
Descrizione dell'opera
Arrestato nel 1949, recluso per quindici anni nelle carceri della Romania, poi continuamente sorvegliato e pedinato dai servizi di sicurezza fino al 1989, il vescovo greco-cattolico Ioan Ploscaru ha pagato con l'accusa di "tradimento della patria" e di "spionaggio" il rifiuto di passare alla Chiesa ortodossa.
Siamo alla fine della seconda guerra mondiale e la Romania "liberata" dai sovietici entra, con il governo di Petru Groza, in un periodo buio e di sofferenza. Nelle carceri comuniste e nelle colonie di lavori forzati vengono perseguitati e sterminati cittadini romeni di diverse confessioni, alcuni per motivi strettamente politici, altri - come i vescovi e i fedeli greco-cattolici, dichiarati fuori legge nel 1948 - a causa del credo e dell'appartenenza alla Chiesa di Roma.
Le pagine lucide e dolenti di Ploscaru, lontane da qualunque concessione al rancore e segnate dalla compostezza di un uomo che ha deciso serenamente di non patteggiare con la propria coscienza, sono state composte tra la metà degli anni Cinquanta e i primi anni Novanta e pubblicate in Romania nel 1993. Tradotte ora per la prima volta in italiano, esse offrono al tempo stesso il diario di una sofferenza personale, la testimonianza di una Chiesa costretta alla clandestinità e la triste conferma che il Novecento è stato anche il secolo del martirio delle élites intellettuali e degli uomini di fede.
Sommario
Prefazione (V. Bercea). Nota all'edizione italiana (G. Munarini). Premessa. La situazione della diocesi rumena-unita di Lugoj prima del 1948. Tensione generale. Gli eventi precipitano. Il pellegrinaggio a Scăiuş. Preghiere di giorno e di notte. Comincia il Terrore. I vescovi sono costretti ad andare in pensione. Il congresso di Cluj. L'arresto del vescovo Ioan Bălan. L'occupazione della cattedrale. Altri eventi. La grande croce. La consacrazione. La riorganizzazione della Chiesa. Le pressioni sui fedeli. L'arresto. Presso la «Securitate» di Lugoj. Alla «Securitate» di Timişoara. Metodi di coercizione. Gli interrogatori continuano. A Bucarest, nel Ministero degli Interni. Jilava. Sighet, prigione di sterminio. Il vescovo Ioan Suciu. Vita di prigione. Nella solitudine della cella 43. La morte del vescovo Anton Durcovici. Il vescovo martire Valeriu Traian Frenţiu. Amici di solitudine. Qualche parola su Iuliu Maniu. Meditazioni in rima. La fine del vescovo Ioan Suciu. Altri avvenimenti. Convivenza con il generale Ilcuş. Tutto ha una fine e un nuovo inizio. Il vescovo martire Tit Liviu Chinezu. Di nuovo in cammino. Ricondotto alla «Securitate» di Timişoara. Libertà provvisoria. Tentativi di riattivare la Chiesa. L'attività clandestina. Il secondo arresto. Di nuovo interrogatori a Timişoara. Altri eventi. Il processo di Timişoara. Alla «Securitate» di Cluj. Di nuovo al Ministero degli Interni. A Malmaison. Il processo al tribunale militare di Bucarest. A Uranus. À la maison mère. La prigione di Gherla. Al penitenziario di Piteşti. Ancora a Timişoara. Il vescovo Ioan Bălan. La prigione di Dej. Dej, carcere di sterminio. Di nuovo indagini. La seconda «visita» a Gherla. La «nera». Il vescovo Alexandru Rusu. La rieducazione. Di nuovo a Zarka. Facchino al mobilificio. Processi di smascheramento. La liberazione. A Lugoj, continuamente sorvegliato. Una nuova perquisizione. Appendice. Breve storia della Chiesa romena unita.
Note sull'autore
IOAN PLOSCARU (1911-1998), ordinato sacerdote greco-cattolico nel 1933 e consacrato vescovo nel 1948, aveva studiato nel Seminario Pedagogico Universitario di Clu, in Romania, e si era perfezionato negli studi teologici a Strasburgo, in Francia. È autore di numerosi scritti di carattere didattico, memorialistico e di letteratura spirituale.
Fra Nazareno da Pula (al secolo Giovanni Zucca, 1911-1992) fu un vero convertito, che una volta incontrato Cristo (dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale cui partecipò) perseguì un unico ideale: quello di diventare santo, suscitando in chi lo incontrava il desiderio di perfezione e di Dio.
