
Ogni qualvolta ci chiediamo cosa mangiare, in che modo amare, o semplicemente come fare a essere felici, ci stiamo in realtà domandando come condurre nel migliore dei modi la nostra vita. Ma dove possiamo trovare, nel mondo di oggi, risposte valide? Il filosofo Massimo Pigliucci propone di non cercarle in lontane tradizioni spirituali orientali, ma di trarre ispirazione dall'antica e più prossima filosofia che guidava Seneca e il grande imperatore Marco Aurelio: lo stoicismo. Risalendo alle sue fonti potremo finalmente rispondere agli interrogativi che assillano quotidianamente noi donne e uomini moderni, da come far fronte alla rabbia o all'ansia al modo in cui risollevarsi dopo una dolorosa esperienza personale. Con questo libro impareremo ad agire sulla base di ciò che è realmente sotto il nostro controllo, e a separare da tutto il resto ciò per cui vale davvero la pena preoccuparsi, così da avere sempre, come auspica una saggia preghiera stoica, «la serenità di accettare le cose che non possiamo cambiare, il coraggio di intervenire su quelle che possiamo cambiare, e la saggezza di distinguere le une dalle altre».
Gli ultimi secoli della storia occidentale sono stati attraversati da una crescente influenza del pensiero femminista, dalle sue origini cristiane nelle comunità calviniste del Settecento fino all'elaborazione, in anni più recenti, della gender theory. Da Edith Stein a Judith Butler, il ruolo del femminile e del rapporto uomo-donna nell'antropologia femminista, nella religione cristiana, nella teologia queer e in altre teorie filosofiche sono oggi al centro di una rivoluzione che sembra ancora agli inizi. La filosofa Angela Ales Bello ne ripercorre qui la genesi, il fondo antropologico, le origini nelle culture arcaiche e nella cultura occidentale cristiana. Ed è proprio nel Magistero della Chiesa che, negli ultimi decenni, la questione del femminile è stata trattata più che in ogni altra epoca: nella lettera apostolica Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II e nell'esortazione apostolica Amoris laetitia di Papa Francesco, nelle posizioni pastorali di Bergoglio sull'universo Lgbt e nei teologi che si confrontano sulla questione del gender.
Avrebbe mai potuto Friedrich Nietzsche, il filosofo più influente nella contemporaneità, fare un'altra filosofia? Il Nietzsche dei manuali viene improvvidamente riassunto in formule, come se il superuomo, la volontà di potenza e l'eterno ritorno fossero concetti inequivocabili. In realtà il senso di quelle formule, esposto alle più diverse interpretazioni, rimane tutt'altro che trasparente e profondamente enigmatico. Contro il Nietzsche citato a vanvera, pronto a sostenere qualunque tesi, questo libro si domanda: e se invece Nietzsche non sostenesse alcuna tesi? Se il suo pensiero fosse per l'appunto l'esempio di un pensiero sperimentante, antidogmatico, antifanatico? E se ciò fosse dovuto innanzitutto al tratto estetico che lo caratterizza? L'ipotesi sconcertante e liberatoria che propone Susanna Mati, dunque, è che si debba congedare l'immagine del Nietzsche pensatore oracolare e soprattutto dottrinale. Infatti la filosofia intesa in questo senso, cioè come quell'antica forma di aspirazione al sapere connotata da un rapporto di possesso con la verità, è finita. Perciò l'opera di Nietzsche mira piuttosto a produrre un effetto estetico, come lo definisce Susanna Mati, quasi fosse una sorta di operazione artistica svolta sull'intero corpo della filosofia occidentale, qualcosa che chiede di essere attraversato e lasciato alle spalle, concludendosi in un grande, definitivo naufragio. Un libro strutturato secondo la forma del labirinto, che si confronta con i molteplici volti del grande filosofo, perché essere nietzschiani oggi significa smascherare anche il maestro che ci ha insegnato le virtù psicologiche dello smascheramento.
