
Le scoperte degli ultimi dieci anni delle cosiddette "nuove scienze", neuroscienze, neurobiologia, neuropsicologia, neurosociologia, etologia cognitiva, hanno dato nuova vita alle teorie scientifiche darwiniane, innescando decisive e inimmaginabili implicazioni filosofiche e culturali. Di fronte all'esplodere di una miriade di darwinismi derivati dalle "nuove scienze", la domanda cruciale alla quale questo libro risponde è: di quale darwinismo abbiamo bisogno per comprendere la coscienza e la coscienza morale? Grazie ad una trattazione sistematica e rigorosa, e a un linguaggio chiaro e comprensibile, "Darwinismo morale" si pone come un completo e aggiornato testo riguardante le implicazioni morali derivanti dalle neuroscienze e dalle teorie di Charles Darwin.
Il Rinascimento, presentato abitualmente come l'età dell'emergere del sapere scientifico, è anche "tempo di maghi" un tempo che proietta la sua ombra persino su quest'epoca, così razionale e disincantata, ma che pure conosce miracoli e oroscopi, fatture e filtri d'amore. Paolo Rossi, storico della scienza italiano, mostra come l'impresa scientifica abbia liberato la tecnica da ogni ipoteca magico-prodigiosa, anche se la tentazione del magico è ancora oggi in agguato.
Le concezioni naturalistiche si caratterizzano per avere sempre assunto il fatto quale fondamento oggettivo, come se esso fosse autonomo e autosufficiente, cioè non in relazione al soggetto che lo rileva. Di contro, la prospettiva metafisica, intesa in senso non dogmatico, ha riconosciuto che solo l'assoluto può valere quale autentico fondamento, ancorché esso non sia determinabile proprio perché assoluto. Per approfondire le aporie della concezione naturalistica, alla luce della prospettiva metafisica qui delineata, questa ricerca tematizza il ruolo svolto dall'atto di coscienza. Infatti, l'atto di coscienza, che è illuminato dal fondamento, dispone l'esperienza su tre livelli. Il primo livello è quello percettivo-sensibile, nel quale il dato appare come indipendente e, per questo, originario. Il secondo è quello concettuale-formale, nel quale si rivela la struttura costitutiva del dato, cioè la relazione che lo vincola a ogni altro dato e al soggetto cui è dato. Il terzo livello è quello trascendentale, nel quale la relazione non viene più intesa come nesso tra dati, ma come il riferirsi intrinseco di ciascuno, che fa di ogni dato un segno di quell'unico significato che emerge oltre l'esperienza ordinaria.
Il volume presenta pagine scelte di: Bultmann, Derrida, Dilthey, Foucault, Gadamer, Geertz, Habermas, Hegel, Heidegger, Nietzsche, Pareyson, Peirce, Ricoeur, Rorty, Schelling, Schleiermacher, Spinoza, Thom, Vico, von Foerster.
Nell'epoca moderna e contemporanea il concetto di libertà da sempre questione nodale del pensiero umano è diventato centrale e 'decisivo' sotto tutti i profili: teoretico, morale, politico, giuridico. Cornelio Fabro, uno dei maggiori filosofi del Novecento, l'ha considerato determinante al pari della questione dell'essere: essere e libertà, infatti, sono stati i due grandi temi della sua vasta opera. In questo volume, che può essere legittimamente considerato un libro a più mani, si soffermano sul grande e complesso problema diversi autori, taluni dei quali hanno avuto la possibilità di conoscere personalmente il filosofo e di confrontarsi con il suo pensiero.
Dopo la pubblicazione del "Tractatus logico-philosophicus", Wittgenstein riprese sistematicamente a filosofare solo nel 1929, cioè dopo un intervallo di quasi quindici anni dalla stesura del suo primo libro. Se consideriamo che tutto il materiale da cui furono tratte le "Osservazioni filosofiche" risale a quel periodo, non sorprende di trovare in quest'opera una presa di coscienza e una radicale disamina dei lati più problematici o decisamente insostenibili del geniale sistema del "Tractatus". L'opera contribuisce ad abolire definitivamente almeno un luogo comune: quello di un Wittgenstein filosofo del linguaggio ideale convertito in epoca matura alla filosofia del linguaggio ordinario.
Jankélévitch conferma in questo "Corso" la fecondità di un pensiero che parla di morale senza cadere nel moralismo, scava nei concetti evitando il concettualismo e coniuga il dovere con l'amore, muovendo dall'importanza che l'intenzione e la volontà hanno nell'esperienza morale. Né Husserl né Heidegger ma Pascal e Tolstoj sono i riferimenti dell'autore, filosofo laico ma attento alla lezione dei mistici, oltre che a quella dei classici (Platone, Aristotele, Agostino). Queste lezioni sono esemplarmente indicative della ricchezza spirituale che la filosofia può dare all'individuo.
La progressiva ascesa dell'India a protagonista della scena mondiale, in termini che solo qualche decennio fa sarebbero stati impensabili, ci costringe a riconsiderare l'immagine in cui l'Occidente l'ha rinchiusa da più di due millenni. Immagine prestigiosa, forse, ma anche duramente unilaterale, di luogo privilegiato di saperi occulti, di estasi e ascesi o per converso di favolose ricchezze e morbidi piaceri. Più che dedicarsi alla conoscenza dell'India, l'Occidente ha preferito sognarla: una conseguenza fra le tante è che al pensiero dell'India, pur unanimente celebrato come la sede della più alta sapienza, non è stato concesso nemmeno un posticino d'angolo nel gran teatro delle storie della filosofia. Questo libro si propone di presentare il pensiero dell'India premoderna innanzitutto delineando i parametri culturali in cui si è sviluppato e all'interno dei quali deve essere letto, associato spesso con l'esperienza religiosa ma anche essenzialmente autonomo da essa, talvolta diverso nelle forme e negli esiti ma più spesso strettamente affiancato al pensiero occidentale.