Il libro di Daniela Bignone è il diario di più di venti anni trascorsi in un Paese affascinante e ancora poco conosciuto da noi occidentali. Una lettura appassionante, che lascia il segno. Un testo che ci aiuta a scoprire il valore della diversità.
Il Pakistan: un territorio dal clima torrido che vanta però le cime nevose più alte del mondo. Uno Stato recente, ma dalla storia millenaria e spesso tormentata. Terra di guerre, di invasioni e conquiste, la cui cultura ha origine nella miscela di varie culture. È il Paese della Via della Seta e il secondo Stato islamico del mondo. Qui, Daniela Bignone, donna, occidentale, cristiana, trascorre ventitré anni. Impressioni, incontri, sapori, profumi e colori di questa esperienza si susseguono nelle pagine del suo diario.
Nato in una famiglia cristiana, Kiko Argüello riceve un'educazione religiosa. Ma a un certo punto della sua vita, la fede va in crisi. "Dio esiste o non esiste", si domanda. Entra così in un periodo di deserto spirituale nel quale nulla però lo soddisfa: né i successi artistici come pittore, né le relazioni umane. Sull'orlo della disperazione, Kiko grida a Dio il proprio sconforto. E Dio lo prende per mano e lo guida passo passo a riscoprire il dono della fede, prima attraverso l'incontro con i Cursillos de Cristiandad, poi immergendosi completamente nella vita dei poveri nelle baracche di Palomeras Altas, alla periferia di Madrid. Da questa esperienza, matura in Kiko la consapevolezza dell'urgenza di annunciare la Buona Notizia, il kerigma, ai più poveri. Insieme a Carmen Hernández, una missionaria laica, a contatto con il rinnovamento del Concilio, fonda una piccola comunità riunita intorno alla Parola e alla liturgia. Dalla Spagna si sposterà poi alla periferia di Roma per continuare la sua missione. È l'inizio del cammino neocatecumenale, che fa sua l'istanza del Concilio Vaticano II di istituire il catecumenato degli adulti, distinto in più gradi (SC 64), dando inizio a una forma di iniziazione cristiana, presente oggi in oltre cento paesi del mondo. Questo libro ne racconta, per la prima volta in prima persona, la nascita.
Gioacchino da Fiore, abate, nacque nel 1130 ca. a Celico, paese della Calabria. Egli ebbe una profonda fede nell’imminente Regno di Dio: una terza età del genere umano l’età dello Spirito dopo l’età del Padre e del Figlio. Lo Spirito Santo è portatore del progresso; tutti i popoli della terra ne sono partecipi.
Nato per essere guida di altri uomini, credeva fermamente che il monaco doveva essere “sentinella di Dio”. Nel Liber Concordiae infatti così scriveva: “È nostro dovere salire sull’osservatorio della montagna e, non appena avvistati i nemici, dare l’allarme… Voi da degni soldati di Cristo, quali siete, mettete da parte le opere delle tenebre e indossate le armi della luce.
Noi, se non diamo fiato alla tromba siamo responsabili del vostro sangue; voi, se trascurate di indossare le armi della luce, perirete per colpa vostra”.
Conoscere Gioacchino è significativo in un tempo come il nostro, in cui si avverte l’esigenza di riconquistare e difendere quella che l’abate chiama il più insigne dono dello Spirito: “la pace spirituale del mondo”.
Un piccolo libro sulla figura della Venerabile Francisca de Paula de Jesus, detta comunemente Nhà Chica (zia Francesca).
A 80 anni di età, 56 di sacerdozio, Alessandro Pronzato, autore di "Vangeli scomodi" e voce cara agli ascoltatori di Radio Maria, sente una gran voglia di continuare a camminare e attraverso queste pagine si confida e sommessamente confessa la gioia di essere prete.
Carlo Urbani (1957-2003), medico, entrò a far parte dell'organizzazione "Médicins Sans Frontières" della cui sezione italiana fu presidente. Consulente dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, si dedicò con coraggio alle ricerche sulla Sars, una terribile malattia respiratoria. Lui stesso ne fu contagiato, e ne morì ad Hanoi, in Vietnam.
