
"Sono 2500 anni che la filosofia cerca [...] di dare un senso alla sua ricerca della verità. [...]. Forse questa 'mannaia' che ha diviso in due la storia del mondo, il mondo consacrato e il mondo dissacrato, troverà una soluzione, una sintesi, una terza strada: il filosofo non è qui per dire qual è, ma per sperare e fare in modo che ci sia" (C. Sino)
Alle radici della storia dell'Occidente, in concetti come azione, volontà, potenza, si trova l'alienazione più profonda della verità, ossia l'estremo disfarsi della verità: nel senso in cui ci si libera di una ricchezza rimanendo impoveriti. A questo principio cruciale della filosofia di Emanuele Severino è dedicato questo libro che, parlando di arte, cristianesimo, politica, diritto, economia, mostra in azione l'essenza del nichilismo, il più potente dei meccanismi dell'errare. "Quando si parla di "nichilismo"" scrive l'autore "si intende per lo più il crollo dei valori tradizionali. Inoltre, solitamente, il nichilismo è una crisi soltanto descritta, ossia è presentato come un fatto che accade, ma che sarebbe potuto o potrebbe non accadere." Queste pagine ci esortano invece a prestare ascolto alla spinta che ha provocato l'inevitabile accadere della resa al nulla. Da Dante e Leopardi fino allo stato-azienda e ai governi tecnici, la riflessione di Severino svela il meccanismo oscuro che culmina nel rovesciamento del mezzo in scopo. Il risultato è un'analisi che porta allo scoperto come lo "scambio delle parti" derivi dall'origine di ogni alienazione del destino della verità e che dimostra - con nuovi scorci e riferimenti - come "la malattia nascosta 'il culmine dell'errare' sia la persuasione che le cose siano nulla, e il viverle come un nulla".
Nonostante il suo attuale predominio sociale, la concezione "realistica" è destinata a mostrare la propria debolezza concettuale rispetto all' "idealismo"; ma non rispetto a qualsiasi forma di idealismo, sia pure grandiosa, bensì rispetto a quella forma specifica che è l'"attualismo" di Giovanni Gentile. Questa affermazione riesce sorprendente già nella cultura italiana; in quella internazionale, poi, può suonare come un'esagerazione fuori luogo. Ma se si riesce a raggiungere il sottosuolo essenziale del nostro tempo, al di là cioè di quanto riusciamo a sapere di noi stessi, ci si imbatte in qualcosa di estremamente più sorprendente. Da un lato, e contrariamente a quanto di solito si crede, l'essenziale solidarietà tra attualismo e tecnoscienza; dall'altro la capacità dell'attualismo di portare oltre l'intera tradizione dell'Occidente. Ciò significa che il pensiero di Gentile è destinato a essere riconosciuto come uno dei tratti più decisivi della cultura mondiale.
Esistono persone, anche accoppiate o sposate, che non sono mai entrate in intimità. Hanno vissuto per anni l'una accanto all'altra ma non tra di loro: l'Altro è diventato un essere familiare ma non intimo. Dell'Altro sanno tutto, atteggiamenti, gesti, collere e irritazioni, e non possono neanche farne a meno, tanto ci sono abituate. Ma ciascuna è rimasta dalla sua parte: non si sono mai incontrate. Al percorso discreto dell'intimità, così diverso da quello frastornante dell'amore, rivolge qui la sua attenzione François Jullien, mobilitando Omero e sant'Agostino ma anche Stendhal e Simenon per dare forza alla sua posizione. Mentre l'amore, con le sue dichiarazioni e le sue furie, rischia continuamente l'impostura, l'intimità è lo spazio della nostra autenticità e permette di costruire un "noi" perenne: il più profondo di ciascuno non si rivela che grazie a una relazione, a un uscire da sé.
