
V.S. Naipaul viaggia sempre alla ricerca di qualcosa. In Fedeli a oltranza aveva esplorato quel groviglio rovente di pulsioni e ideologie che non tutti, ancora, chiamavano fondamentalismo islamico: in questo suo ultimo libro tenta invece di afferrare qualcosa di più sfuggente, la sopravvivenza delle credenze arcaiche in ciò che nel continente africano - e spesso non altrove - si intende per «modernità». È un itinerario lungo e tortuoso, che porta Naipaul dal Ghana alla Nigeria, dalla Costa d'Avorio e dal Gabon fino al Sudafrica, e che attraverso una scansione di incontri, fatti nudi e storie individuali gli fa trovare subito qualcosa di imprevisto: «Ero convinto che nell'immensa vastità dell'Africa le pratiche magiche non fossero diffuse in maniera uniforme. Ho dovuto ricredermi. Ovunque ho incontrato indovini che "gettavano le ossa" per leggere il futuro, e ovunque ho ritrovato la stessa idea di un'"energia" da imbrigliare attraverso il sacrificio rituale. In Sudafrica la "medicina da battaglia" è un composto fatto con parti del corpo soprattutto animali, ma anche umane. Vederlo con i miei occhi, sentirne il potere, mi ha riportato molto vicino all'inizio di tutto». Inizia così un altro viaggio, che non era semplice osare, verso quell'inizio, verso il big bang di un intero continente. Un viaggio di cui questo libro immediato, quasi orale, è un fedele resoconto: che appassiona, irretisce, e non di rado illumina.
Pino Ravera, 52 anni, ingegnere, alto dirigente nel settore dell’elettronica, una moglie, Silvia, e due splendidi figli alle soglie dell’adolescenza. Pietro Quarenghi, 52 anni, brillante chirurgo, scapolo impenitente e assiduo lavoratore, sempre sulla breccia, sempre disponibile. Un mal di stomaco che si fa insistente. Gli esami di routine. La diagnosi. Pino e Pietro hanno entrambi un cancro all’esofago. “Una sentenza molto vicina alla pena capitale” pensa Pietro, che sa bene di cosa si tratta. Pino, sostenuto dall’amore di Silvia e dei figli, intraprende l’iter terapeutico indicato dai medici: intervento chirurgico, chemioterapia, radioterapia… Pietro no, Pietro decide che vuole vivere con pienezza il tempo che gli resta: lascia tutto, si dota dell’armamentario necessario a lenire a se stesso le sofferenze causate dal progredire della malattia e parte per Los Roques, paradiso nel mar dei Caraibi. Pino ancora non sa a quanti compromessi e umiliazioni lo costringeranno le cure; sa che vuole vivere, costi quel che costi. Pietro ancora non sa quanto l’amore per la vita sia forte e radicato in lui, e quanto sarà difficile abbandonarsi al destino come un’onda al moto del mare – quel mare scintillante che custodisce il segreto della sua felicità perduta. Pino e Pietro: un destino, due scelte opposte.
Come ci si prepara a un’operazione di cambiamento di sesso da femmina a maschio o viceversa? E il dopo, come sarà? Lo raccontano i protagonisti, mentre un reportage dalla sala operatoria fotografa il lavoro dei chirurghi, i dubbi e le conquiste. Il libro racconta le spinte che portano a una decisione da cui non si torna indietro. Registra le reazioni di familiari, colleghi, amici (“Tu mi rubi il padre”, dice una figlia a un papà che diventerà donna). Dà voce a coloro che “si piacciono così”, in equilibrio tra maschile e femminile. Racconta i rapporti d’amore: ora felici, ora abortiti per via del pregiudizio che bolla le persone trans come prostitute, laddove si tratta invece di medici, operai, centraliniste. Narra le speranze e i tentativi di cancellare il passato. Entra nell’intimità delle persone coinvolte, ma dà conto anche delle leggi, delle difficoltà sul lavoro, delle metodiche di intervento, dei centri a cui rivolgersi. Un viaggio che tocca le nuove frontiere della sessualità e del sentire, della chirurgia e dell’identità.
«È forse impazzito, Brausen?
