
Secondo un ricorrente adagio la storia è finita; chi propugna questa tesi vede nell'accelerarsi degli eventi, nel contrarsi delle epoche come spazi unitari di senso e nel prevalere della dimensione della simultaneità sulla sequenzialità, altrettanti argomenti a favore di essa. Alla fine del mondo storico si accompagna inesorabilmente la fine dell'uomo come centro di imputazione di scelte e come donatore di senso, le azioni dei singoli non veicolando più alcuna sintesi o incarnando alcun universale, ma riducendosi a puro medium di un operare sistematico anonimo e reticolare. Anche il fondamento della democrazia muta.
Come si può capire un’opera d’arte? Come si può comprendere la sofferenza psichica? Come si può accogliere il mistero del sacro? I discorsi e le logiche di cui disponiamo, orientati a misurare l’efficienza e l’utilità, lasciano senza risposta tutte queste domande e non possono dare una cura ai conflitti della mente umana. I «discorsi inutili», invece, non perseguono l’obiettivo di una soluzione pratica, ma producono pensieri ed emozioni, creando un nuovo spazio mentale in cui ricostituire la relazione affettiva fra essere umano e mondo, fra sé e altro. I «discorsi inutili» liberano lo spazio mentale dai vincoli imposti dal conformismo sociale e dall’etica del successo, aprendo a una nuova visione, in cui la propria dimensione è sottratta al calcolo delle utilità; sono discorsi gratuiti, in cui non è possibile distinguere chi dona e chi riceve, sperimentando la piena presenza dell’incontro e riscoprendo la complessità unitaria della relazione fra gli esseri umani e l’Universo.
La crisi ambientale, pur nella sua estrema gravità, ci ha fatto prendere coscienza del comune destino di tutti gli esseri che vivono sul nostro pianeta, ricordandoci il rispetto che a ciascuno di essi è dovuto. In questo senso, essa può costituire un'occasione straordinaria, sia per reimpostare in modo corretto il rapporto tra uomo e natura, in particolare, attraverso il superamento della mentalità meccanicistica e dell'antropocentrismo sfrenato, che hanno dominato in questi ultimi secoli, sia per riprogettare in termini nuovi il rapporto tra uomo e uomo e tra stato e stato. Il superamento della crisi ambientale implica infatti profonde trasformazioni a ogni livello: economico, politico, sociale, scientifico, tecnologico, culturale. Proprio per questi suoi tratti, l'ecologia rivela una valenza fortemente utopica, di progetto per una società più giusta e prospera. I saggi di questo volume propongono principi e norme etiche che, oltre a provocare un cambiamento nei comportamenti quotidiani di ciascuno di noi, implicano anche un mutamento della prassi sociale nella sua globalità.
Straordinariamente plurima nei suoi significati, la parola solitudine richiama vissuti molto diversi e risonanze valoriali perfino contrapposte. La solitudine è per alcuni sofferenza, per altri sollievo; per alcuni malattia, per altri cura. Nella solitudine l'umanità appare talvolta dolorosamente perduta, in altri casi riconquistata. Solitudine può significare chiusura, angoscia, afflizione, ma anche pace, liberazione da esteriorità dispersive, scoperta di relazioni più autentiche con se stessi e con gli altri. Devastante da una parte e generativa dall'altra, la solitudine può angosciare ma anche ispirare grandi pensieri: "Da chi non ha mai vissuto in solitudine raramente vien fuori qualcosa di buono o di cattivo. Nella solitudine si trova l'assoluto, ma anche il pericolo assoluto" (S. Kierkegaard). La declinazione al plurale del titolo di questo volume e delle indagini multidisciplinari in esso contenute, dà conto della complessa fenomenologia dell'essere e del sentirsi soli, di cui ci ha resi maggiormente avvertiti anche l'esperienza pandemica dei nostri giorni.
