
Nessun argomento forse è avvolto nel mistero quanto la dottrina e la filosofia yoga. Molti hanno praticato la cultura fisica associata a una scuola di yoga: ma troppo spesso l'hanno fatto rinunciando agli insegnamenti più alti e più profondi dell'antichissima scienza. Questo libro, offre un'esposizione chiara, intelligibile, dei punti di vista filosofici e spirituali che la sostanziano. Potrà essere di utilità particolare agli studiosi occidentali perché la dottrina è presentata sia alla luce del pensiero antico che di quello moderno. L'autore ha fondato il proprio studio sui famosi Yogasutra di Patañjali, scritti molti secoli fa; li presenta in questo libro nella loro versione integrale, con commento e un'attenta interpretazione, e chiarendone in numerosi punti i concetti più difficili mediante analogie moderne. A ciò è riuscito perché tanto è profondamente versato nella filosofia e nella saggezza dell'India antica quanto è altamente qualificato come scienziato moderno.
La visione del mondo elaborata nella cultura medievale appare caratterizzata da una tensione alla trascendenza e al divino. Per usare le parole di Jacques Le Goff, l’uomo medievale è dotato di una mentalità simbolica, in ragione della quale le cose del mondo fisico non devono essere considerate come autentiche realtà, res, ma semplici signa, che rinviano ad altro e disvelano, senza mai renderla del tutto conoscibile, la verità trascendente, il mistero del divino. Questa mentalità simbolica ha come esperienza fondante la meditazione sulle Scritture: la Bibbia è il luogo, fisico e metafisico al tempo stesso, in cui la verità divina è rivelata. Di qui la necessità di interpretare il testo sacro, di comprendere in quali passi sono celati sensi nascosti e come decifrarli. Giovanni Scoto Eriugena, la cui opera è passata al vaglio in questo volume, rappresenta uno degli esempi più ricchi e speculativamente complessi della ‘mentalità simbolica’ medievale. Egli è il primo autore latino a utilizzare in modo sistematico e non generico il termine symbolum, legandolo sia alla sfera dell’attività semiotica del significare, sia al tema del discorso figurato e della rivelazione misterica. Il tema del symbolum viene ripensato da Eriugena all’interno di un peculiare orizzonte filosofico e investito di uno specifico significato speculativo e teologico. Il simbolo diviene, nel ricco orizzonte teoretico eriugeniano, un dispositivo metafisico che agisce come occasione e strumento per una relazione tra finito e infinito. Nei suoi scritti Eriugena usa anche altre tipologie del dire traslato, in particolare ‘metafora’ e ‘allegoria’. La presenza nei suoi testi delle tre più rilevanti categorie del discorso figurato permette di sviluppare, come avviene in questo volume di Francesco Paparella, un’analisi comparata tra di esse, per comprenderne le peculiarità e i caratteri comuni. In tal modo diventa possibile identificare il nucleo di una teoria del simbolo in grado di fungere da modello generale per interpretare il funzionamento dei dispositivi simbolici presenti anche in autori di epoche diverse.
Francesco Paparella è assegnista di ricerca presso il corso di laurea in Scienze e tecnologie della comunicazione dell’Università IULM di Milano. Studioso del pensiero neoplatonico e delle sue ramificazioni nella tradizione speculativa dell’epoca di mezzo, ha approfondito l’analisi degli aspetti semiotici ed estetici nella filosofia tardoantica e altomedievale. Tra le sue pubblicazioni: La storia in Eriugena come autocoscienza divina (2002); Proclo, Tria opuscula. Libertà, provvidenza, male (2004); Le felicità nel Medioevo (2005, con Maria Bettetini).
Il testo affronta le nozioni fondamentali della politica, facendo parlare i filosofi più rilevanti della tradizione occidentale e illustrando i temi salienti del discorso politico (autorità, potere, giustizia, diritti, rappresentanza, diritto di resistenza, costituzione, pluralismo, tolleranza, bene comune, globalizzazione, religione e politica). Se la politica deve essere di tutti, tutti siamo chiamati a conoscerne la storia e i concetti per essere capaci di affrontare il discorso pubblico con argomenti motivati, personali e critici.