Si può dire che è diventato pazzo alla maniera di quei memorabili personaggi della letteratura raggirati dalla vita immaginaria, come il don Chisciotte dei romanzi di cavalleria o la Madame Bovary dei romanzetti d'amore, che finiscono per sostituire la vita reale con quella delle loro fantasie. Tale temeraria pretesa, insita nella condizione umana, ha sempre spinto alcuni uomini e donne a cercare di raggiungere l'impossibile, a ribellarsi contro la propria condizione e ad ambire a qualcosa di diverso. Tendenza che ha reso possibili il progresso e la civiltà, ma che genera anche frustrazione e sofferenza quando i sognatori si rendono conto che la vita reale non coincide mai con quella della finzione.
Sognare e fantasticare è l'ultimo rifugio di Brausen dal momento in cui la sua visione pessimista e disperata del mondo sembra non lasciargli altra scappatoia se non il suicidio».
dal saggio di Mario Vargas Llosa
A Buell, in Pennsylvania, il sogno americano prende la ruggine accanto alle fabbriche chiuse e alle acciaierie dismesse: sembra un paesaggio da dopobomba ma l'unica bomba che è scoppiata a Buell è quella della crisi economica, delle produzioni dislocate in Asia o in Sud America, degli impianti che chiudono e degli operai senza più un impiego e un'identità. Il lavoro che se ne va lascia dietro di sé una comunità in cui la fine del sogno di una nazione si ripete, ogni giorno, nei sogni infranti dei suoi abitanti. Come quelli di Isaac English: vent'anni, timido, insicuro, ha il cervello di un genio ma il college rimane un sogno da quando la madre si è suicidata e lui, qualche tempo dopo, ha tentato di imitarla. Sarebbe morto se non l'avesse salvato Billy Poe. Billy, da parte sua, non è molto sveglio, ma in compenso è grande e grosso: a scuola era un campione di football tanto da guadagnarsi una borsa di studio per l'università. Andarsene avrebbe significato stare alla larga dai guai (in cui ha la malsana abitudine di ficcarsi) ma ad abbandonare sua madre e la baracca in cui vivono non ce l'ha proprio fatta.
Poi un giorno, dopo anni passati ad accudire il padre invalido, Isaac decide - con una di quelle sue idee un po' ingenue e un po' lucidissime - di scappare di casa e partire per la California. Appena fuori città si imbatte nell'amico Billy e quando scoppia un temporale decidono di ripararsi in un capannone abbandonato: l'incontro con tre senzatetto darà inizio a un'imprevedibile catena di eventi che segneranno per sempre le vite di Isaac, Billy e degli altri personaggi di cui Philipp Meyer ci racconta la storia e i pensieri.
Perché anche se Ruggine Americana ha il ritmo inesorabile del noir, è nella testa dei personaggi, anzi nelle loro coscienze, che si compiono le tragedie più grandi.
«È roba forte, questa, roba che va al sodo. Philipp Meyer merita di essere preso seriamente».
Pete Dexter
«Da decenni ormai non si vedeva un romanzo di tale splendore, padronanza e originalità. Ruggine americana ha una vena oscura che inquieta il lettore mentre lo avvince con la sua vivacità».
Patricia Cornwell
Valter, cronista, una mattina inizia a sanguinare dal naso e dalle orecchie davanti agli occhi inorriditi dei colleghi, poi sviene. L’epatite, lo stesso male che ha già ucciso suo padre, è ormai in stato avanzato: solo un trapianto può scongiurare la morte. La vita di Valter è stata un addestramento al dolore, alla malattia, alla degenza ospedaliera, e ora più che mai lo mette davanti alla metamorfosi del corpo, alla perdita di intimità per l’invasione di macchinari e visite, e a un supplizio fisico che continua anche dopo il trapianto. Eppure, questo attraversamento del dolore diventa una strada verso la salvezza, la risurrezione. Il percorso che lo conduce a una vera e propria rinascita. Solo chi prova un dolore estremo può riconoscere il proprio dolore dentro il dolore di tutti, e trovare una via verso la gioia.
