
I canti di Maldoror di Lautréamont (pseudonimo di Isidore Ducasse) costituiscono uno degli esiti più interessanti e ricchi di spunti del maledettismo ottocentesco, di quel romanticismo satanico che rivendica all’artista il ruolo di angelo decaduto, tanto più emarginato quanto più profondamente consapevole. L’opera, scritta in una prosa di potenza lirica, è un poema dell’inconscio e un’allegoria del Male, un grido di blasfema ribellione contro Dio e la società. Fu tra l’altro apprezzata e riscoperta dai surrealisti, e conserva tuttora un’aura mitica. Oggi, quando ben altri mali si sono visti, e al contempo quando l’evoluzione tecnica delle immagini cinematografiche ci ha abituato a qualunque deformazione della realtà, i Canti restano impareggiabili per l’originalità dello sguardo, l’audacia di una concezione che convoca le forze telluriche e cosmiche, la coscienza e il coraggio della rivolta. Al lettore donano l’attrazione dell’avventura, dell’esplorazione di un universo verbale portatore di messaggi virulenti e catartici, della scrittura come spazio di libertà, di realizzazione di un mondo altro: in altri termini, la constatazione del potere, e del piacere, della letteratura in atto.
Afine Ottocento, nel manicomio di Collegno i destini di molte anime perse si incrociano con quelli di uomini illustri. Come Cesare Lombroso, il famoso psichiatra celebrato per il metodo scientifico con cui riesce a distinguere, grazie a una riga e un compasso, l'uomo di genio dal delinquente, la brava ragazza dalla prostituta, il criminale dal pazzo furioso. Un certo Salgari Emilio che, a seconda dell'ondivagare della sua pazzia, si crede ora capitano di mare, ora scrittore. Marianna, una donna di vita triste e inguaiata. E infine, un delinquente nato, talmente pazzo da aver ripudiato persino il suo nome: si fa chiamare con le iniziali U.G. e passa le sue giornate in manicomio a creare una delirante scultura di ossa. Ossa di vacca, di donna, di pollo, non v'è differenza: ogni ossicino viene finemente scolpito con figurine primitive, di grande forza evocativa. Sullo sfondo, i delitti di un mostro sanguinario e inafferrabile che sventra giovani prostitute. In un crescendo di orrore e morte, U.G. scoprirà che nemmeno la pazzia potrà salvarlo dal suo passato. Ricordi atroci che - in un romanzo ispirato a una storia vera - si trasformano in imprevedibili colpi di scena. Avvenimenti deliranti come incubi, sullo sfondo di una realtà che persino i più coraggiosi tra gli uomini avrebbero paura di affrontare.
Cosa può fare uno scrittore per aiutare il proprio paese a ritrovare la pace? David Grossman ha una risposta, semplice e profonda come tutte le grandi verità: scrivere, raccontare, creare storie e personaggi in grado di far entrare i lettori nella pelle di un altro, farli pensare con la testa di un altro, far loro guardare la realtà con gli occhi di un altro. Anche se l'altro è un nemico. "Quando abbiamo conosciuto l'altro dall'interno, da quel momento non possiamo più essere completamente indifferenti a lui. Ci risulterà difficile rinnegarlo del tutto. Fare come se fosse una "non persona". Non potremo più rifuggire dalla sua sofferenza, dalla sua ragione, dalla sua storia. E forse diventeremo anche più indulgenti con i suoi errori." I milioni di lettori di Grossman sanno che è possibile, per un personaggio inventato, diventare - come per miracolo - una persona vera, viva e intimamente familiare: un miracolo che solo la letteratura può compiere, e che incanta gli uomini da sempre. Ma che è anche un dono prezioso per chi vive in un paese in guerra, un dono capace di accendere una speranza e indicare una via di uscita dal tragico labirinto del conflitto tra israeliani e palestinesi. Scrivere diventa, allora, un mezzo per rendere il mondo meno estraneo e nemico, il dolore meno paralizzante e insopportabile, il linguaggio meno povero e fossilizzato dagli stereotipi dell'odio e della paura."
In breve
Come Shahrazàd, la figlia bella e astuta del visir, Beniamino Placido racconta a suo modo delle favole moderne, che riprende dal cinema e dalla televisione, dalla storia e dalla letteratura. Se qualcuno chiedesse «a che servono queste storie improbabili e inutili?, bisogna avere la forza di rispondere con cortese fermezza: a niente. Tutt'al più a comprare il tempo. A vivere mille e una notte in più. E meglio. A nient'altro». Accogliendo l'elegante understatement di Placido, potremmo rovesciarlo di segno e affermare che il suo Nautilus ci è utile proprio alla lunga distanza. In fondo ci sono mille e una notte da trascorrere insieme.