DESCRIZIONE: Il problema da cui prende le mosse il libro è se sia possibile una teoria fenomenologica della soggettività capace di dar conto della fisiono- mia della soggettività stessa, o se invece questa possa soltanto essere presupposta ma non autenticamente indagata. Ci si deve chiedere se quella che Husserl chiama l’«oscurità» del soggetto sia tale per disporsi a ricevere la luce del chiarimento fenomenologico, essendo la dimensione dell’inconscio essa stessa parte integrante della soggettività. Di qui il confronto con Freud, che più di altri ha scavato nel cono d’ombra della psiche. Un confronto che investe non solo gli stili conoscitivi della fenomenologia e della psicoanalisi – l’epoché e l’archeologia – ma anche categorie quali coscienza, passività, ritenzione, rimozione, tempo. Emerge un’immagine paradossale della soggettività, divisa tra necessità di rischiarare il vissuto e suo impossibile compimento: un paradosso sul quale la filosofia deve sostare.
COMMENTO: Il primo confronto tra il padre della fenomenologia e il padre della psicoanalisi.
FRANCESCO SAVERIO TRINCIA è professore di Filosofia morale nella Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma “La Sapienza”. È autore di: Il Dio di Freud (Milano 1992); Freud e il Mosè di Michelangelo (Roma 2000); Normatività e storia. Marx in discussione (Milano 2000); Il governo della distanza. Etica sociale e diritti umani (Milano 2004).
Questo studio sull'estetica di ispirazione tomista, animato dall'intento di riattualizzarla, ebbe una irradiazione considerevole nell'ambiente degli artisti, dei filosofi e dei teologi, in quella temperie spiritualmente e culturalmente fecondissima e fermentante della Parigi degli anni Venti, tra le "sperimentazioni" di Jean Cocteau, l'arte di Henri Ghéon, di Francis Jammes e di Max Jacob, la pittura di Georges Rouault, quella di Gino Severini e l'avanguardia musicale di Erik Satie, di Arthur Lourié, di Francis Poulenc, di Georges Auric, di Darius Milhaud, di Igor Stravinskij. In un mondo così caleidoscopicamente "anarchico", le chiare distinzioni concettuali e il senso del mistero del soggetto umano nel suo "fare" artistico, propri dell'estetica che si riallaccia a san Tommaso - attraverso l'intelligenza vigorosa e la sensibilità artistica di Jacques Maritain, affinata dalla consuetudine con la delicata poesia religiosa di Raissa - stabiliscono un ordine profondo e organico, al di là delle artificiose "sistemazioni" ideologiche.
L'opera prende in esame le radici dell'ateismo nel pensiero occidentale, completando l'itinerario di studio avviato della "Storia dell'ateismo moderno" di C. Fabro. Nel pensiero presocratico si evince, accanto ad una presenza del teismo, un prevalente orientamento agnostico, con suggestioni ateistiche. L'opera è un autorevole contributo agli studi di filosofia antica e offre una valutazione di questa alla luce di una tensione etico-politica, che ha sullo sfondo il problema religioso.
Il volume presenta il dibattito tra due indirizzi filosofici diversi: da una parte l'indirizzo ermeneutico e, dall'altra, la teoria critica.
Attraverso una accurata selezione di testi classici, introdotti e discussi, la ricostruzione di un tema che corre lungo tutto l'arco della riflessione in filosofia, politica e morale.
In questo libro Harvey offre una panoramica della crisi della modernità vista attraverso l'analisi degli anni Ottanta, del "rampantismo" diffuso. È una indagine serrata, che accosta e attraversa il dibattito culturale, la mutata esperienza dello spazio e del tempo, l'arte e l'architettura postmoderna, le trasformazioni del modello fordista, l'internalizzazione delle attività finanziarie e la nuova stratificazione sociale.
"Il fondamento vero e proprio della distinzione sta qui: si crede in qualcosa di veramente primo e originale nell'uomo stesso, nella libertà, nella migliorabilità infinita, nell'eterno progredire della nostra specie; oppure, se non si crede a nulla di tutto ciò, anzi erroneamente si ritiene d'intendere e di capire che è vero il contrario di tutto questo." (Johann Gottlieb Fichte)
È lo scritto capitale di Fiche (1762-1814), che sta alla base di tutte le sue successive (ben 11) rielaborazioni e anche delle altre opere fichtiane. Esso vuole dare una fondazione teoretica di tutto il sapere, dedotto da un unico principio assoluto: l'Io. Questo Io non è però una semplice astrazione, ma raccoglie in sé anche l'ideale del dovere e si pone, quindi, come la sintesi della teoria e della prassi, come punto d'orientamento del pensare e dell'agire. In questa edizione, curata da Guido Boffi, il saggio introduttivo ricostruisce il contesto problematico e storico-concettuale della genesi dell'opera e le sue premesse nelle precedenti indagini fichtiane.