La nascita è, per tutti, l'esperienza straordinaria dell'accesso alla vita umana, e in quanto tale è un concetto che ha una potenzialità filosofica. Eppure il pensiero occidentale del Novecento si è perlopiù soffermato sulla morte come condizione ontologica fondamentale e solo sporadicamente sulla nascita, seppur questa vi lasci una significativa traccia. Una corrente sotterranea, ma carica di senso, qui indagata per la prima volta in maniera sistematica in un percorso che va dall'antica Grecia (il Sileno, Saffo, Eschilo, Sofocle, Euripide, Erodoto...) all'Antico Testamento (Geremia, Giobbe, Qoèlet...), dallo gnosticismo al pensiero cristiano medievale, con incursioni nel Novecento, attraverso alcuni dei suoi più profondi interpreti (Emil Cioran, Giinther Anders, Peter Sloterdijk, Hannah Arendt, Michel Henry, Jean-Luc Marion, Emmanuel Lévinas, Maria Zambrano, Romano Guardini...). Una lettura dell'evento natale capace di aprire molteplici prospettive, sia al "femminile" - con Hannah Arendt e Maria Zambrano -sia al "maschile", seguendo le principali prospettive fenomenologiche ma anche autori di confine come Hans Saner, originale allievo di Karl Jaspers. La nascita come categoria filosofica, indicando T'Inizio" ma anche la "rinascita", assurge a cifra dell'umano, permettendone una lettura antropologica, etica, teologica.
Il pensiero pedagogico moderno si è spesso richiamato a Socrate e all'antichità classica per giustificare alcune delle sue intuizioni. Eppure è nell'antichità detta «tarda», un mondo ben lontano dall'atmosfera di piacevolezze a volte mordaci del passato, che si sono gettate le basi di un modo di concepire l'insegnamento che ci riguarda ancora oggi. Sono infatti le scuole filosofiche neoplatoniche, attive tra IV e VI secolo d.C nel Mediterraneo orientale, tra Atene, Alessandria d'Egitto, la Siria e la Mesopotamia, ad aver conosciuto un modello di organizzazione e programmi strettamente codificati. Quest'ultimo rifugio della cultura ellenica, vale adire del paganesimo alla sua conclusione, proteso in un ultimo tentativo di reazione contro la definitiva cristianizzazione dell'Impero, ha notevolmente influenzato il Medioevo e ha sottolineato il carattere fondamentalmente asimmetrico della relazione pedagogica. Questo breve saggio introduce alla vita quotidiana di un maestro neoplatonico, che, per ragioni diverse, è sempre anche una guida spirituale o un direttore della coscienza il cui compito non è soltanto istruire, ma anche formare sul piano morale e spirituale.
Chi, durante l'infanzia, non ha fatto l'esperienza spaventosa di avanzare a tastoni nella notte nera? Alain Badiou, il più celebre filosofo francese, prende le mosse dai giochi infantili nel buio per esaminare, in brevi indimenticabili capitoli, le tante forme che il nero prende nel nostro immaginario e nella nostra cultura: il nero dell'inchiostro sulla carta e quello delle fascette sui volti nelle riviste pornografiche; il nero dei misteri cosmologici e il nero doloroso del lutto... In questo libro di straordinaria intensità, il teatro intimo del grande pensatore diviene così occasione per un'esplorazione filosofica fatta di ricordi, di sottili ragionamenti, di improvvise - è il caso di dirlo -illuminazioni, che coinvolgono la musica, la pittura, la politica, il sesso, la metafisica. Il nero non è mai stato così luminoso.
Cosa significa fare filosofia oggi? Sono in molti a diffidare dei filosofi contemporanei, a percepirli come individui per lo più solitari, immersi in fantasticherie speculative, impegnati in quesiti troppo astratti e inconsistenti. In un dialogo dal ritmo incalzante, si sviluppa una discussione socratica sul senso del filosofare nella post-modernità. L?etica, la politica, la tecnologia sono alcuni dei temi di una conversazione in cui tre intellettuali italiani si confrontano con gli splendori filosofici del pensiero antico e con la moderna pratica del dubbio, per interrogarsi sul ruolo dell?esercizio filosofico nell?epoca in cui viviamo.