Per anni, Sergio Bambarén ha girato il mondo in cerca di una serenità all'apparenza irraggiungibile, spinto dal vento irrequieto del suo animo. Poi, proprio quando crede di aver finalmente conquistato l'equilibrio da sempre desiderato, ecco che arriva un figlio a sconvolgere ogni sua certezza. Quando stringe tra le braccia il piccolo Daniel per la prima volta si rende conto di non aver mai nemmeno immaginato le straordinarie implicazioni della paternità. Sopraffatto dalle emozioni, decide di prendere in mano carta e penna per scrivere una lunga lettera al figlio, in cui possano trovare sfogo tutte le parole che gli affollano la mente. E si mette completamente a nudo, raccontando pagine della sua esistenza che non ha mai condiviso con nessuno: la sua infanzia in Perù, il primo amore, la passione per il mare. Svela i suoi sogni più intimi, le ambizioni più nascoste, le speranze più segrete. Con onestà, rievoca anche le paure, gli errori, e le lezioni imparate a caro prezzo. Il risultato è il dono più prezioso che un padre possa fare al suo bambino: una mappa per affrontare il viaggio più importante, quello verso la felicità. Gli unici bagagli indispensabili sono l'ottimismo, coraggio e tanta voglia di libertà. Rimanendo fedele allo stile semplice e poetico che lo ha reso celebre, l'autore de Il delfino parla per la prima volta della meravigliosa esperienza che gli ha cambiato la vita, regalandoci un messaggio d'amore intenso e dolcissimo, che va dritto al cuore.
Alice ha lavorato sodo per raggiungere i suoi obiettivi e ora, a quasi cinquant’anni, sente di avercela finalmente fatta.
Dopo anni di studio, di notti in bianco e libri di psicologia, ha coronato il suo sogno, è una scienziata di grido, insegna a Harvard e viene chiamata dalle più prestigiose università per tenere conferenze. E poi c’è il suo più grande orgoglio, la famiglia: il marito John, un brillante esperto di chimica, che non riesce a trovare gli occhiali neppure quando li indossa, e i loro figli, Anna, Tom e Lydia, tutti e tre realizzati, anche se ognuno a modo suo.
All’improvviso, però, tutto cambia. All’inizio sono solo piccole dimenticanze: una parola sulla punta della lingua che non riesce a ricordare, il numero di uova nella ricetta del pudding natalizio, quello che prepara fin da bambina. E poi un giorno, dopo il giro di jogging quotidiano, Alice si ritrova in una piazza che è sicura di conoscere ma che non sa dove si trovi. Si è persa, a pochi metri da casa.
Qui comincia il suo viaggio tra le corsie d’ospedale, a caccia del male che sta cancellando i suoi ricordi. Quando le viene diagnosticata una forma presenile di Alzheimer, tutto ciò in cui Alice ha sempre creduto pare sgretolarsi. E anche la sua famiglia, che l’aveva sempre considerata un pilastro indistruttibile, perde ogni certezza e fatica ad accettare la nuova Alice, che in certi momenti è quella di sempre, ma che in altri sembra una sconosciuta, fragile e indifesa. Insieme dovranno affrontare il dolore. Insieme si scopriranno diversi e impareranno ad amarsi in un modo nuovo.
Deo spingeva il carrello lungo l’ottantanovesima strada. C’erano volte in cui si sentiva schiacciato dalla magnificenza dei palazzi di quella zona di New York. Schiacciato e umiliato. Gli ricordavano che era solo e del tutto fuori posto. Altre volte invece non badava né agli edifici né alle persone, vedeva passare in rassegna la sua famiglia, invece. Il sorriso timido di sua madre, e il fratello maggiore Antoine. Ma poi la mente faceva un brutto giro e si ritrovava a guardare attraverso la finestra di una capanna con il tetto bruciato. La famiglia a terra, senza vita. Se li immaginava, Antoine, la madre, la sorella, i fratellini, il padre, la nonna, giacere nella polvere. E realizzava allora di avere le guance bagnate, di stare piangendo davanti a tutti attaccato al suo carrello sul marciapiede. Forse era per il suo nome che si era salvato. Deogratias, il nome che sua madre gli aveva dato alla nascita quando erano entrambi sopravvissuti al parto. I nomi sono importanti in Burundi. Come chiamarsi tutsi, come lui, o hutu. Era fuggito da quell’orrore, aveva dovuto lasciare gli studi di medicina e aveva fatto a piedi chilometri su chilometri.
Quando sbarca in America, Deo ha duecento dollari in tasca, nessuna conoscenza, nessun posto dove andare. Per anni la sua casa è il Central Park, impara l’inglese sfogliando i dizionari nelle librerie, fa i lavori più umili, condivide il poco che ha con i compagni di strada. Però non si rassegna. Lotta per costruirsi, un pezzo dopo l’altro, una nuova vita, per diventare medico. E infine per tornare là dove tutto è iniziato, alle radici dell’odio, per scendere, finalmente, a patti con i ricordi, per portare un po’ della speranza che è riuscito a conquistare.