Il presente volume è redatto con lo scopo di presentare alcuni temi fondamentali della filosofia agli studenti ma a tutti gli interessati con un linguaggio semplice e comprensibile anche dai non addetti ai lavori. È diviso in sei capitoli, ciascuno dei quali si conclude con una Bibliografia essenziale sugli argomenti trattati. Meli affronta anche questioni storiografiche nodali come il rapporto tra cristianesimo e filosofia sia nel medioevo e sia al momento della nascita della scienza moderna. Analizza inoltre il pensiero e l’analisi del linguaggio da Frege in poi e il realismo semantico di Putnam. Si evidenzia anche il concetto di esperienza come luogo di “presentazione” dell’essere e punto di partenza della filosofia e tratta la questione del “finalismo” sia nell’applicazione «ai grandi interrogativi posti dagli sviluppi delle conoscenze scientifiche (origine dell’universo, della vita, dell’uomo; creazionismo versus evoluzionismo; rapporto spirito-mente-corpo; corretta valutazione della prospettiva del “disegno intelligente”) sia rispetto all’agire umano, perché senza una struttura teleologica è impossibile giustificare il comportamento morale» (dalla Prefazione di Mauro Mantovani, Rettore Magnifico dell’Università Pontificia Salesiana).
Per pensare l’educazione occorre interrogarsi sul nostro continuo parlare del bene: sulla sua speciale evidenza, sul suo nesso con la ragione ma anche con tutto il nostro sentire e con le umane possibilità di felicità. Queste pagine offrono una fenomenologia dell’esperienza umana del bene agli educatori, di oggi o di domani, affinché abbiano l’occasione di fare una sosta filosofica e considerare la responsabilità etica connessa al loro compito. Chi educa è chiamato non solo a rispondere del bene dell’altro, ma innanzitutto ad essere testimone credibile, e persino affascinante, della propria personale ricerca del bene.
Giuseppina D’Addelfio è professoressa associata di Pedagogia generale e di Filosofia dell’educazione presso l’Università degli studi di Palermo. Tra le sue pubblicazioni: Desiderare e fare il bene (Vita & Pensiero, 2008); Filosofia per bambini ed educazione morale (La Scuola, 2011); In altra luce. Per una pedagogia al femminile (Mondadori, 2016); Diritti per l’educazione. Contesti e orientamenti pedagogici (Scholé, 2020, con M. Amadini, A. Augelli, A. Bobbio, E. Musi); Affettività ed etica nelle relazioni educative familiari. Percorsi di Philosophy for Children and Community (FrancoAngeli, 2021, con M. Vinciguerra).
"Chi sono?": è questa la domanda fondamentale che decide della vita e delle scelte di ognuno. L'identità individuale, la dimensione dell'interiorità, il rapporto con il cosmo e con la natura, la possibilità di oltrepassare la finitezza dell'umano troppo umano: sono alcune delle questioni cui fa eco il percorso qui proposto nell'ascolto della tradizione sapienziale e iniziatica greca. Partendo dalla sentenza fondante dell'oracolo delfico, "Conosci te stesso", e dalla scena dell'Alcibiade platonico - che invita a reperire la radice di sé nel riflesso pupillare del divino - si dipana un viaggio che attraversa le opere di Plotino, Porfirio, Giamblico, Sinesio e Proclo: l'universo della mente e il coglimento dell'unità del tutto, la rete dei simboli e dei miti che legano visibile e invisibile, il dominio dell'immaginazione vera, la teoria dei corpi sottili, le pratiche della teurgia, le relazioni tra macro e microcosmo forniscono altrettanti spunti per tracciare le linee di un possibile lavoro su di sé. Un lavoro interiore nutrito da parole e immagini per ridestare la coscienza dal suo sonno e condurre l'anima a divenire ciò che da sempre è.