Immergersi nella biografia di Raimon Panikkar (1918-2010) è come aprire una finestra su quelle che saranno le vite degli uomini di domani. Nato a Barcellona da madre catalana e padre hindu, Panikkar è stato chimico, filosofo, teologo, numerario dell'Opus Dei, sacerdote cattolico, docente universitario, marito, scrittore, ma anche amico, "maestro", "profeta" e molto altro ancora. Vestito all'europea o in sandali e dhoti, a Bonn, Roma, Varanasi, Santa Barbara o Tavertet, quest'uomo ha penetrato la saggezza di culture e religioni diverse e ha saputo gettare un nuovo sguardo sulla tradizione cristiana e occidentale. La figura di Panikkar appartiene oggi alla leggenda, alimentata in parte da lui stesso, in parte "dilatata, rafforzata e diffusa da tutti quelli che l'hanno conosciuto". Bielawski la riprende con dedizione e rispetto, prova a distillare l'uomo dal "mito" raccontandone la vita e presentando il suo pensiero. In questo viaggio incontriamo teorie ardite, come la visione cosmoteandrica o advaitica, e riflessioni sulla secolarità sacra, sul buddhismo e sulla trinità radicale. Passo dopo passo, il percorso apparentemente erratico del filosofo di Tavertet rivela una profonda coerenza, poiché l'apertura universale, la fiducia cosmica, la passione per Cristo e una coraggiosa ricerca della libertà fanno da filo rosso. Bielawski individua il senso di questo cammino unico e ci guida con trasporto nel "labirinto" Panikkar.
Nato a Latiano (Brindisi) nel 1841, visse una profonda esperienza spirituale che lo spronò a diffondere la devozione del Rosario. Promotore della costruzione del santuario mariano di Pompei, ma anche uomo di straordinario impegno e di generosa carità, affiancò al centro mariano numerose opere sociali. Morì nel 1926.
Frate Junipero Serra (1713-1784) era un sacerdote dei Frati minori, originario delle Isole Baleari. Il suo grande obiettivo fu di portare il Vangelo alle popolazioni autoctone d'America: per molti anni si dedicò a questo arduo compito in Messico e poi in California, dove fondò ventuno missioni. Lavorando senza sosta con pazienza, perseveranza e umiltà, oltre che lungimiranza e coraggio, sparse i semi della fede cristiana in quelle nuove terre.
«Questo breve schematico racconto della mia prigionia non può essere completo; né vi possono trovare posto tutte le vicende vissute, tutto quanto ho veduto e compreso. (…) Ho scritto queste pagine con il desiderio di fare testimonianza della semplicità con cui i nostri soldati hanno compiuto il loro dovere e hanno dato, senza odio e rancore, la loro vita per la patria. (…) Nel ricordo dei nostri fratelli lasciati laggiù, rimaniamo uniti sotto i due simboli che per i morti e per i vivi in Russia sono stati gli unici emblemi sacri: la croce di Cristo e il tricolore».
Il cappellano degli alpini don Giovanni Brevi non ha bisogno di presentazioni. Il suo nome, legato alla tragica campagna di Russia, è noto in Italia e in Germania, in Austria e in Spagna, fra centinaia di migliaia di reduci, come quello di un uomo che non ha avuto paura né delle angherie né della morte.
Migliaia e migliaia di uomini, che vissero per mesi, anni o lustri le drammatiche vicissitudini della prigionia nell'Unione Sovietica durante la Seconda guerra mondiale, lo ricordano con commossa ammirazione e con profonda riconoscenza per ciò che fece in aiuto di tutti i sofferenti, senza distinzione di nazionalità e di fede.
Tra le motivazioni della Medaglia d'oro al valor militare, conferitagli dal governo italiano nel 1951, si legge: «Esempio sublime di pura fede e di quanto possa un apostolo di Dio e un soldato della Patria».
Sommario
Presentazione. Introduzione. «La salvezza è a ovest». L'inferno di Tambow. Ordine di Stalin: «Vietato morire!». Il Cristo negli stivali. La spada di Brenno. Un messaggio alla Patria. La giustizia al guinzaglio. Tra gli schiavi del Cremlino. Ritorno. I dispersi. Campi di concentramento e carceri attraverso i quali passò padre Giovanni Brevi.
Note sull'autore
GIOVANNI BREVI (1908-1998), sacerdote dal 1934, divenne cappellano militare nel 1941 dopo una lunga esperienza di missionario tra i lebbrosi in Camerun. Partecipò con gli alpini della Divisione Julia alla campagna d'Albania, partì per la Russia nel 1942 e vi rimase, da prigioniero di guerra, condannato, deportato e costretto ai lavori forzati, per dodici anni. Reduci spagnoli e tedeschi l'hanno proposto ai rispettivi governi per una onorificenza a memoria e ringraziamento della sua opera di soccorso. Il governo italiano gli ha assegnato, il 5 agosto 1951, la Medaglia d'oro al valor militare, che si aggiunge alle altre ricompense guadagnate sul campo come ufficiale in Albania e in Russia.