
Negli ultimi anni abbiamo sperimentato e vissuto la vicenda sconcertante in cui Dio è stato messo di nuovo in questione anche nell'ambito della teologia. In questo volume curato da Joseph Ratzinger nel 1971, e per il suo carattere pioneristico divenuto un classico, otto eminenti teologi tedeschi si esprimono discutendo questo problema che riveste una importanza di vita o di morte per la teologia e il cristianesimo.Il tema viene dapprima sviluppato come questione filosofica, nel confronto col positivismo contemporaneo e le sue pregiudiziali antimetafisiche, viene indagato in rapporto agli impulsi centrali da cui deriva l'ateismo dei nostri giorni, e nelle sue motivazioni entro la stessa aporetica teologica; di contro, però, viene presentato criticamente anche il punto d'avvio del discorso cristiano su Dio, sulla base dell'esperienza di Dio dell'Antico e del Nuovo Testamento. Solo allora viene affrontato il concreto problema teologico: quello di comunicare il concetto di Dio della tradizione ecclesiale in modo che le esigenze della Sacra Scrittura, gli interrogativi della filosofia odierna e il patrimonio di cognizioni accumulato dalla tradizione filosofico-teologica trovino una complementarietà e convergenza intrinseche e oggettivamente fondate. I due ultimi contributi trattano del come svolgere la predicazione, l'annuncio su Dio, quale questione della teologia sistematica e di quella pratica.
DESCRIZIONE: Un titolo pregnante e promettente, quello che, con semplicità, Romano Guardini ha aggiunto a una ricca raccolta di saggi, di trattati, di conversazioni culturalmente ambiziose sulla scia di quanti in Germania e altrove hanno sviluppato il concetto goethiano di Bildung, di “formazione”. Poiché per lui, nel 1923, assumeva un’importanza cruciale l’applicazione delle sue idee pedagogiche generali, messe alla prova nel cantiere educativo del Castello di Rothenfels e nella creazione dell’associazione giovanile Quickborn [fonte viva], all’ambito della liturgia cattolica.
Da tale necessità nacque Formazione liturgica che si proponeva – scavando più a fondo rispetto a Spirito della liturgia (1918), con un processo sobriamente fenomenologico, e non di meno inserito in una prospettiva di antropologia metafisica – di mostrare come la liturgia abbia fondamenti inconcussi nella natura dell’homo religiosus, per giungere poi in una piena espansione nell’area della grazia “soprannaturale”, una sfera di gratuità “positiva”, quella della fede rivelata, al cui centro è l’incarnazione del Verbo di Dio, di Cristo.
Giulio Colombi
COMMENTO: Il testo chiave di Guardini in una nuova edizione critica. Un testo che rivela il senso profondo della liturgia cristiana.
ROMANO GUARDINI (1885-1968) è stato una delle maggiori figure della storia culturale europea del sec. XX. Presso la Morcelliana è in corso di stampa l’Opera Omnia.
La riflessione di Guardini sulla vita morale e le sue strutture si è svolta sempre in feconda osmosi con quella sulle forme dell'impegno intellettuale, sulle manifestazioni della fede, sulla partecipazione liturgica, sui fenomeni culturali come visioni del mondo, sulle grandi svolte dello spirito nella storia. Anche queste meditazioni non escludono agganci alla filosofia, alla teologia, alla scienza delle religioni. Il discorso non è quindi puramente esortativo e 'moralistico'. Vi si annoverano invece pagine tra le più nitide e profonde stese dall'Autore, con anticipazioni geniali sul divenire del costume del nostro tempo. L'accettazione o accoglienza, la pazienza, la giustizia, il rispetto, la fedeltà, la singolare virtù ch'è l'assenza di intenzioni o propositi, la quale potrebbe equivalere all'autentica 'gratuità', l'ascesi, al di là dei sospetti psicanalitici, il coraggio, la bontà, la comprensione, la cortesia, di cui è fatta una garbata apologia in uno spietato esame delle ragioni del suo attuale declino, la riconoscenza, il disinteresse, il raccoglimento, il silenzio: 'virtù' che - indagate a un livello apparentemente soltanto di convivenza umana dignitosa e riguardosa si svelano, nella Postilla, tessere d'un mosaico il cui disegno segreto è la giustizia davanti a Dio.
COMMENTO: Le venti poesie più importanti di Turoldo commentate da grandi personalità che l'hanno conosciuto e amato, musicate dal maestro Domenico Clapasson, a lungo collaboratore musicale di Turoldo, e con la voce recitante dell'attore Luciano Bertoli, già conosciuto per le sue esperienze turoldiane.