Straordinario critico televisivo, profondo conoscitore della cultura americana, intellettuale capace di avventurarsi nei più diversi campi (dalla letteratura allo sport, dalla politica alle Sacre Scritture), Beniamino Placido ha lasciato una traccia profonda nel giornalismo culturale italiano degli ultimi trent'anni. Con la sua scrittura ironica e sorprendente, raffinata e curiosa, in grado di connettere tra loro ambiti della vita e del pensiero in apparenza lontanissimi tra loro, Placido si è inventato un nuovo genere letterario. E ha creato attorno a sé una simpatia e una stima che per la prima volta hanno unito il grande pubblico e gli intellettuali più esigenti. Questa raccolta antologica di articoli comparsi su "la Repubblica", curata da Franco Marcoaldi che ne firma anche l'appassionata introduzione, intende restituire la fisionomia di un vero corsaro della cultura italiana del secondo Novecento.
Indice
Introduzione di Franco Marcoaldi - 1. Quant’è bella leggerezza – 2. L’America in preda al furore – 3. Vi consiglio il letto – 4. A che servono «Le mille e una notte»? – 5. La verità è tutta in un pallone – 6. La paletta del capostazione – 7. Ferragosto con Hegel – 8. Il mondo dei giusti e «L’isola del tesoro» - 9. Passeggiando con Mattia Pascal – 10. Tutto cominciò con Tina Pica – 11. Quattro gatti in Libertà – 12. C’è un nichilista nel cuore fatuo dell’America – 13. Incontrai Kafka un sabato sera – 14. Prima di amarli gli scrittori li temiamo un po’ – 15. Siamo molto cambiati né in peggio né in meglio – 16. Mister Poe nostro barbaro cugino – 17. La storia di Placidin – 18. Il grande Gatsby è un cavaliere antico – 19. Perché Mimì metallurgico legge «Sorrisi e Canzoni» - 20. Il mondo dove tutti siamo invisibili – 21. Svolazzando sulle terrazze degli amici – 22. Felice? No, beota – 23. Oblomov lazzarone di campagna – 24. Se Giobbe perde la pazienza – 25. Ma i «villani» di Olmi vivono solo in Arcadia? – 26. Chamisso, le tentazioni del diavolo – 27. Il critico nella «Tempesta» - 28. Nick l’investigatore val bene un pollo – 29. C’era anche il generale Grant – 30. La piazza a 26 pollici – 31. Ebbe il gran merito di scrivere «male» - 32. Un’offesa per Amleto – 33. Coraggio, usciamo di casa anche noi – 34. Che Dio vi fulmini, ve l’avevo detto – 35. Un Ulisse dilaniato in Terrasanta – 36. Lo scrittore leggero delle nostre domeniche – 37. E se la televisione tornasse ad essere «la televisione»? – 38. Se un cowboy leale sceglie il suicidio – 39. Il presidente Kennedy è ancora vivo – 40. Balzac e l’imperatore – 41. Agostino, un santo a Hollywood – 42. A proposito di quell’arma segreta – 43. L’immigrato perfetto è invisibile – 44. Lingue di pappagallo – 45. Metti il mare in un bicchiere – 46. Fascisti, a volte ritornano – 47. Un eroe del postmoderno – 48. Giustino Fortunato benestante e pessimista – 49. Confessioni d’un povero critico – 50. Mio caro cavaliere – 51. Voglio fare il presidente americano – 52. Alice messa a nudo – 53. Carmelo e la Madonna – 54. Istruzioni per rendersi più stupidi – 55. Addio mio video – 56. Come Dio si ritirò e creò l’uomo - Indice dei nomi
Scauri è un po’ come Macondo. Solo che a Scauri c’è il mare.
Scauri è veramente un bel posto, non c’è niente ma puoi arrivare facilmente a Roma o a Napoli e in fondo, all’inizio o alla fine della bella stagione, il mare è da godere. Scauri è sempre a tre gradi di separazione da chiunque e da qualsiasi posto, tutti ne hanno sentito parlare o hanno sentito qualcuno parlarne. È il luogo obbligato della nostalgia di chi ci è cresciuto, ed è pure un non-luogo perché tutti pensano che sia già Campania. Gaeta era quasi Repubblica Marinara, Formia ha avuto il primo grattacielo del litorale. Baia Domizia ha il camping delle svedesi e Sperlonga è la costa Smeralda del Lazio. Scauri invece ha un lungomare infinito ma non è mai diventata Rimini, e ha lo stesso microclima delle Isole Cayman ma non è un paradiso fiscale. Tutto quello che volete sapere di un pezzo di costa quasi intimo che si è trasformato in una scomposta Las Vegas borghese con le palme intermittenti di plastica. Da Fabrizia Ramondino a Winston Churchill, dalle spiagge affollate alla roulette con i porcellini d’India, dall’abuso all’immaginazione, la grazia del vivere in provincia.
