutto di libri falsi e di falsi apostoli, di imposture patenti e di mezze verità sullo sfondo turbolento e affascinante dei primi secoli cristiani.
Questo volume, pubblicato in occasione della proclamazione di Ildegarda di Bingen a dottore della Chiesa, propone testi riflessioni, esperienze di vita, non solo della santa tedesca, ma anche di altre figure mistiche del passato quali Mechtilde di Magdeburgo, Gertrude la Grande, Meister Eckhard, Giovanni Taulero, Enrico Suso, Raimondo Lullo, Blaise Pascal. L'autore, partendo proprio dalle grande personalità mistiche testimoni della fede in Dio, ha voluto offrire ai credenti e non uno spunto di riflessione per avvicinarsi a Dio e vivere seguendo le orme di chi, prima di noi, ha creduto in Lui.
Mostriamo di che tipo e qualità sarà la venuta dell'Anticristo, in quale occasione e in quale tempo sarà rivelato "l'iniquo", donde e da quale tribù proverrà, e qual è il suo nome, indicato nella Scrittura mediante il "numero"... Soltanto il ritorno del Messia sancirà la totale distruzione del male. Sino ad allora l'attesa dell'anticristo, personificazione dei mali ancora operanti nel mondo e figura ereditata dalla tradizione ebraica, si farà sempre più ansiosa e opprimente. Ippolito nel suo singolare trattato De Antichristo, scritto in greco verso il 200, raccogliendo tutto ciò che la Bibbia offre sulla figura dell'antimessia, riesce a creare un'autentica "anticristologia". La figura dell'oppositore di Cristo viene presentata dall'autore - sulla cui identità si è tanto dibattuto - all'interno di coordinate storico-politiche ben precise. L'impero romano, ai tempi delle persecuzioni dei cristiani, sebbene non sia considerato l'anticristo, avendolo in potenza già in sé, ne costituisce il preludio. Teologo, santo e martire romano vissuto tra il II e III secolo, Ippolito è stato anche uno scrittore prolifico: sotto il suo nome la tradizione ci ha trasmesso numerosi scritti e frammenti, in prevalenza esegetici. Tra le sue opere più importanti si ricorda, il trattato sul Cantico dei Cantici, sul Libro di Daniele e Philosophumena.
Descrizione dell'opera
La Regola di san Benedetto sta a fondamento di tutto il monachesimo occidentale ed è sicuramente una delle radici più feconde nella tradizione culturale europea: pochi testi hanno esercitato nella storia occidentale un'influenza tanto profonda. L'edizione presentata - riveduta e ampliata secondo l'ultima edizione dell'originale tedesco - permette un approccio integrato e pluridimensionale al testo della Regola, fornendo al lettore gli strumenti critici secondo diversi livelli di approfondimento. L'Introduzione inquadra la Regola nel suo contesto storico, sociale e religioso, ne mette in risalto gli elementi innovativi e originali rispetto alle altre Regole che comparvero nello stesso periodo e soprattutto mostra come essa venne recepita nell'ambito ecclesiale del Medioevo e dei secoli successivi. Il cuore del volume è costituito dall'edizione critica del testo latino della Regola accompagnato dalla traduzione italiana, che si contraddistingue per precisione, per perfetta aderenza all'originale e, al tempo stesso, per uno stile estremamente scorrevole e leggibile. Il testo è corredato da un esauriente commento esplicativo che spiega la Regola parola per parola, ne esplicita i riferimenti biblici e patristici, mette a fuoco la teologia, la spiritualità e il pensiero di san Benedetto. Tale commento esplicativo e l'apparato di note che lo accompagnano sono redatti secondo i più aggiornati criteri di scientificità, ma, al tempo stesso, non ostacolano il lettore che vuole limitarsi al solo testo. Infine, la bibliografia aggiornata, un dettagliato indice analitico e una tavola, che guida alla lettura della Regola nel corso dell'anno, sono preziosi strumenti per chiunque voglia addentrarsi nell'esplorazione della straordinaria spiritualità di san Benedetto.
Sommario
Introduzione. Testo integrale latino-italiano della regola di Benedetto e commento. Bibliografia. Indici.
Note sui curatori
GEORG HOLZHERR è monaco benedettino, professore di teologia, liturgia e diritto canonico. Per oltre 30 anni è stato abate del monastero di Einsiedeln e membro della Conferenza Episcopale Svizzera, con incarichi importanti in situazioni difficili. Risiede nell'abbazia di S. Lazzaro di Seedorf, padre spirituale di quella comunità di monache. Spiega ogni giorno la Parola di Dio sul sito www.gotteswort.ch (parola e immagine). Il suo commento alla Regola di san Benedetto, giunto alla 7a edizione e tradotto in varie lingue, si distingue per la vasta e scientifica conoscenza del testo sotto tutti i vari aspetti - storico, filologico e spirituale - e per la capacità di farlo gustare come guida di vita cristiana. L'edizione italiana è stata curata dalle MONACHE BENEDETTINE DELL'ABBAZIA «MATER ECCLESIAE» dell'isola di San Giulio sul lago d'Orta (Novara), sotto la guida della loro abbadessa, Anna Maria Cànopi.
Un classico dell'apologetica, della storia della cultura e della filologia: uno de più straordinari florilegi di autori dell'antichità classica mai pervenuti.
Preparazione evangelica può essere considerato un vero e proprio monumento dell’intera cultura occidentale: si tratta di uno scritto che, pur appartenendo al genere letterario dell’apologetica, si colloca nella storia della cultura e della filologia, in quanto uno dei più straordinari florilegi di autori dell’antichità classica mai pervenuti. Non c’è scrittore, poeta, storico o filosofo, di cui Eusebio non citi almeno una volta un passo o un verso. Sotto questo profilo l’opera ha il pregio innegabile di aver contribuito a meglio comprendere autori i cui testi ci sono pervenuti e a farci conoscere testi di autori altrimenti sconosciuti. Il secondo tomo completa la pubblicazione.