TESTI Maria Cristina Bartolomei, Enzo Bianchi, Giovanni Bianchi, Nicolino Borgo, Sebastiano Borriero, Giacomo Canobbio, Loris Capovilla, Gabriella Caramore, Luigi Ciotti, Maurizio Cucchi, Espedito d’Agostini, Paolo De Benedetti, Bruno Forte, Pietro Gibellini, Franca Grisoni, Raniero La Valle, Silvano Maggiani, Arnoldo Mosca Mondadori, Moni Ovadia, Gianfranco Ravasi, Ermes Ronchi, Angel Ruiz Garnica, Renzo Salvi, Pierangelo Sequeri, Dionigi Tettamanzi.
MUSICHE Domenico Clapasson, eseguite da Ensemble Soledad Sonora
ATTORE Luciano Bertoli
Questa indagine è divisa in due parti. La prima intende individuare il problema del male nella struttura della dialogica, cioè nei presupposti fondamentali della filosofia del dialogo: il soggetto, la relazione, il linguaggio, l’interpretazione, il silenzio e la parola sono esaminati al fine di provare la reale portata filosofica del messaggio buberiano e di scorgere i limiti di un generico «dialogo universale» a cui spesso è ridotto il principio dialogico. La seconda parte approfondisce la questione, concentrando l’attenzione sull’unico testo che Buber dedica in modo specifico al tema del male: Bilder von Gut und Böse (Immagini del bene e del male) del 1953. Il male non è studiato come una categoria ontologica immutabile nel corso della storia, ma come segno dell’umanità dell’uomo, rintracciabile come simbolo nel mito e nelle Scritture, a partire dal quale è possibile raggiungere non una comprensione definitiva e oggettiva, ma un’interpretazione coinvolgente.
Dall'Introduzione
Come si interpreta il male nella tradizione ebraica, in particolare in Buber, uno dei suoi maggiori pensatori? Questo saggio indaga il tema del male come questione teorica, ma anche come provocazione quotidiana che tocca ogni uomo, in particolare nell'esperienza del dialogo, del confronto con l'altro. Una prospettiva antica e nuovissima.
MARTINO DONI, professore a contratto di Antropologia sociale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, insegna nelle Scuole secondarie di secondo grado. È autore di numerosi studi, tra cui: Arianna e l’angelo (2006), L’esatta fantasia (2009), Immagini in corso (2010). Con Stefano Tomelleri ha scritto Giochi sociologici (2011) e curato, per Morcelliana, Sociologie del sacro. Emozioni, credenze, miti e liturgie nelle scienze umane (2009).
La Logica Maggiore o Logica della ragione vera (Logica Major) è un frammento incompiuto del 1934 - per la prima volta tradotto integralmente - da ricondurre a due opere fondamentali: gli Elementi di filosofia (Logica formale) e Distinguere per unire. I gradi del sapere. Una ripresa del tomismo, nel confronto con il metodo delle scienze empiriche così come era presentato dal positivismo, tesa qui a definire lo statuto della filosofia, e della teologia, come scienza (le Savoir). La metafisica, messa in scacco dal pensiero moderno, in quanto conoscenza che si spinge fino alle cause ultime è una scienza "sapienziale", riabilitata in una prospettiva epistemologica realista, nella sua possibilità di conoscenza certa e vera. A questa dimostrazione dell'Essere nel suo massimo grado è orientata la "logica materiale", che corrisponde a due criteri: certezza (della forma) e necessità (del contenuto). Una prospettiva che, se appare in controtendenza rispetto al suo tempo, resta ancora oggi un classico del pensiero cristiano nel suo rigoroso tentativo di fare spazio alla metafisica nella cultura del '900.
I problemi che un papa incontra nel governare la Chiesa non sono soltanto quelli divenuti immediatamente attuali, a volte davvero imponenti: in verità essi si sono accumulati nel corso del tempo e hanno radici spesso lontane nei secoli. Volgere lo sguardo all'indietro è utile a comprendere che quanto di frequente va sotto il nome di "tradizione" cristiana il più delle volte è una sedimentazione di pratiche consolidatesi nel tempo. Il volume intende leggere i grandi gesti di papa Francesco in una prospettiva ricavata dalla profondità della storia che lo precede e dalle sfide che la christianitas gli consegna: il ruolo dei laici e il ruolo del clero dal primo cristianesimo ad oggi, l'affermarsi del potere ecclesiastico e il passaggio da vescovo di Roma a papa, il concilio Vaticano II e la fine dell'età costantiniana, i beni della Chiesa e il loro uso. Se questi temi non da ora stanno davanti alla Chiesa, un pontificato nel quale la pratica del servizio papale davvero prevalga su un semplice esercizio del potere non può esimersi dall'affrontarli.