Per Isabella Bossi Fedrigotti la scrittura è sempre stata una «scorciatoia segreta» per indagare a fondo i legami familiari, svelando le tensioni e i veleni ipocritamente nascosti in molti inferni domestici. In questo libro, la sua scorciatoia segreta l’ha condotta ancora più in fondo, lì dove abitualmente regna il silenzio dell’incomprensione e del dolore. L’ha portata a raccontare storie di figli dimenticati e lasciati soli da genitori fragili, frustrati o semplicemente egoisti.
La sua attenta compassione ci inchioda commossi al racconto di queste piccole vite difficili segnate dalla solitudine: Lorenzo – con i suoi «non voglio» gridati e le sue instancabili domande – che, sconfitto e domato, finisce con lo spegnere la sua energia e la sua curiosità diventando un adolescente silenzioso, assente e indifferente. Annalisa, intoccabile e irraggiungibile, innamorata del suo corpo senza carne. Paolina, bambina soave che finisce a vivere per strada, infagottata, sporca e arrabbiata. Pietro, che scappa continuamente di casa per sottrarsi alla triste giostra della famiglia allargata. Francesco e la sua trascinante vitalità prosciugata da videogiochi e film porno.
Dopo aver letto queste storie sarà davvero difficile farsi cogliere impreparati dalla solitudine dei nostri figli.
Questo libro raccoglie l'opera narrativa di uno tra i maggiori scrittori del Novecento, colui che più di ogni altro ha dato voce alle inquietudini dell'uomo moderno. America (iniziato nel 1910 e pubblicato nel 1927), Il processo (scritto tra il 1914 e il 1915, pubblicato nel 1924), e Il castello (scritto nel 1922 e pubblicato nel 1926) sono ormai tra i più celebri romanzi della letteratura moderna, in cui ritorna, pur sotto differenti trame, il tema dell'angoscia per una persecuzione assurda e incomprensibile. Lo sguardo appassionato e acuto e l'intelligenza profonda del giovane Franz svelano e rendono altissima letteratura le contraddizioni, i drammi, la violenza e la stupidità nascosti sotto le apparenze del reale. Un posto di rilievo nell'opera di Kafka spetta anche ai racconti, molti dei quali, come La metamorfosi, Nella colonia penale, Il messaggio imperiale, sono veri capolavori. Completano il volume le raccolte di aforismi, pensieri, appunti, alcune pubblicate nella forma voluta dall'autore (come le Considerazioni), altre curate dopo la sua morte dall'amico Max Brod.
Le opere qui raccolte del grande scrittore russo sono pietre miliari e imprescindibili punti di riferimento per gli amanti della letteratura; sono dei classici: quindi, secondo la definizione di Calvino, hanno sempre qualcosa di nuovo da dire, al lettore di cento anni fa come a quello contemporaneo; a chi vi si accosta per la prima volta, a chi vuole riscoprirne la bellezza con l’ennesima lettura. Sono scorrevoli e mozzafiato come thriller, eppure raggiungono profondità filosofiche.
Alla costante ricerca di un equilibrio finale e definitivo tra il bene e il male, l’autore ci regala pagine di grande impatto emotivo, dove il passo dei protagonisti è segnato dal dolore e dal sentimento di perenne inadeguatezza sociale, culturale o esistenziale. I suoi personaggi, densi di una vita interiore quasi tangibile, si esprimono con l’urlo della rivolta all’ingiustizia, o con i racconti sussurrati degli umili, con i monologhi dell’intelligenza lucida che vuole approdare alla verità, ma si perde alla fine nel buio del dubbio, nel ritmo lento e contraddittorio, o precipitoso e violento delle azioni e del pensiero. I suoi romanzi sono costruiti dalle anime nere, i “cattivi” agiscono e tessono le trame della storia, raccontata con scrittura indagatrice, impietosa, incalzante; tutto finirebbe nel baratro della distruzione e dell’autodistruzione, se non splendesse oltre il tunnel una luce: lo sguardo luminoso del principe Myškin, o l’introspezione dolorosa di Raskòlnikov. Raggi di sole nella tempesta, consentono all’autore non rassicuranti certezze, ma almeno la possibilità di domandarsi: si può sperare?