Che cosa sono le potenze dell'anima? A questa domanda che suonò alquanto peregrina nell'atmosfera tumultuosa degli anni intorno al 1968 Elémire Zolla, allora quarantaduenne e al suo quarto libro del ciclo di critica sociale, si cimentò a rispondere per un'esigenza anzitutto personale: esplorare le falde del mondo interiore, lo si chiami anima, psiche, coscienza, sé, intelletto o spirito e lì dentro, nel groviglio di un sentire comunemente tormentato e diviso, cogliere la radice dell'infelicità, del disincanto, dell'indifferenza dell'uomo contemporaneo, anche però una via all'emancipazione, al risveglio di energie salutari esplorate nelle tradizioni del pensiero profondo in Oriente e Occidente. Nella Parte prima Zolla scruta la 'prigione' di un'esistenza del tutto esteriorizzata e appiattita, con enorme anticipo sulle avvenute dipendenze dalle tecnologie digitali; ricostruisce le antiche e dimenticate terapie della malattia psichica, dal dionisismo all'incubazione onirica, all'eros sublimato nella poesia stilnovistica. Scandaglia la topografia dell'interiorità nella raggiera di metafore che a essa alludono giacché «quando si vuole nominare una realtà invisibile bisogna obbedire alle leggi dell'analogia»: il vento, l'ombra, il custode, il soffio, il nagual. Nella Parte seconda Zolla ricostruisce la tassonomia delle facoltà dell'uomo interiore nei repertori delle antiche civiltà, dall'Egitto a Israele, al Tibet, all'India, alla Cina taoista, ai mondi greco, romano e cristiano. Un libro antesignano, come i tanti di Zolla sul contrasto insanabile tra i 'poteri' dominanti secondo la logica mondana e le 'potenze' interiori ribelli alla sottomissione.
La filosofia sembra, in tempi pieni di disperazione, diffidare della speranza. Il tentativo di queste pagine è invece quello di rimetterla al centro della riflessione filosofica, attraverso uno statuto dialettico ben preciso. Ogni volta che speriamo, infatti, è in opera un lavoro sul negativo che prefigura una riconciliazione, una sutura, un passaggio di liberazione. Non che questa sutura sia prevedibile, essa si può solo sperare, appunto. Si tratta d'immaginare quel che non si può propriamente sapere. Un divieto d'ontologia libera la latenza etica della speranza e, finalmente, la rende esperienza autenticamente umana, capace di orientare e trasformare l'azione dell'uomo. È la regola della speranza che permette di custodire - fin dentro l'esperienza del negativo - l'irriducibile necessità del meglio, l'umana disposizione alla felicità, l'esigenza della giustizia, la trasfigurazione etica della totalità.
Perché è così urgente ridare senso a quel modo di vivere della persona che nega l'inevitabilità del male e viene comunemente chiamato "spirito critico"? Il male si diffonde secondo modalità sempre più pervasive ed imprevedibili e mai come in questi tempi l'umano sembra essere razionalmente impreparato ad affrontarlo e drammaticamente capace di tollerarlo e riprodurlo. I modelli teorici proposti da Theodor W. Adorno e Michel Foucault hanno la forza di offrire un'alternativa a questo impoverimento spirituale e di sensibilizzarci verso possibilità inedite legate al valore della dignità.
Facendo il verso ad Aristotele, si può sostenere che la conoscenza si dice in molti modi. Non si tratta solo della passiva rinuncia a ogni negoziato davanti all'inemendabilità di un oggetto naturale, ma anche del fine sintonizzarsi delle emozioni su profili di valore; della salutare cecità patita dal soggetto davanti alla gloria di certi fenomeni; di quello stare al mondo che precede e, contemporaneamente, rende possibile ogni opposizione polare fra soggetto e oggetto; del raccogliere la sfida da un testo che attende di dischiudere l'inedito. Formato alla scuola del pensiero contemporaneo, il soggetto resiste alla corrosione e al prematuro pensionamento, ma si lascia docilmente assegnare il ruolo del discepolo da una realtà che non smette di sorprendere con la sua ricchezza.
I contributi raccolti nel presente volume ruotano attorno ai due poli della riflessione filosofica di Luigi Pareyson: l'esistenza - intesa come accesso non solo alla vita personale, ma alla realtà tout court - e il lógos - inteso come linguaggio, ragione, ma che rimanda anche al Lógos del Vangelo secondo Giovanni, là dove entra in scena il Lógos che è presso Dio e che si fa carne. Esistenza e lógos chiamano così in causa la riflessione filosofica con l'esperienza religiosa di cui è interpretazione. Pareyson invita a riconoscere la complementarietà di filosofia e religione, ma proprio per questo anche la loro differenza. È questo il punto zero dal quale le riflessioni contenute in questo libro prendono l'avvio, nello spazio comune aperto dal pensiero pareysoniano.