È con la sensibilità dell'artista - e del lettore appassionato - che Stefano Levi Della Torre si accosta alla Divina Commedia, sondandola con brevi scritti e rapidi tratti di penna e matita che catturano l'esattezza fisica ed emotiva dei versi danteschi. Il realismo di Dante è paradossale: se da un lato il poeta traduce i suoi argomenti in fatti riconducibili all'esperienza che l'uomo ha delle cose, dall'altro accompagna il lettore in un mondo altro dove, per esempio, Virgilio, Beatrice e il Minotauro sono resi con la medesima plasticità, in un reciproco potenziamento di fantasia e verosimile. È il parlare figurato proprio dell'arte in cui la finzione è rappresentazione della verità, in un rapporto che si ritrova rovesciato nella frode - il falso che si presenta come vero - raffigurata da Dante in Gerione, serpente con "faccia d'uom giusto". Questo libro vuole essere un invito a gustare la Divina Commedia, in una sorta di lettura originaria che metta tra parentesi gli apparati di note per godere delle pure modalità narrative, in grado di evocare effetti figurativi e percettivi, ricostruendo con la parola le atmosfere e gli spazi fisici del viaggio nell'oltretomba, facendo vedere, udire, odorare e toccare le cose raccontate.
Nel clima culturale dell'immediato dopoguerra, dominato dall'inquietudine degli esistenzialismi, il breve trattato sostiene che la filosofia dell'essere espressa da Tommaso d'Aquino possiede un diritto originario a fregiarsi del titolo di "esistenzialismo metafisico". Essa celebra l'esistente nell'affermazione del legame indissolubile tra ente, essenza e atto di esistere, che permette di fondare l'ontologia su un'intuizione originaria dell'essere nella quale sono compresi l'astrazione dei significati e il senso della loro immersione concreta nell'esistenza. Ciò permette a Maritain di coniugare, come raramente accade nei pensatori del XX secolo, dottrina dell'essere e meditazione esistenziale, tematizzando qui il rapporto tra tempo ed eternità, il nesso tra libertà increata e libertà creata, la predestinazione e la questione del male. La concisione e lo stile icastico fanno di questa presentazione, fra le più suggestive e acute delle questioni relative all'essere e all'esistenza in seno alla filosofia tomista, un classico.
In un mondo moderno, «troppo umano», che insegue il desiderio di emanciparsi da ogni Trascendenza e che intuisce il declino della Bellezza e della ricerca della verità, si concretizza l'anelito del cristianesimo contemporaneo per un'estetica teologica, il cui obbiettivo è il recupero del bene e del vero attraverso l'esplorazione del bello. Una riflessione teologica qui delineata tramite le voci di alcuni tra i maggiori pensatori occidentali - da Agostino che rintraccia in Dio la Bellezza Ultima a Tommaso d'Aquino che la vede nel Cristo, a Kierkegaard che esplora il salto della fede attraverso l'insoddisfazione e la disperazione, fino a Dostoevskij e von Balthasar-, con incursioni nella teologia orientale di Evdokimov, che legge nella figura del Crocifisso la cifra della Bellezza che splende e salva. L'autore sonda inoltre la predisposizione delle arti (musica, cinema, poesia e architettura) a divenire luoghi di rivelazione della Trascendenza: vie della Bellezza.
"Le età della vita" - qui tradotto integralmente - è una delle opere più fortunate di Romano Guardini. La sua popolarità è dipesa dal felice connubio di molteplici fattori: la capacità con la quale Guardini riesce a delineare, con pochi essenziali tratti, ciascuna età della vita in un modo che consente a tutti di ritrovarsi; la maturità dello sguardo frutto di una trentennale esperienza di docente, di educatore, di pastore d'anime in costante confronto con le tappe e le crisi della vita; l'approccio insieme distaccato ed empatico con il quale vengono còlti con nettezza sia i tratti positivi presenti in ogni età, sia quelli che destano inquietudine; non da ultimo, l'affabilità dello stile espressivo che lascia trasparire una fondamentale dimensione orale, una parola rivolta e ascoltata che rende così vicino il testo. Un vademecum per la vita in cui ogni lettore può riconoscere, e accettare, se stesso.
Romano Guardini nel corso della sua vita ha sempre nutrito un vivo interesse per la liturgia, come testimoniano i due scritti qui per la prima volta tradotti in italiano e accomunati dal tema del tempo liturgico, fondamentale nel rito cristiano. Il primo scritto difende la domenica dagli attacchi della modernità, non tanto in nome del cristianesimo, quanto dell'uomo che necessita del riposo settimanale per integrare nella sua esistenza la dimensione religiosa che lo completa. Il secondo scritto rispecchia il progetto di far incontrare la liturgia con la preghiera personale e la cosiddetta pietà popolare. L'intenzione è mostrare come la figura di Gesù Cristo - la sua vita, la sua morte e la resurrezione - possa diventare il contenuto della preghiera. Nonostante il mezzo secolo di riforma liturgica intercorso, resta attuale l'invito a una preghiera personale schietta e fiduciosa, ispirata dalla Rivelazione contenuta nelle Scritture e custodita dalla liturgia.