Per decenni docente all'Università di Urbino, Italo Mancini (1925-1993) è stato tra i maggiori filosofi e teologi della seconda metà del Novecento. A lui la cultura italiana deve la scoperta di autori come Karl Barth, Dietrich Bonhoeffer e Rudolf Bultmann, in opere dove la filosofia poneva la domanda su Dio, e la teologia non dimenticava il rigore dei concetti. Un cammino che ha portato Mancini a riflettere su - e a far propria - un'espressione di Pascal e Dostoevskij: "Dio nei doppi pensieri". In Dio coabitano i contrari, la miseria e la gloria, la perdizione e la salvezza. Pensieri abissali che, secondo Massimo Cacciari e Bruno Forte, mostrano l'eredità di Mancini, la sua attualità.
Dopo "l'età dei diritti" di cui diceva N. Bobbio nel 1990, è nata l'età delle pretese: squilibrio tra l'esplosione dei diritti e l'elusione dei doveri, e liquefazione dell'idea di obbligazione. Il diritto (vero o supposto), separato dalla responsabilità ad esso inerente, diventa fattore di disgregazione e un'arma puntata contro l'altro. È una vacua idea che la libertà soggettiva basti a tenere unita una società. Di fronte a questa dinamica travolgente occorre ridare significato e fondamento reale ai diritti, evitando tre passi falsi: l'individualismo libertario che fa dell'io un'isola; l'applicazione indiscriminata della tecnica nell'ambito della vita (Biopower); la riduzione dell'uomo a mero essere naturalistico. In proposito la tradizione del giuspersonalismo, ispirata all'idea di persona e di natura umana, offre un ingresso solido e moderno.
Non sappiamo perché e come l'Homo sapiens abbia sviluppato la capacità di costruire storie. Possiamo però ipotizzare come presumibilmente siano andate le cose. Cioè come un ominide abbia sviluppato la facoltà di narrare storie e come queste lo abbiano avvantaggiato tra tutte le specie. Si tratta dunque di studiare la narrazione, la fiction e la letteratura nel contesto della teoria dell'evoluzione e delle scienze cognitive, prendendo le mosse dalle recenti acquisizioni dell'archeologia cognitiva che mettono in relazione la produzione di utensili e lo sviluppo di capacità narrative. Si comprende così che la narrazione ha un ruolo decisivo nella costituzione del Sé e delle sue protesi esterne, come da tempo sostengono i teorici della mente estesa e della cognizione incarnata. Questo studio si inserisce nel quadro più ampio di una teoria biopoetica della narrazione e di un'antropologia filosofica che non trascura il bios rispetto allo spirito. Per questo, categorie fondamentali come la compensazione e l'esonero possono essere rilette in chiave evoluzionistica e fornire alcune spiegazioni del comportamento narrativo dell'Homo sapiens: il riequilibrio dei suoi deficit funzionali ed esistenziali e il contenimento dell'ansia.
Averroè di Cordova è un campione della filosofìa islamica prima che un vertice del pensiero europeo. Eppure ha ricevuto perlopiù letture unilateralmente eurocentriche. Il volume restituisce al suo cromatismo originario la fisionomia dell'intellettuale musulmano. L'esposizione chiara e documentata del pensiero, aggiornata alle nuove frontiere della ricerca, mette in luce il debito verso la cultura andalusa e il duplice ruolo di testimonianza e di stimolo per un Islam aperto e civilizzatore nel cuore stesso dell'Occidente.
Dai Megarici ad Aristotele, da Platone a Plotino, dagli gnostici ai Padri della Chiesa, nel primo volume; da Hegel a Husserl, a Heidegger e Bultmann, non senza incursioni sul mito tra antichità e modernità, nel secondo: sono gli autori - e i temi - di questi itinerari della filosofia e delle religioni, dove i due termini, intrecciandosi fin dalle loro origini, mostrano le principali prospettive in cui è stata interpretata l'esperienza, nella sua insondabile profondità. Una profondità che nella filosofia e nelle religioni, spesso in tensione e conflittualità tra di loro, ha assunto una pluralità di nomi: il Bene, l'Uno, Dio, il Mistero, l'Assoluto, l'Essere, l'Evento. Nomi che sono il lascito di più tradizioni e ciò attorno a cui ruota, anche oggi, il compito del pensiero.