Indice
1. Scauri, Caraibi - 2. Fabrizia Ramondino è morta qui - 3. Tre gradi di separazione - 4. I bar di Gaeta e Lady D. - 5. Formia con chi vuoi - 6. Le palme finte, la superstrada e i porcellini d’India - 7. Monte d’Argento e il Mago di Minturno - 8. Fabrizia Ramondino è morta qui - 9. L’Ostricaro, la base nautica e il Lupo di Mare - 10. Sperlonga, Evelyn Waugh e Non ti muovere - 11. Forcella Beach, la Spiaggia dei sassolini e la villa di Manfredi - 12. Serapo, le Scissure e l’Arenauta - 13. Fabrizia Ramondino è morta qui - 14. Fanali, Nobile, Miss Frances e Virginia Woolf - 15. È proprio perché questi eventi possano continuare ad accadere che abbiamo combattuto la guerra! Ora passami l’asciugamano! - 16. Del mare di Karol Wojtyla e di altre suore - 17. La pedemontana di Formia, la Sparanise-Gaeta e la verità vi prego sull’amore - 18. Ma Minturno è frazione di Scauri? - 19. Mal di Scauri - 20. Fabrizia Ramondino è morta qui - Note e resto
Quattro donne alle prese con un atlante geografico a fascicoli. Diversissime tra di loro, per carattere e vissuto, tutte e quattro sono accomunate dall'età, i fatidici e temuti quarant'anni, e le crisi esistenziali in cui sono disperatamente coinvolte. Marisa odia il proprio corpo ed è terrorizzata dall'amore; Rosa, inghiottita da una passione sfortunata, si è buttata alle spalle un matrimonio altrettanto sfortunato; Fran, ritrovatasi con il proprio compagno, sente che le manca qualcosa; Ana naviga nel mare burrascoso di una relazione con un uomo sposato. Mentre il lavoro prende forma, la ricerca di dati si fa ricerca interiore, racconto di vita. E alle pagine dei fascicoli si sostituiscono quelle di cronaca intima.
Dedicato alla sua inseparabile compagnia di ozi, la pipa, "Pensieri oziosi di un ozioso" è una raccolta di quattordici brevi saggi, articoli e pensieri sparsi, in cui l'umorismo e la satira proverbiali di Jerome affrontano i temi più variegati e diversi: la vanità, la pigrizia, l'amore, i soldi e così via, sempre colti da una visuale ironica e dissacrante capace di sintetizzare, divertendo e intrattenendo il lettore, i grandi vizi e le piccole virtù della moderna borghesia europea. Quattordici saggi satirici grazie a cui Jerome mostra tutto il suo talento arguto, vivace e intelligente, riuscendo a dar vita a un vero classico del genere satirico e umoristico, distante dalla battuta facile e triviale, ma piuttosto frutto dell'osservazione delle situazioni paradossali e divertenti che si danno spontaneamente nel vissuto quotidiano. Dall'amore alla malinconia passando per cani, gatti, appartamenti, vanità, pigrizia, timidezza e soldi, tutti temi trattati con leggerezza e profondità, riuscendo a far sorridere e a far riflettere allo stesso tempo.
Storie di pugni è un'antologia di racconti sulla boxe impreziosita dal reportage che London scrisse per il "New York Herald" in occasione della celebre "Sfida del secolo", il primo evento sportivo ad accendere l'interesse e la passione di milioni di appassionati di tutto il mondo: il "gigante di Galveston" Jack Johnson, primo campione nero dei pesi massimi fu sfidato da James Jeffries, "la grande speranza bianca" imbattuto campione del ring. Jeffries andò giù al 15esimo round. La folla esplose. Fu uno dei primi eventi sportivi ad essere ripreso dalle telecamere. Ma la loro diffusione fu proibita. Il KO dell'uomo bianco non doveva essere visto. "La sfida", "Una bistecca" e "Il messicano" sono gli altri racconti presenti in "Storie di pugni", dove la boxe si erge a protagonista principale ma anche a veicolo per parlare e scrivere d'altro, come nella migliore tradizione del racconto di sport: rivoluzione e speranza, gloria e declino, morte e amore sono i temi toccati e raccontati attraverso il medium privilegiato che è la boxe. Un London giornalista, scrittore e cronista sportivo, capace di descrivere con il suo stile asciutto e inimitabile tutta l'epicità degli albori della boxe moderna, allora come oggi una disciplina fatta di sofferenze, dolore, passione e coraggio.
Tre destini femminili giocati fra l'Africa e l'Europa, con un esile legame tra di loro: al centro di ogni storia, la forza d'animo di una donna che riesce a sconfiggere la paura e il dubbio, l'ignoranza altrui e la propria delusione. Nella prima Norah, avvocato quarantenne che vive a Parigi, giunge a casa di suo padre a Dakar; l'uomo, un tempo tirannico ed egocentrico, si è imbozzolato in una follia silenziosa e trascorre le notti appollaiato su un albero in cortile. Tentando di penetrare nel mistero, Norah sarà assalita dai delitti e dai dolori della sua famiglia d'origine. Fanta, insegnante di francese a Dakar, deve seguire in Francia il marito Rudy. Succube di sua madre, frustrato e pieno di rabbia, l'uomo non riesce a offrire a Fanta e al figlioletto una vita soddisfacente, ma lei non si da per vinta. Khadi Demba, una giovane vedova scacciata dalla famiglia del marito, è protagonista della terza vicenda: poverissima e senza alcun sostegno, cerca di raggiungere in Francia la lontana parente Fanta; nella sua eroica esperienza di migrante, la donna sopporta ogni sorta di angheria senza perdere la propria dignità. Titolo originale: "Trois femmes puissantes" (2009). Il volume è vincitore del Premio Goncourt 2009.