
Dibattiti e discussioni nel mondo universitario hanno portato l'autore, ordinario di filosofia teoretica presso la II Università di Roma, a riproporre in modo nuovo, un sapere che risponda all'interrogativo più pressante: "perché vivo?". I temi che più interessano possono essere scelti subito, da ciascuno. Infatti l'autore ha avuto cura di non disperdere uno dei frutti del dialogo a viva voce: venire incontro alle esigenze e agli interrogativi di ciascuno.
Narra un antico testo persiano che quando Giuseppe fu messo in vendita dai suoi fratelli si presentarono molti compratori, tra cui una vecchia che stringeva alcuni gomitoli di lana."Anima semplice" le disse il sensale "come puoi comprare un simile gioiello di schiavo con i tuoi gomitoli?" "Lo so che non potrò comprarlo" rispose la vecchia "mi sono messa in fila perché amici e nemici possano dire: anche lei ci ha provato". La vecchia, spiega Luisa Muraro nelle prime pagine del suo nuovo libro, è un esempio dell'anelito di chi cerca e, pur sapendo che non potrà mai raggiungere lo scopo, non rinuncia ad avvicinarsi. Cosa sarebbe, infatti, la vita senza grandi desideri? Nella cultura che cambia senza andare avanti, in un'economia che si espande ma non fa crescere né la gioia né il senso di sicurezza, nella vita che sembra tutta un mercato, con l'umanità stretta fra il troppo e troppo poco, traspare l'intuizione che il reale non è indifferente al desiderio e non assiste indifferente alla passione del desiderare, nonostante ci capiti spesso di fare l'esperienza di una loro apparente, reciproca estraneità. Come per la vecchia della lana, ci sono tanti modi di "andare al mercato", scrive Luisa Muraro, contro la parzialità della ragione e a difesa delle "illusioni" che la poesia e la religione ci aiutano a intrattenere oltrepassando il livello del conformismo, forti nella certezza di essere destinati a qualcosa di grande.
"In una famosa storiella ebraica, un padre chiede al figlio di saltare dalla finestra. All'inizio il ragazzo, spaventato, esita. 'Non ti fidi di tuo padre?' gli chiede quest'ultimo per rassicurarlo. E il ragazzo si decide a saltare. Cadendo, si ferisce. 'Ecco, adesso lo sai,' dice il padre al figlio in lacrime 'non devi fidarti di nessuno. Nemmeno di tuo padre!' Questa storiella è inquietante, ma ci permette di formulare domande fondamentali." Così Michela Marzano dà avvio alla sua riflessione sul senso e sul valore della fiducia negli altri nella società contemporanea in cui, da tempo, dominano paura e sfiducia. Utilizzando autori classici e contemporanei e richiamando non solo le riflessioni di filosofi e sociologi, ma anche di narratori, poeti e psicoanalisti, Michela Marzano elabora una vera e propria etica della fiducia. Un pensiero attento e intenso che si interroga sul "come" ci affidiamo o no ai nostri simili, ma anche sulla nostra posizione nel mondo a partire dalla fiducia che accordiamo o neghiamo. Nel trionfo della società liberista, dove la sociologia e la psicologia hanno costruito una "religione della fiducia di sé", si crede di vivere in una "società affidabile". In realtà, afferma l'autrice la nostra società contemporanea è una società della sfiducia. È un mondo in cui la paura vince e il sospetto dilaga. Perché la fiducia è pensata e concepita solo come riproduzione contrattuale del rapporto debitore-creditore.
Nessuno quanto Henry Bergson ha influito tanto sul pensiero di Deleuze e sulla sua idea di filosofia, intesa come creazione di valori e concetti. Per questo così rilvanti appaiono le sue considerazioni sul pensatore dello "slancio vitale". Il testo dal titolo "Il bergsonismo", per esempio, è una precisa, chiara e pregnante introduzione al pensiero di Bergson, una divulgazione di alto livello che mostra con originalità non il Bergson scolastico, ottocentesco e un po' sbiadito, cui molta critica ci ha abituato, bensì il pensatore geniale che sempre più si pone come interlocutore nelle riflessioni sulla scienza.