Non è più tempo di certezze. Nel Pleistocene i maschi facevano i maschi e le femmine facevano le femmine, o almeno così ci hanno raccontato. Adesso è tutto più complicato e si affaccia il sospetto che, in natura, il sesso debole sia quello maschile. In alcuni pesci, i maschi sono diventati "nani parassiti": la loro funzione è solo quella di contribuire alla fecondazione in cambio di cibo. In altri, il maschio si è trasformato in un'appendice penzolante dal corpaccione della femmina: un mero serbatoio di spermatozoi. Neanche in un fanta-horror femminista si sarebbero spinti a tanto. In altri casi ancora, le femmine fanno tutto da sole o cambiano sesso all'occorrenza. I maschi, dal canto loro, si ammazzano di fatica per farsi scegliere dalle femmine. Non va tanto bene nemmeno per noi mammiferi: il sesso è costoso, anche se ci regala piacere e sempre nuova diversità. Pare addirittura che i cromosomi maschili siano più instabili, in decadimento. Il maschio si sta estinguendo e fra non molto persino le femmine di primati troveranno soluzioni alternative per far proseguire comunque l'evoluzione. Forse anche per questo il maschio è sempre più nervoso: sente che gli manca il terreno sotto i piedi. La natura ci sta dicendo qualcosa che riguarda anche noi, e poco male: il mondo trabocca di inutilità e gli uomini rientreranno a buon titolo nella categoria del superfluo. A meno che non smettano di fare i maschi da cartolina, come gli uomini teneri e sorprendenti raccontati qui...
Zubiri intende l'indagine teologale - che accompagna il suo pensiero fino a diventarne la dimensione irradiante - come il fondamento stesso del sapere teologico, da cui viene metodologicamente distinta: essa è la dimensione umana di accesso al divino, che non può ridursi alla sola "ragione" naturale sfruttata dalle prove cosmologiche e ontologiche - ma si appella a una "intelligenza senziente". Considerare il problema religioso nei suoi soli presupposti antropologici, metafisici ed epistemologici non è infatti sufficiente: occorre recuperare il concetto di "esperienza" di Dio come conoscenza concreta attraverso la via della "re-legazione". Non si tratta di andare dall'uomo al reale e a Dio ma, viceversa, di un dono proveniente da Dio e dalla realtà che si rendono presenti all'uomo: questo è il "potere del reale", agli antipodi del soggettivismo moderno. In ciò consiste la religione, che non si basa sulla prassi, sull'etica, sul sentimento, ma è l'essenza della persona e fondamento che apre alla trascendenza. Lo studio filosofico delle religioni, oggetto di questo volume tradotto e curato da Armando Savignano, ponendo l'analisi della religione come forma dell'essere e della realtà umana nella dimensione personale e non meramente storica, sociale o comparativa, da una parte dà rilievo al tema decisivo della verità della religione, dall'altra, proprio nelle molteplici modalità di questa esperienza che caratterizzano la storia delle religioni...
La sensazione di vivere in un'epoca di decadenza e confusione, in cui l'uomo sembra aver smarrito le proprie certezze sul senso dell'esistenza e del suo ruolo nel mondo, è un malessere trasversale a ogni periodo storico, e in particolare per gli intellettuali è sempre stato motivo di profonda inquietudine. Ma quello che a proposito di questa "nausea" scrive Albert Schweitzer, premio Nobel per la Pace e filosofo di raro acume, suona per noi oggi quanto mai intimo, come qualcosa che ci riguarda da vicino. Negli ultimi secoli l'umanità ha conosciuto un progresso che non ha precedenti nella storia, ma allo stesso tempo ha smarrito il senso di cos'è la civiltà, e il "peccato originale" alla base di questo vuoto è il fallimento della filosofia, che non è stata in grado di attendere a quella che fin dagli albori del logos è stata la sua vocazione: fondare, giustificare e diffondere una visione del mondo che permettesse di avere chiaro l'orizzonte di cosa ha valore e cosa no, di cosa ha senso e cosa no. Dopo l'avvento delle scienze naturali, che sembravano in grado di descrivere il mondo meglio di quanto tutta la storia del pensiero avesse fatto fino a quel momento, la filosofia si è ridotta in uno stato di sudditanza, convincendosi che il suo ruolo fosse esaurito, e da pensiero attivo è diventata storia della filosofia, una galleria di nature morte che non affrontano più le questioni fondamentali su cui gli individui dovrebbero riflettere.
La trilogia "Sfere", opera maggiore di Peter Sloterdijk, propone una storia filosofica delle culture umane attraverso una figura, la sfera, che rappresenta il cuore del progetto di razionalizzazione dell'immagine del mondo e dell'uomo nella filosofia classica. Le sfere al centro del progetto indicano più di semplici figure geometriche. La capacità di creare forme sferiche implica sin dalle origini della civiltà umana la possibilità di accedere a costruzioni di senso capaci di orientare l'intera esperienza dell'uomo, nella dimensione dell'intimità e in quella definita dagli orizzonti della civilizzazione. In tale prospettiva, "Sfere" esprime il tentativo di definire una visione della storia umana e della condizione contemporanea a partire da una teoria dello spazio animato. Il primo volume, "Bolle", elabora una filosofia dell'intimità, contrapponendo all'immagine autosufficiente dell'individuo il concetto di diade originaria. Si presenta, in questo modo, come un esperimento "micro-sferologico", teso a decifrare i piccoli mondi del vincolo di coppia o della partecipazione simbiotica, ovvero a disegnare figure di animazione che, pur non potendo avere forma sferica in termini geometrici, sono assimilate a sfere metaforiche, cioè appunto a bolle. Con un saggio introduttivo di Bruno Accarino.
Il secondo volume della trilogia "Sfere" indaga le dinamiche di passaggio dalle microsfere (bolle) alle macrosfere (globi): sotto i riflettori sono Dio e il mondo, e con essi tutte le figure "macrosferologiche", di natura sia politica sia metafisica, che hanno dato vita a costruzioni simboliche e istituzionali di grandi dimensioni. Sloterdijk traccia un itinerario che, partendo dalle città mesopotamiche, arriva fino alle società contemporanee, interpretando tali costruzioni come dispositivi "immunitari" mediante i quali i collettivi umani erigono difese contro l'insensatezza e l'esteriorità del mondo. Il volume si chiude con un'ampia teoria della globalizzazione, presentata come un monito contro le semplificazioni imperanti nel dibattito contemporaneo: è impossibile comprendere la globalizzazione terrestre moderna, sostiene Sloterdijk, ignorando il fatto che è stata preceduta dalle globalizzazioni metafisiche di matematici, filosofi e teologi, a partire da quella che ha dato vita, con la figura del cosmo, alla prima geometrizzazione filosofica dell'universo.
Oltre che essere "banale", il male può diventare "abituale", fino a diventare "vera cultura, con capacità dottrinale, linguaggio proprio, maniera di procedere peculiare". Queste le parole di papa Francesco, che ha sorpreso un po' tutti dicendo che "la corruzione non può essere perdonata". Ma allora cosa ne è del perdono instancabile di Dio? Cosa intende il papa affermando "peccatori sì, corrotti no"? La sua riflessione, coltivata e maturata fin da quando era arcivescovo di Buenos Aires, si concentra sulla differenza qualitativa tra peccato e corruzione, e su come per guarire dalla corruzione ci voglia una svolta di vita qualitativamente alternativa. Il discorso ha grandi risvolti anche sul piano civile, dove il dibattito su questo tema è ormai consunto e quasi disarmato. È necessario leggere la corruzione in modo nuovo, fuori da un moralismo che produce solo effimera indignazione. Occorre piuttosto puntare diritti alla "struttura interna" della corruzione, per tentare di far compiere un salto di qualità alla nostra coscienza civile.
Le relazioni internazionali continuano ad essere una lotta per la potenza tra attori indipendenti in uno stato di anarchia. Ciò frustra il raggiungimento degli scopi supremi dell'azione politica tra cui l'abolizione della guerra e la garanzia della pace. La conferma viene da un'analisi della geopolitica attuale: i rapporti internazionali si trovano in una situazione di pericolo prodotta da un disordine mondiale che ha rialzato la testa. Vi è una via di uscita da questa situazione? Kant, Maritain e l'enciclica "Pacem in terris" si sono posti questo interrogativo. Il volume esamina le loro soluzioni per comprendere quale strada sia da percorrere per giungere ad un'autorità politica mondiale garante della pace, ed il ruolo che il personalismo può svolgere.
Nella filosofia occidentale la coppia di concetti potenza/atto ha una storia millenaria che comincia con Aristotele e arriva, con Heidegger, sin dentro il Novecento e oltre. La tradizione intende la potenza, rispetto all'atto, come luogo della possibilità, della facoltà e della capacità, oltre che come ciò che precede la realizzazione compiuta. Esiste però anche un'altra linea di pensiero che, soprattutto in età moderna, concepisce la relazione potenza/atto in senso deterministico, come qualcosa di simile alla coppia causa/effetto. Il volume ripercorre la lunga contrapposizione filosofica tra i due modelli sottolineando le implicazioni antropologiche, morali e politiche del binomio potenza/atto, così come emergono nelle categorie di possibilità e necessità, contingenza e mutamento, immaginazione e utopia.