Uno dei temi più discussi nella filosofia morale contemporanea è quello della razionalità del comportamento morale: che cosa ci spinge a fare ciò che consideriamo giusto? O meglio: quali ragioni ci sono per fare ciò che giudichiamo di dover moralmente fare? Si tratta di ragioni di tipo particolare, diverse da quelle che giustificano scelte e comportamenti che non appartengono alla sfera della valutazione morale? E ancora: che cosa ci induce ad adottare i comportamenti che consideriamo razionali. In altre parole, c'è un legame tra la giustificazione di un'azione e la motivazione a compierla? Nel cercare la risposta più soddisfacente a questi interrogativi, l'autrice combina costantemente il rigore dell'argomentazione teorica con la chiarezza dell'esemplificazione, e riesce così ad analizzare e discutere in modo efficace le principali teorie della motivazione (da quelle classiche di Hume e Kant, a quelle più recenti di Prichard, Hare, Murdoch e Williams), per prendere infine posizione in difesa dell'idea che "giudicare" moralmente un'azione o una persona sia cosa molto diversa dal "descriverle".
Credevamo di essere onnipotenti e sbagliavamo. Credevamo di aver capito tutto e non avevamo capito niente. Gli anni della pandemia hanno costituito un grande reset, per tante certezze e tante convinzioni, e il risultato è un trauma collettivo di cui oggi viviamo le conseguenze: una situazione di gravissimo contrasto sociale, patologie psicologiche diffuse in forme acute soprattutto tra i giovani, un'incertezza generale sul futuro. Dobbiamo ritrovare un filo di Arianna in ciò che abbiamo vissuto e usarlo per ricucire la trama della nostra convivenza, se vogliamo sopravvivere come specie. E questo filo è fatto di pensiero e di resistenza: alla disinformazione, alle tentazioni del controllo sociale, a un'«era dello squalene» segnata da sopraffazione e sfruttamento, alla deriva del transumanesimo che minaccia innanzitutto la nostra medicina. Una concezione aberrante secondo cui le persone non sono unioni irripetibili di corpo e anima ma solo oggetti da trattare, da riempire di pillole e vaccini, fino all'estremo di sopprimerle quando non più «funzionali». Susanna Tamaro tesse in queste pagine una riflessione sulla natura e sul nostro posto nel mondo, dando voce ai dubbi di molti, non solo sulla gestione passata della pandemia ma sulle intenzioni future di una scienza e di una politica che sembrano aver contratto il virus più pericoloso: la cecità di fronte alla verità della vita. Questo libro suona le trombe di Gerico e sgretola il muro dei pregiudizi, delle polemiche e dell'arroganza: uno sguardo che si alza libero e ci offre una prospettiva nuova, come un volo di rondini.
Che cos'e il bene? Possiamo dire di averne un'idea chiara e condivisa? L'Autore rilegge qui l'opera di Levinas come una lunga e serrata meditazione sul primato del bene. Attraverso l'ascolto delle pa role del filosofo ebreo, la traccia del bene si manifesta infatti come origine dell'umani ta. Il volto dell'altro - la responsabilita cui ci chiama - e`epifania e significazione di questa origine. Si sviluppa cosi`un dialogo con levinas mirato ad approfondire la verita del bene e della sua logica, la logica del dono. Il dono e`infatti la forma comunicativa propria di ogni relazione nella quale non si incontra l'alt ro per possedere ma per amare. Proprio la logica della gratuita permette di ripensare la relazione costitutiva tra identita e alterita senza sacrificio dell'io o dell'altro. Il percorso del testo vive di una continua correlazione interpretativa. Da un lato il paradigma del dono serve a porre sotto una luce inedita il pensiero di levinas, dall'altro il co nfronto con i suoi testi conduce ad approfondire il senso umano e il valore etico di una logica del dono. Da qui la possibilita che riaffiori il significato radicale della filosofia stessa come sapienza dell amore.
L'opera più rappresentativa della fenomenologia di Edmund Husserl, viene qui analizzata e approfondita nel primo commentario completo realizzato in Italia.
Questo libro, scritto prima che l’autrice abbandonasse l’Ungheria e pubblicato per la prima volta in Germania nel 1978, offre spunti di riflessione ancor oggi di grande attualità. Se è vero che allo scienziato non occorre la filosofia per convalidare i propri metodi, è altrettanto vero, sostiene Heller, che è necessario ricorrere alla filosofia per rispondere alle domande: come si deve pensare? Come si deve agire? Come si deve vivere? La filosofa ungherese invita la filosofia a svegliarsi dal letargo in cui il prevalere del dominio scientifico l’ha confinata e a riguadagnare la propria radicalità di pensiero, fondata sull’unità di Vero e Bene, di teoria e prassi.